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quel non precisato plurale
«Anche tu segui il calcio?» chiedo a Messner vedendolo sfogliare le prime pagine di OmniSport.
«Come tutti» fa lui.
«Per chi tifi?»
«Per una squadra con la maglia a righe.»
Dopo un tagliere di salumi e una porzione di cervo con polenta, il mio buon Messner in versione tracagnotta appare alquanto rinfrancato dalla sosta ristoratrice. Per entrambi lo sforzo del mattino si sta stemperando in un blando torpore postprandiale. Per tenersi sveglio, il mio occasionale compagno di viaggio si gingilla con il quotidiano sportivo recuperato nel locale, mentre io rispolvero vecchi messaggi sul cellulare: “Splendida stagione, Vincè. Ora che sei in vacanza passami a trovare. Lo sai che ti aspetto. Sempre.”
Anche senza berretto e Ray-Ban a camuffarmi, Messner non sembra aver capito chi sono, ma se sul giornale di oggi c’è una mia foto, difficile che questo genio non riesca ad accoppiare le due immagini simili, quella su carta e quella su carne.
«Le squadre di calcio hanno quasi tutte le righe» dico io.
«La mia più delle altre.»
«Pago il conto» mi sgancio dal discorso alzandomi dalla panca.
Il ragazzo alla cassa dà segno di avermi riconosciuto. La mancia che gli passo sottobanco è il prezzo che pago perché si faccia gli affari suoi.
«A posto» dico a Messner tornando al tavolo.
«Non abbiamo preso il caffè» fa lui scorrendo gli articoli sul calciomercato.
«Chiamo di nuovo il cameriere» cerco di accontentarlo.
«Lascia stare» mi ferma. «Questa volta offriamo noi.»
«Noi chi?»
L’uomo porcino continua a sfogliare le pagine di OmniSport, omettendo il chiarimento e lasciando frusciare nella mia inquietudine quel non precisato plurale.
«Non qui» fa lui richiudendo il giornale.
«Non qui cosa?»
«Il caffè» dice. «Non lo prendiamo qui al rifugio.»
«E dove allora?»
«Lo prendiamo giù.»
«Giù in paese?»
La fine di ciò che voglio. L’inizio di ciò che sono.
«No» dice lui. «Giù a Torino.»