2.

2632 Words
2. Il taxi la lasciò davanti all’entrata del villaggio Club Sea. Nathalie pagò la corsa, scese e attraversò il grande cancello d’ingresso, trascinandosi dietro il suo trolley. Dato che la vacanza iniziava “dentro di te”, aveva abbandonato il suo look cittadino prima di partire e ora indossava una canottiera, un pareo, un grande cappello di paglia e delle ciabattine infradito. Si sentiva benissimo. La reception era in una sorta di grosso cubo di vetro e bambù poco oltre. Nathalie si registrò e ricevette una bracciata di volantini. Un membro dello staff la precedette verso il suo bungalow. «Oggi è giornata di arrivi, come tutti i lunedì. Stasera c’è un cocktail di benvenuto nel bar sulla terrazza, per rompere il ghiaccio. Da domattina potrà scegliere tra attività di tutti i tipi... immersioni, gite in barca, gite alle Grotte di Smeraldo, osservazione dei cetacei, corsi e gare di nuoto marino e in piscina...» Nathalie continuava ad annuire, un po’ sopraffatta dall’entusiasmo di quel ragazzo. La sua voce sfumò sullo sfondo, mentre lei si guardava attorno. Il villaggio turistico era sul fianco di una montagnola che scendeva fino al mare. Di conseguenza i bungalow più economici erano più in alto, più lontani dalla spiaggia, quelli più accessoriati più in basso. Al di là di queste differenze commerciali i bungalow sembravano tutti piuttosto simili, pur senza essere identici l’uno all’altro. Erano sparpagliati sul fianco della collina, appaiati due a due, ognuno con un giardino recintato, un portico coperto di paglia e delle ampie vetrate da cui era possibile vedere il mare. Il mare. Era una grande lastra turchese proprio come nelle foto sul sito, con la baia sotto di loro racchiusa tra delle scogliere grigio-azzurre punteggiate di calette e insenature. Nel villaggio, tra un bungalow e l’altro, c’erano alte palme e basse cicade, oltre che piccole aiuole fiorite. Più o meno al centro c’era il ristorante, in una costruzione più grande, mentre i campi sportivi, le piscine e le sale dove si tenevano i vari corsi erano su un lato. Ancora oltre c’era il villaggio dei bambini, con il chiaro intento di regalare ai loro genitori qualche ora di libertà, se così volevano. I bungalow arrivavano fin sopra alla spiaggia. Li separava un parapetto e un dislivello di tre o quattro metri. Al centro, vicino al parapetto, c’era il famoso bar sulla terrazza. «Ovviamente ci sono i corsi di danze caraibiche, sono molto apprezzati... i tornei di tennis e pallamano... e anche di carte, per i più sedentari. La mattina per chi vuole c’è il saluto al sole sulla spiaggia... è molto suggestivo!». Grazie al cielo erano ormai arrivati al suo bungalow. L’aria era calda e meravigliosa e sapeva di mare, il sole brillava in un cielo azzurrissimo e Nathalie non sapeva come l’altro avesse potuto parlare fino a quel momento senza prendere fiato. Fisiologicamente la cosa non aveva spiegazioni. «Eccoci qua. Naturalmente la ricca offerta di Club Sea è illustrata nel dettaglio nei depliant che le hanno dato alla reception. Spero che si goda al meglio il suo tempo con noi!». Detto questo, finalmente, le diede le chiavi e la lasciò da sola. Nathalie entrò nel bungalow, che era spazioso e carino. Quasi tutti i mobili erano di bambù e dalla sala c’era una vista panoramica mozzafiato. Lasciò la sua valigia in camera da letto e si sedette al tavolo del salotto a studiare i volantini. Tra di essi c’era una specie di tabella per iscriversi alle attività che si desiderava svolgere. «Cristo» borbottò, cercando di orientarsi. Se avesse voluto fare tutte le attività le sue giornate sarebbero state più piene di quelle che aveva normalmente al lavoro. Volendo, uno poteva iniziare all’alba e non fermarsi mai fino a notte inoltrata. Nathalie non voleva. Oh, no. Era andata lì per rilassarsi e per non pensare al lavoro per una settimana. Perché ne aveva bisogno e perché era così stressata che aveva tirato una testata a un (odioso) opponente. Si iscrisse alla gita alle grotte, all’avvistamento cetacei e a poche altre attività, ripromettendosi di ampliarle se si fosse annoiata. Poi fece quel che voleva fare da quando aveva messo piede nel villaggio: si infilò il costume da bagno, aprì una sdraio di bambù nel giardino sul retro del suo bungalow e si preparò a fare la prima di molte dormite