3.-1

2004 Words
3. Rinunciò a rivestirsi in senso compiuto. Il principe era sopra di lei, svenuto, e April aveva la chiara sensazione di doverlo tenere all’interno del cerchio. Coprì entrambi almeno in parte con la propria casacca, il proprio giustacuore e ripiegando i lembi della coperta. Si sentiva qualcosa di liquido tra le gambe e non sapeva che cosa fosse, né osava controllare se si trattasse di sangue. Posò una mano sul collo di Starrag. Sentiva il suo battito. Era vivo, ma aveva consumato le sue ultime energie o qualcosa del genere. Sperò che si riprendesse presto, perché dovevano ancora arrivare a Lenn e provare a guarire il giovane principe. Lei stessa era esausta. Chiuse gli occhi e dormì un sonno senza sogni. Quando si svegliò si scoprì stesa su un fianco in posizione scomposta. Starrag era davanti a lei e quasi la circondava, con un braccio al di sopra della sua testa, una mano posata sulla vita e le caviglie intrecciate alle sue. La guardava da una fessura tra le palpebre, ma April non era sicura che fosse davvero sveglio. «Starrag?» chiamò, rinunciando a ogni deferenza per il suo status. Lui emise un basso sospiro. «Starrag, stai bene?» «Bene». «Puoi spiegarmi che cosa è successo?» «Stupida... ragazza...» «Sì, l’hai già detto a più riprese». Un altro sospiro. «Ti desidero». «Eh? Ora?» «Sì, ora». Non aveva nessun senso. Era una cosa senza né capo né coda. Come si supponeva che si comportasse in una situazione del genere? Starrag non si pose il problema. Le rotolò sopra e questa volta April non era di schiena. Aveva le gambe legate dai propri pantaloni, il corpo di lui la schiacciò in modo doloroso. «Aspetta». «Mh-mh». Sembrava torpido, incapace di prenderla e basta. April non sapeva che cosa sentiva o come comportarsi. Si contorse fino a riuscire a togliersi uno stivale. Poi si liberò di una gamba dei pantaloni e delle mutande. Starrag emise un mugolio di incoraggiamento, quando lei aprì le cosce. «Non... ah. È la prima volta, fai...» «Non è la prima volta» la corresse lui. Si sbottonò, o comunque fece qualcosa giù in basso. Prima April sentiva la stoffa dei suoi pantaloni, poi sentì qualcos’altro. Solo all’inizio il suo corpo sembrò opporsi. Un secondo, forse meno. Poi quel qualcos’altro la riempì tutta, la tese, le arrivò in fondo scivolando senza sforzo. April chiuse gli occhi e gemette di piacere. Era così... bello. La bocca di Starrag sul collo, poi le spinte quasi delicate dei suoi fianchi. Non ci fu nulla di magico, ma ad April sembrò comunque di incendiarsi. Si strinse attorno a lui, gli circondò il torace con le braccia. Un piacere sempre più intenso all’interno, il sesso che pulsava... oh, cielo. Era magnifico. Era... dalla sua gola sgorgavano gemiti sempre più sonori, che si diffondevano in quel paesaggio notturno di dune sabbiose. Quando raggiunse l’apice, Starrag emise una sorta di grugnito. April gridò, non riuscì a farne a meno. Tutto il suo corpo tremava per l’estasi. Si sentiva esausta e soddisfatta. Starrag Ó hAlluráin scivolò da un lato. Richiuse gli occhi. «Non uscire... dal cerchio...» Chissà che cosa si aspettava. Chissà che cosa le era saltato in mente, per dirla tutta. A casa la aspettava un matrimonio politico la cui sola idea le faceva venir voglia di vomitare, ma darsi al primo sconosciuto di passaggio? Uno che l’aveva insultata fino a due minuti prima? Uno stregone pallido che faceva e diceva cose incomprensibili? E per lo più spaventose? Quali che fossero i suoi pensieri, quando lo stregone si svegliò le rivolse a stento un’occhiata. «Siamo in ritardo» disse, con una smorfia di fastidio. Si alzò in piedi e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa. «Grazie al cielo i cavalli sono ancora lì. Forza, dobbiamo andare». April si tirò a sedere. Era più nuda che vestita e la cosa, normalmente, l’avrebbe imbarazzata. Ma Starrag le gettò a stento uno sguardo e quello sguardo serviva a valutare quanto ci avrebbe messo prima di essere pronta, nient’altro. Una ventina di minuti più tardi erano di nuovo a cavallo, diretti verso le Terre del Sole. Nelle ore seguenti il viaggio si fece ancora più silenzioso. Quando capitava scambiavano qualche parola, ma per la maggior parte del tempo si limitavano a cavalcare. Per raggiungere le nebbie impiegarono un lasso di tempo che April non riuscì a calcolare. Quando si resero conto che davanti a loro c’erano le paludi che dividevano i due regni, erano entrambi sfiniti. April propose di fermarsi per la notte, ma Starrag scosse la testa. «Proseguiamo. Non ho finito quel che ho iniziato e alimentare i tuoi sigilli mi ruba energie. Nelle tue terre non ce ne sarà più bisogno, o almeno lo spero». Per April nulla di quel che diceva aveva senso, ma discutere avrebbe solo stancato entrambi ancora di più. Là dove la nebbia si alzava e la strada si trasformava in un sentiero leggermente in discesa, Starrag la fece passare in testa. «Non sono mai stato oltre questo punto» disse, quieto. Be’, neanche lei ci era mai stata, prima che ci fosse costretta. Spronò il suo cavallo e fece strada. Il terreno paludoso li rallentò, naturalmente, e riuscirono ad emergere nelle Terre del Sole solo varie ore dopo, stanchi e infangati. Era notte, April avrebbe quasi voluto mettersi a ridere, se non fosse stato per l’espressione pensierosa del Principe Starrag. Lo vide sfiorare con le dita le foglie morbide di un giovane faggio e annusare un filo d’erba. I soldati di guardia li fissarono con terrore, finché April non tirò fuori il suo lasciapassare e si fece riconoscere. A quel punto sembrarono sollevati. «Fermiamoci vicino a quello stagno» propose April, una ventina di minuti più tardi. Lui annuì in silenzio, ma era chiaro che avrebbe annuito anche se lei gli avesse proposto di buttarsi da un burrone. Non la stava ascoltando. Quando smontò da cavallo iniziò a esaminare più da vicino il tappeto erboso, quasi studiandolo. Una cicala gli fece fare un salto indietro. Anche i cavalli sembravano scettici, ma dopo aver annusato con attenzione tutto attorno decisero che da quelle parti si poteva mangiare quello su cui si camminava, e iniziarono a brucare. April si sentiva molto rinfrancata. Era uscita intera dalle Terre Oscure, un’impresa non da poco. «Puoi spiegarmi che cosa è successo stanotte?» gli chiese. Poi riformulò. «Quando eravamo accampati, insomma». Starrag si voltò dalla sua parte. Era chiaro che la considerava molto meno interessante delle piante e dell’erba. «Non capiresti». Quella risposta irritò April più che mai. Starrag Ó hAlluráin doveva salvare la vita al principino, ma era stanca di sentirsi trattare come uno straccio. «Non sono idiota». Lui non cambiò espressione. «Questo non lo so. Ma sei ignorante e, di conseguenza, oltre ogni possibilità di comprensione». «Be’, provaci. Schematicamente. E potresti spiegare anche il resto, già che ci siamo». «Quale resto?» April avvampò. «Il resto!» «Non c’è nessun resto» rispose Starrag. «Un accidenti! E che sia meglio non parlarne sono d’accordo, ma un resto c’è stato eccome. Non me lo sono sognata!» «Che cosa?» «Che tu... voglio dire, che noi... insomma che siamo stati in intimità!» «Le tue circonlocuzioni mi stanno stancando. Non so di che cosa parli». April gli gettò un’occhiata furiosa. «Sesso. Se ti serve la parola precisa, si chiama sesso». Per la prima volta da quando l’aveva incontrato, Starrag emise una risata. «Non abbiamo fatto sesso. L’hai sognato davvero. Fatto interessante, ma non pertinente. Ora vorrei dormire». Senza più parole, April lo guardò stendere la propria coperta sull’erba e poi avvolgersi in un’altra per la notte. Non ebbe alternative se non imitarlo. Davvero poteva aver sognato tutto? Sembrava vero. E... non aveva mai avuto un uomo dentro, come poteva sapere che cosa si provava? Ora lo sapeva e le sembrava impossibile che una simile conoscenza le fosse arrivata in sogno. Non era più probabile che lui non ricordasse che cosa aveva fatto? Forse era così esausto da non essere... del tutto sveglio? Era un pensiero un po’ deprimente, ma sempre meglio dell’idea di aver perso la verginità in sogno. Con quell’uomo impossibile, per di più. Non era già