al sole. +++ Hunter sopportò stoicamente le ciance del suo accompagnatore fino al cancelletto posteriore del bungalow. Tutte le attività di cui parlava non gli interessavano, ma annuire e sorridere non gli costava niente: in fondo era in vacanza. Aveva anche abbandonato il suo look cittadino in favore di un abbigliamento balneare: t-shirt, bermuda e delle ciabatte infradito di gomma e tela con cui non riusciva a camminare molto in fretta. La cosa positiva era che nella settimana seguente non avrebbe avuto alcun bisogno di camminare in fretta. Sul vialetto che portava all’ingresso posteriore del suo bungalow trovò anche un gradevole bonus. Nel giardino della villetta gemella della sua dormiva una notevole gnocca seminuda. Hunter si concesse qualche secondo per guardarla, visto che lei era profondamente addormentata e non poteva accorgersi del suo esame. Era proprio una meraviglia. Gambe lunghe e sode, cosce tornite, pancia piatta, vita stretta, tette piccole ma rotonde... il tutto coperto a stento da un minuscolo bikini bianco. Attraverso quel bikini le si intravedevano i capezzoli, ma il culmine dell’indecenza era più in basso. Hunter sentì che il sangue gli affluiva all’inguine prima ancora di aver finito di guardare ogni dettaglio. Il costume era piuttosto aderente e la tizia dormiva con una gamba piegata e aperta da un lato. Si vedeva perfettamente la sagoma a pesca della sua fichetta, si capiva che era glabra con l’eccezione di un triangolo sopra al Monte di Venere e... dettaglio davvero indecente... gli slip del costume si erano parzialmente scostati, lasciandosi sfuggire una delle grandi labbra di lei. Hunter sarebbe stato quasi imbarazzato, se non l’avesse trovato davvero, davvero sconcio e arrapante. Rimase lì, con gli occhi fissi sulla passera mezza-nuda di quella tizia, per quelli che gli parvero anni, ma che non furono che pochi secondi. Quel lembo di pelle morbida, chiara all’esterno e lucida e rosa scuro all’interno. Meno di un centimetro più in là c’era il suo buchetto, sotto un sottile strato di stoffa elasticizzata bianca. Probabilmente la brezza marina glielo accarezzava, così come accarezzava il resto di quel corpo flessuoso. Alla fine Hunter riuscì a distogliere lo sguardo. A quel punto ce l’aveva duro come un palo. I suoi occhi risalirono le curve morbide di lei, soffermandosi sul solco tra i suoi seni, fino alla bocca leggermente imbronciata, al naso piccolo e regolare, agli occhi chiusi, coperti da un paio di occhiali affumicati... Quando la riconobbe Hunter quasi si strozzò. L’erezione gli si ammosciò immediatamente tra le gambe, tanta fu la rabbia. «Lei!» esclamò. «Avvocato Eastlake! Che diavolo ci fa lei qua?». Nathalie aprì gli occhi di scatto. Per una frazione di secondo pensò di stare ancora dormendo, ma poi... al di là della staccionata di bambù c’era... aggrottò le sopracciglia... il dannato Hunter Sevier? Schizzò in piedi. «Lei? Come si è permesso di seguirmi fin qua? La avverto: farò emettere un’ordinanza restrittiva che...» «Io? Io avrei seguito lei? Ma si ascolta quando parla? Perché cazzo avrei voluto seguire una tro- una stronza come lei fin qua? È chiaro che è stata lei a seguirmi! È una persecuzione!». «Ah, quindi sarebbe qua per caso! Nel mio stesso dannato villaggio turistico! A non so quante migliaia di chilometri da New York!». «La stessa cosa potrei dirla io, anzi la dico! E se vuole saperlo sono venuto qua alla ricerca di pace e tranquillità dopo che lei mi ha picchiato!». «E viceversa, non dimentichiamolo!». «Ma se è stato uno schiaffetto! Io avevo la camicia che grondava sangue! Il mio sangue!». «Oh, cielo, ma si ascolti! Ora sembra che l’abbia sgozzata! Voglio solo sapere che cavolo ci fa lei qua e che intenzioni ha nei miei confronti!». Hunter le mostrò il palmo delle mani. «Nei suoi confronti? Nessuna! Voglio solo rilassarmi e godermi la mia cazzo di vacanza!». Nel frattempo il loro litigio doveva aver attirato l’attenzione di qualcuno, perché arrivò un membro dello staff del Club Sea. «Chiedo scusa... mi sono stati riferiti problemi. Se posso aiutare i signori in qualche modo...» «Sì, può!» sbottò Hunter. «Spostandomi in un altro bungalow, lontano da questa tro- stro- arpia!». «No, guardi, sono io a non voler restare vicino a lui! Chiedo di essere spostata in un altro bungalow!». L’impiegato sembrò a disagio. Tirò fuori un piccolo tablet e fece scorrere diverse pagine. «Be’, così... in alta stagione... capite che siamo al completo o quasi... non posso spostare degli altri clienti... ecco...» Sospirò forte. «Non sono disponibili altri bungalow di questa fascia» ammise. «Va bene anche un bungalow di fascia inferiore» comunicò Hunter, sprezzante. Anche se in realtà non era molto felice di doversi spostare in una villetta in cima alla collina o senza la vasca idromassaggio. «Ehm... no, mi dispiace, non ci sono bungalow neppure di fascia inferiore. Ma è rimasto un posto nell’ostello». Hunter sbatté lentamente le palpebre. «Nell’ostello? Ossia?». «Sono... ehm, camerate, signore. Da otto». «Da otto». «Sì, con altre otto... persone. Be’, ragazzi. C’è un limite di età di venticinque anni, ma per venirle incontro...» Nathalie iniziò a ridacchiare. Hunter si voltò dalla sua parte e la fulminò con un’occhiataccia. «Già, perché non ci va lei nella camerata comune? Potrebbe scoprire che le piace!». Lei socchiuse gli occhi. «Che cosa starebbe implicando?». «Niente!» mentì lui. «Ma non ho nessuna intenzione di dormire con altre sette persone. A tutto c’è un limite». «Ehm, in questo caso mi dispiace, ma...» «Oh, ma vaffanculo!» sbottò Nathalie. E tornò dentro al suo bungalow tutta impettita. Hunter seguì per qualche secondo le sue chiappe tonde e coperte a stento balzellare fino alla porta, che fu poi sbattuta con fragore dietro di esse. Tornò a guardare l’impiegato. «Questo è il suo modo abituale di risolvere le cose. È una barbara» spiegò. +++ Nathalie si sbatté la porta alle spalle e come prima cosa si aggiustò gli slip del costume. Sicuramente non ci aveva fatto caso nessuno, ma si erano leggermente spostati e insultare qualcuno con un pezzo di patatina fuori non era facilissimo. Resistendo alla tentazione di sistemarsi per non attirare l’attenzione sulla cosa, per di più. La sua seconda azione fu prendere il cellulare, accenderlo (e al diavolo le buone intenzioni) e chiamare il suo studio. «Nella villetta accanto alla mia c’è Hunter Sevier» disse, non appena le passarono il suo assistente. «Sì, quel Hunter Sevier. Qualcuno può spiegarmi come è arrivato qua?». Il suo assistente balbettò che non ne aveva idea, che si sarebbe informato, anzi che l’avrebbe scoperto, anzi... voleva che le scrivesse la bozza della richiesta di un’ordinanza restrittiva? Nathalie avrebbe voluto, avrebbe voluto tantissimo, ma sapeva che non c’erano gli estremi per nulla del genere, quindi abbaiò che si limitasse a scoprire perché Sevier era lì. Una volta conclusa la telefonata afferrò rabbiosamente il suo telo da mare, si infilò le infradito e andò a lunghi passi irritati verso la spiaggia. Nuotare l’avrebbe aiutata a scaricare la tensione. +++ Hunter si chiuse dolcemente alle spalle la porta del suo bungalow e prese fiato. Era furente. Quella troia maledetta lo perseguitava e voleva rovinargli anche il suo unico momento di relax. Ma non ci sarebbe riuscita, nossignore. Mollò sul tavolo la montagna di volantini che gli avevano dato alla reception (per fare tutte quelle attività avrebbe dovuto portarsi un assistente) e prese il cellulare. Si era ripromesso di non usarlo, durante il suo periodo al villaggio, ma quella era un’emergenza. «Donovan? Sì, sono arrivato. E sai chi c’è nel bungalow accanto al mio? La fottuta Nathalie Eastlake, la troia della Gordon & Partners». Per qualche secondo ascoltò il suo segretario emettere delle esclamazioni incredule e oltraggiate, poi lo interruppe. «Sì, be’... vorrei sapere come ha fatto a scoprire che sarei venuto qua e che cacchio vuole ancora. Fammi sapere appena hai qualcosa». Chiuse la telefonata e si sfilò la maglietta. Aveva le ascelle fradice di sudore e non era solo colpa del caldo. Irritato, si spogliò del tutto e si buttò nella doccia. Solo dopo quasi dieci minuti del massaggio tiepido dell’acqua si sentì abbastanza rilassato da ripensare alla maledetta Eastlake. Non riusciva proprio a capire come avesse saputo la destinazione delle sue vacanze. Un villaggio del genere, tra l’altro, era uno degli ultimi posti al mondo che avrebbe scelto normalmente. Ed era sembrata sinceramente stupita di vederlo, quindi, per quanto improbabile fosse, non poteva escludere del tutto che fosse un caso. Certo, la sua presenza era altamente sospetta. Ripensò al modo in cui dormiva in giardino, ignara e rilassata. Stava fingendo? E se non stava fingendo, come faceva a essere così rilassata, sapendo che la sua vittima (lui) stava per arrivare? Con mezza passera al vento, per di più. Ora, la Eastlake era una stronza, una stronza certificata, ma Hunter doveva ammettere che non si era mai giocata la carta del s*x appeal. Non aveva mai fatto la gatta morta con uno dei suoi dipendenti per estorcergli informazioni riservate (purtroppo ci era riuscita lo stesso), non si era mai presentata a un incontro in abiti provocanti per confondere quei segaioli dell’ufficio legale... fino al giorno prima se a Hunter avessero chiesto “È sexy, l’avvocato Eastlake?” la sua sincera risposta sarebbe stata: “No”. Chiaramente adesso non lo pensava più. Dopo averla vista in bikini, anche cercando di non ricordare i dettagli indecenti, Hunter era costretto ad ammette che non era solo sexy, era proprio un tronco di figa. E comunque i dettagli indecenti ormai li aveva visti, non poteva autosuggestionarsi fino a dimenticarli. Ricordava benissimo quella passerina morbida fare capolino da sotto al costume da bagno e per qualche strano motivo quell’immagine lo accendeva completamente. “Per qualche strano motivo” perché Hunter era un bell’uomo, abituato a essere corteggiato e per di più in posizione di prestigio: non aveva mai avuto problemi a procurarsi una partner ed era diventato un po’ indifferente all’avvenenza altrui. Ma la maledetta Eastlake, quel pomeriggio, gli aveva procurato un’erezione sul posto. A lui. Come fosse un qualsiasi maniaco. E in realtà, solo ripensando a quelle due tette sode, morbide, piccole e tonde... ai capezzoli a stento velati dal bikini bianco... e, okay, quel dannato pezzettino di sesso... quel lembo di vulva glabro, un po’ dischiuso... quel buchetto sicuramente bagnato... Hunter si trovò a immaginare di scostarle ulteriormente gli slip con la punta dell’indice e poi a premere per entrarle dentro. Avrebbe infilato la prima falange in quel buchino stretto e viscido, che all’inizio avrebbe opposto una certa resistenza... lui avrebbe cambiato appena angolazione e il suo dito le sarebbe scivolato dentro, in quell’anfratto aderente e muscoloso, caldo, bagnato, odoroso... Hunter immaginò l’odore della fica di lei e la cosa gli fece girare la testa per l’eccitazione. Il cazzo gli era diventato di nuovo duro da un po’ e ora lo afferrò con la mano insaponata, mentre l’acqua continuava a scrosciargli dolcemente addosso. Si abbassò il prepuzio e si rese conto di essere già vicino all’orgasmo. Così, con un solo pensiero sporco. Di solito gli servivano almeno venti minuti di un porno, o delle maledette ore di film mentali. E anche con le partner in carne e ossa aveva passato da un pezzo il periodo della vita in cui ti basta uno sfregamento di troppo per venire. A quasi quarant’anni Hunter veniva dopo aver costruito un percorso di piacere in crescendo e dopo essersi tolto ogni sfizio, non con un’intempestiva serie di schizzi incontrollati. Un’intempestiva serie di schizzi incontrollati fu quello che ebbe in quel momento. Il cazzo sembrò esplodergli in mano, mentre dietro alle sue palpebre chiuse girava il film del culo della maledetta Eastlake che andava verso il suo bungalow e di lui che le scostava gli slip del bikini mentre camminava, le accarezzava la fichetta liscia e morbida, gliela strizzava e le infilava dentro un dito. Lei era bagnatissima, gocciolante, e gemeva. Quel gemito immaginario lo fece eiaculare sobbalzando sulla parete della doccia. Il piacere gli schizzò fuori, incontrollabile e liberatorio, e Hunter si trovò con la fronte appoggiata al vetro, ansimante, a spremersi fuori le ultime gocce di sperma. Ah, Cristo... Cristo, così forte... pensò confusamente. Qualche minuto più tardi era di nuovo padrone di sé. Anzi, era anche un po’ seccato di essersi masturbato pensando alla maledetta Eastlake. Uscì dalla doccia, si asciugò in modo sommario, aprì la propria valigia e pescò un costume da bagno. Quello che gli serviva era una bella nuotata. Nuotare elimina le tossine dello stress e anche i picchi ormonali indesiderati. Si infilò quelle cavolo di infradito, prese un telo da mare e andò verso la spiaggia.
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