un’assurdità sufficiente? Fu svegliata dall’alba. Dopo tanti giorni di notte perpetua April non fu stizzita come sempre dalla luce improvvisa. Invece socchiuse gli occhi e guardò il cielo tingersi di rosa. Stava per richiuderli e concedersi un’altra oretta di riposo quando fu colta dal pensiero sorprendente che il Principe Starrag non doveva aver mai visto un’alba in vita sua. Lo cercò con lo sguardo. Contrariamente a quanto si aspettava era al suo posto, con la testa sotto la coperta, addormentato profondamente sulla pancia. April rise tra sé e sé. Poi lo toccò gentilmente sul fianco. Il Principe Starrag si voltò dalla sua parte e strizzò gli occhi. Poi li aprì di scatto, la fronte aggrottata. «Cosa…» borbottò. E poi, alzandosi di scatto a sedere: «Il sole!» Alzò la testa verso il cielo. «Dov’è?» «Deve ancora sorgere. Questa è l’alba. Tra poco lo vedrai fin troppo bene». Lui scivolò fuori dalle coperte e si alzò in piedi, sempre con il naso per aria. «I colori… come sono brillanti». «Lo diventeranno ancora di più». Ma era chiaro che Starrag la stava ascoltando con un orecchio solo. Sembrava troppo occupato a guardare. «Sei ancora debole?» Quello lo distolse dall’ammirazione per il mondo circostante. Si posò entrambe le mani sul petto, quasi volesse controllare di essere proprio lui. «No. O meglio, sì, ma va molto meglio. Ora dovremo ripartire. Mi occuperò dei tuoi sigilli dopo aver curato il ragazzino che stiamo andando a salvare». «Non...» «Non devi capire. Non hai bisogno di capire» la interruppe lui. April sbuffò e iniziò ad arrotolare la propria coperta. Il sole sorse quando erano già a cavallo. April notò che Starrag provava ripetutamente a fissarlo, per poi distogliere lo sguardo. «Non dovresti farlo: fa male alla vista guardare il sole». Lui si voltò strizzando gli occhi. «Non vedo quasi niente, c’è troppa luce. È normale?» «Credo che i tuoi occhi siano abituati all’oscurità. Non so se si adatteranno tanto presto alla luce. Quanto è grave la situazione?» A Starrag lacrimavano gli occhi. «Non voglio diventare cieco» ammise, con semplicità. Per un attimo April percepì il suo timore e fu quasi rassicurata nello scoprire che poteva avere delle reazioni umane. «Non diventerai cieco. Tieni gli occhi socchiusi. Tra un po’ passerà. Che cosa riesci a vedere?» Starrag emise un sospiro leggero. «Il cielo è come l’acquamarina, vi galleggiano cumuli di panna. Le nubi, suppongo». «Supponi giusto». «L’erba, le foglie... i tronchi, il mio stesso cavallo... è tutto illuminato da mille candele. Sapevo che doveva essere così, ma la luce è più... è ancora più intensa, è ancora più chiara. I tuoi capelli sono come fiamme, la tua pelle d’oro». «Be’, direi che vedi abbastanza bene». Lui emise un altro sospiro. «Sta migliorando. Fa meno male. La magia qua è sottile, quasi impalpabile». «C’è magia?» chiese April, stupita. «È una magia gentile, come una brezza scioccherella e volubile». «Dici le cose più strane del mondo». Starrag la ignorò. «Perché l’acqua di quello stagno è verde? Non dovrebbe essere trasparente?» Prima che potesse fermarlo, scese da cavallo e andò a controllare. «C’è della verdura qua dentro!» April si mise a ridere. «Sono alghe. Piante subacquee, vedete?» Starrag infilò una mano nell’acqua e la ritirò di scatto quando sfiorò un’alga. «E l’aria è calda. Tutto ha un odore... un odore dolce che dà alla testa». «Suppongo di sì. È primavera». Starrag si guardò di nuovo attorno. Ora sembrava quasi triste. «Il vostro sole è uno stregone molto più potente di me». Per tutto il giorno, il Principe Starrag continuò a fare domande e April a rispondere. Alcune erano piuttosto bizzarre («Quelle cose cicciottelle e verdine si possono mangiare?» – si riferiva ai bruchi), altre di semplice carattere enciclopedico («Cos’è quel fiore bianco e giallo che cresce così numeroso ai lati della pista?» – erano margherite), altre ancora riguardavano gli usi e costumi del luogo («Non date un nome agli alberi?» seguito subito da un «Be’, certo, ne avete troppi…»).
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD