CAPITOLO TRE
Saremmo partiti il giorno seguente. Gli esploratori diedero ai miei genitori una borsa d’argento. All’inizio, mio padre la rifiutò. Così diedi il denaro a Kian e gli feci promettere di nasconderlo fino a quando non ce ne fossimo andati.
Mia madre mi avvolse nel suo scialle preferito, un bellissimo oggetto ricamato con monete di rame sonanti, e mi abbracciò stretta. Le mani erano sporche di tintura, le guance ruvide e raggrinzite per via del vento impietoso. Non era mai stata una donna sentimentale e mi accorsi che non avrebbe cominciato quel giorno.
«Tienilo», mi disse. «Non dimenticarti mai da dove provieni. Non dimenticare che sei del clan Four-Legs. E prova a non farti ammazzare.»
«Non succederà», risposi. «E saranno i Druj a morire.»
Lei fissò lo sguardo su di me. «Spero che sia così. Ora vai, prima che tuo padre faccia qualcosa capace di far abbattere l’ira del satrapo su tutti noi.»
Nessuno abbandonava mai il clan. Ero la prima. Dava una strana sensazione cavalcare dietro Ilyas, lasciare alle mie spalle le tende e i volti familiari. Avevo sempre odiato l’odore delle capre. Ora già mi mancava.
Cinque giorni dopo, ebbi il primo scorcio di Tel Khalujah. Uscimmo da uno degli alti passi e la città si incastonava ai piedi delle colline in basso, le cupole e le guglie del palazzo del satrapo al centro. Mia madre e mio fratello erano stati al mercato lì, ma io ero sempre stata lasciata indietro, non importava quanto li implorassi e mi imbronciassi.
Era la cosa più grandiosa che avessi mai visto, anche se ciò non voleva dire molto, dato che il mio intero mondo fino a quel momento era stato o le montagne o le Salt Plains. Non avevo mai messo piede in una casa, figuriamoci viverci dentro.
«Prima andrai dal magus», mi informò Ilyas. «Risponderà alle tue domande. Quindi potrai scegliere un letto negli alloggi dei novizi.»
Annuii, sentendomi improvvisamente spaventata. E se Ilyas si fosse sbagliato? Cosa mi avrebbero fatto qualora avessero scoperto che non avevo il dono? Mi avrebbero rimandato dal mio clan nella vergogna. Immaginai i volti compiaciuti dei volontari che avevo battuto.
E se invece lo avessi avuto? Non sapevo neanche cosa fosse, non proprio. Né Ilyas né l’altro Water Dog, Zohra, mi avevano detto nulla durante il viaggio. Li avevo sentiti parlare, ma non ero stata capace di capire metà di ciò che veniva detto. Era come se vivessero in un altro mondo. Un mondo in cui stavo per essere spinta.
Il mio stomaco si contrasse mentre cavalcavamo verso i cancelli.
Le guardie fecero il segno della fiamma e ci fecero cenno di passare. Il palazzo del satrapo era fatto di legno e marmo. Persino i servitori che trasportavano l’acqua nel cortile erano vestiti molto meglio di me. Le donne del clan indossavano strati di gonne dai colori vivaci e bei foulard, ma io preferivo i pantaloni larghi e le tuniche dei ragazzi. Dalla morte di Ashraf, ero stata una creatura sporca e selvaggia, persino mia madre aveva rinunciato alla speranza di domarmi. Ora mi trovai a desiderare di aver almeno sistemato i capelli prima di partire. Presi lo scialle di mia madre e me lo avvolsi intorno alle spalle. Il suo odore – fumo di legna e il grasso di pecora che usava sulle sue trecce – mi fece sentire un po’ meno sola.
Mi portarono subito al tempio del fuoco. Quello almeno era qualcosa di familiare. Il clan Four-Legs seguiva gli insegnamenti del Profeta Zarathustra, anche se noi accendevamo i nostri fuochi sotto il cielo aperto.
Era una semplice camera di pietra con un braciere che ardeva nel centro. Il magus era inginocchiato di fronte a esso. La sua testa non si voltò quando Ilyas mi condusse dentro e mi lasciò lì senza dire un’altra parola. Rimasi ferma per un momento, incerta sul da farsi. Il silenzio si allungò. Alla fine, camminai in avanti e mi unii a lui, abbassando il capo in preghiera.
Dammi la forza e la saggezza, Padre. Mostrami la giusta via.
«Qual è il tuo nome, bambina?»
«Nazafareen.»
«Quanti anni hai?»
«Tredici», risposi. «Quasi quattordici.»
«Perché ti sei offerta volontaria per i Water Dog?»
«Io…»
La mia mente si svuotò. Conoscevo la risposta, ma non volevo raccontare al magus di Ashraf. Non volevo dirgli dell’odio nel mio cuore. Di come per le cinque notti di viaggio attraverso le montagne avessi sognato di uccidere esseri senza volto. Di colpirli con la spada mentre un’altra creatura senza volto – il mio daeva? – rideva al mio fianco.
Forse perché, sotto quella sete di vendetta, ero impaurita. Terribilmente impaurita. I mostri erano reali e gli adulti avevano fallito nel tentativo di salvarci da essi. Solo i Water Dog potevano farlo. Era il mio segreto – l’unica cosa rimastami a essere davvero mia – e non volevo condividerlo con uno sconosciuto.
Il silenzio si allungò di nuovo. Faceva troppo caldo nel tempio e potevo sentire rivoli di sudore colarmi lungo le costole. Il magus aspettava.
«Per servire?» riuscii finalmente a dire.
«Lo dici come se fosse una domanda. Perché desideri essere una Water Dog?»
«Per servire», ripetei, questa volta con più fermezza.
«Per servire chi?»
«Il Re… il Re e il Sacro Padre.»
«Ah.»
Potevo sentire i suoi occhi su di me.
«Sai cos’è il legame?»
«È…» Le mie spalle si afflosciarono. «No. Non proprio.»
«È una responsabilità», disse, tirandomi su il mento. «Una grande responsabilità.»
Devo ammettere che rimasi delusa quando lo vidi. Non aveva affatto l’aspetto di un buon magus, o almeno non l’aspetto che la mia mente di bambina si aspettava da un buon magus. Non aveva una lunga barba bianca. Sembrava fin troppo giovane, più o meno della stessa età di mio zio. Ma i suoi occhi castani erano gentili.
«Cosa sai dei daeva?» mi domandò.
«Sono malvagi», risposi immediatamente. Quello era un terreno sicuro. «Demoni. Prima erano liberi, ma adesso sono in catene.»
«Capisci che il legame è la catena? Che tu ne terrai un capo?»
«Io… sì.»
Avevo una vaga nozione dell’argomento per ciò che aveva detto Ilyas e per le storie che avevo sentito, perciò non era una sorpresa.
«Dove ti hanno trovata?»
«Sono del clan Four-Legs.»
Si accorse allora dei miei occhi d’ambra e dei capelli castano chiaro. «Ne hai l’aspetto. Una nomade, dunque. Puoi abituarti a vivere sotto un tetto?»
«Sì, magus.»
Lui sospirò. «Andiamo nel mio studio. Preferirei non continuare l’intera conversazione in ginocchio.»
Non avrei saputo dire se stesse scherzando o meno, così non dissi nulla. Il magus mi condusse fuori dal tempio e, attraverso una porta laterale, nel palazzo. Strabuzzai gli occhi alla vista del mobilio di lusso, dei pavimenti impreziositi da ebano e lapislazzuli e quarzo arrivati da ogni parte dell’impero.
Raggiungemmo una piccola stanza e il magus prese posto dietro un semplice tavolo di legno. «Siediti, Nazafareen», mi disse, indicando una sedia di fronte alla scrivania.
Ci guardammo l’un l’altra per un momento.
«Ti stai chiedendo perché sono così giovane», disse il magus.
Scossi il capo e lui rise.
«Sì che lo stai facendo. Riesco a vederlo nei tuoi occhi. In verità, ho più di cento anni.»
Rimasi a bocca aperta. Non potei farne a meno.
«Il motivo per cui sembro tanto giovane è che ho avuto un legame. Un magus guerriero, anche se ormai non siamo rimasti in molti. Vedi, i daeva vivono per molto tempo. Nessuno sa per quanto. Crescono fino ad arrivare all’età adulta e rimangono così. Quando hai un legame, ti succede la stessa cosa. Se fossi già più vecchia, rimarresti così.»
Provai a comprendere. «Quindi sarei… immortale?» Il pensiero mi scioccava nel profondo. Non riuscivo a decidere se fosse una benedizione o una maledizione.
«Non immortale, ma qualcosa che ci va molto vicino. Avrai un po’ della forza e della capacità di guarire del tuo daeva.» Il magus appoggiò le spalle allo schienale. «Ma puoi sempre morire di una morte violenta e molto probabilmente lo farai. Alla fine. La vita di un Water Dog non è una vita tranquilla.» Sorrise gentilmente. «Ecco perché ce ne servono di nuovi.»
«Sì, magus.»
«I daeva qui sono cresciuti con un legame dalla nascita. Come noi, seguono la Via della Fiamma.» Premette i palmi sulla scrivania e si piegò verso di me. «Abbiamo bisogno del loro potere, Nazafareen. I Druj si agitano al nord, i lupi di Eskander sono alla nostra porta a ovest. Se la guerra arriverà – quando arriverà – avremo bisogno dei daeva per tenere entrambi lontani dalle nostre gole.» Il magus sospirò. «Ma una novizia non dovrebbe preoccuparsi di questo. Immagino che tu non sappia leggere.»
Scossi il capo. Non avevo idea di chi fossero Eskander e i suoi lupi, ma per me non era una novità che i Druj fossero in fermento.
«Faremo a memoria, allora», disse il magus. «Spero che almeno tu abbia imparato un po’ della nostra storia.»
Il tono era amichevole, eppure mi sentivo ancora come una selvaggia. «Sì, un po’.»
«Dimmi ciò che sai e io ti dirò quanto c’è di vero», rispose lui, sorridendo.
Di nuovo, la mia mente si svuotò. «Un sacco di tempo fa ci fu una guerra», dissi velocemente. «Tutti stavano per morire, quando ecco che arrivò il Profeta Zarathustra e mise a posto le cose. I daeva erano malvagi, ma ora servono noi.»
Il magus rise. «Questa è la versione breve, sì. Due secoli fa, i Druj si riversarono dal nord in numeri mai visti prima. Servivano la Regina Neblis e i suoi negromanti. Anche i daeva combattevano tra le loro file e le città-stato vennero presto sopraffatte. Morirono a migliaia. E quindi, nella nostra ora più buia, il Profeta ricevette una visione dal Sacro Padre. Gli mostrò il segreto per realizzare le catene. Una volta legati i daeva, li costringemmo a combattere con noi invece che contro di noi. Le sorti cambiarono. I Druj furono ricacciati indietro. E l’impero fu unificato sotto Re Xeros I.»
«Cosa accadde a Neblis?» domandai.
«Lei ancora regna a Bactria, ma su una terra spoglia e desolata. Da quando abbiamo intrappolato i suoi cugini, non ha osato tentare un’altra invasione.»
«I suoi cugini?»
Il magus batté le palpebre sui suoi occhi da gufo. «Neblis è una daeva. Pensavo lo sapessi.»
Scossi il capo. Non lo sapevo, ma immaginai che avesse senso. Se lei era ancora viva, di certo non poteva essere umana.
«Possiamo non essere in guerra, ma i Druj di tanto in tanto superano i nostri confini a nord ed è compito dei Water Dog abbatterli e mantenere la popolazione al sicuro.» Il magus si strinse le mani. Aveva dita lunghe, eleganti. A differenza delle mie, le sue unghie erano molto pulite.
«Avrebbero dovuto ucciderla», dissi, rabbuiandomi. «Lasciarla vivere fu una follia.»
«Lo pensi davvero, bambina?» Il magus sollevò un sopracciglio. «Quelle terre stavano già sanguinando da migliaia di ferite. Il Re fece ciò che qualunque capo intelligente avrebbe fatto. Creò unità. Xeros espanse l’esercito e insediò i satrapi per assicurarsi la lealtà delle province. Quindi si preparò a costruire un impero. Strade, città, irrigazione. Immagino che tu saresti corsa a Bactria con qualche daeva, lasciando i confini sguarniti. Perché non mandare ai barbari un invito formale, allora?»
Mi agitai un po’ sulla sedia, nonostante il suo tono fosse pacato.
«Ora, ascolta. Avevi ragione su un punto. I daeva sono malvagi, ma la loro magia è diversa da quella degli altri Druj», spiegò il magus. «È quella che chiamiamo magia naturale, mentre i revenant, gli spettri e via discorrendo usano la negromanzia. È un argomento complesso ma, in poche parole, i daeva traggono potere dagli elementi: aria, acqua, terra, ma non dal fuoco. La loro natura da Druj respinge le sacre fiamme. Se provano a utilizzare il fuoco, quello li uccide. Ma guariscono anche da ferite che sarebbero fatali per un uomo e lo fanno velocemente. Ecco perché sono dei buoni soldati.»
Annuii, cercando di memorizzare tutto, ma mi sentivo travolta. Non avevo idea di cosa fosse la negromanzia né di come funzionasse davvero. Non per la prima volta, mi domandai in cosa mi fossi cacciata. A differenza di mio fratello Kian, che parlava lentamente ed era cauto per natura, tendevo a lanciarmi nella prima linea d’azione che mi veniva in mente, un’abitudine che mi aveva fatto finire in risse o peggio. Avventata era la parola che mio padre usava più spesso, anche se la pronunciava con una punta di orgoglio. Mia madre preferiva l’espressione cervello di capra.
«Non c’è bisogno di specificare che tu e il tuo daeva diventerete intimi», continuò il magus. «Il legame è un dono molto speciale. Ma tu non devi mai dimenticare cosa sono.»
«Druj», sussurrai. Quella singola sillaba mi mandò un brivido di paura attraverso le viscere.
«Sì, Druj. Tu servirai il Sacro Padre, quindi il Re, poi il satrapo. A loro devi la tua lealtà. Non conta nient’altro. Lo capisci?»
«Sì, credo di sì.»
«Bene. Ilyas si farà carico del tuo addestramento. Di solito abbiamo una dozzina di novizi, ma tu sei la prima dotata che gli esploratori sono riusciti a trovare in più di un anno. Avrai dei compiti da svolgere al mattino, seguiti dall’allenamento con le armi. Al pomeriggio, farai rapporto a me. Quindi di nuovo faccende. Hai domande?»
Ci pensai su. «Sì. Per quanto tempo sarò una novizia?»
«Il periodo normale è di quattro anni.»
«E quando avrò… quando…»
«Sarai legata al tuo daeva? Non fino a quando non deciderò che sei pronta.»
«Dove vado adesso?» chiesi.
«Gli alloggi dei novizi sono vicini alle stalle. Ci sono molti letti liberi, puoi scegliere quello che preferisci. Sta’ solo lontana dal fiume. Lì è dove ci sono gli alloggi dei daeva.»
«Quali saranno i miei compiti?»
«Quasi sicuramente comincerai dalle cucine. Vai, bambina.» Mosse la mano per licenziarmi. «Ilyas si prenderà cura di te. Lo troverai nel cortile di addestramento.»
Vedevo che la sua pazienza si stava assottigliando, ma non volevo vagare a vuoto e perdermi. «Dov’è il cortile di addestramento?»
«Tra gli alloggi e le stalle. Prendi la strada da cui sei venuta.»
Seguii le sue indicazioni fino ad arrivare a un cortile polveroso. Ilyas non era lì, così mi avventurai nelle stalle. Mi piaceva cavalcare e mi domandai se mi avrebbero dato una cavalcatura al momento di diventare un Water Dog. Il caldo odore di animali all’interno mi fece ripensare a casa. Camminai lungo le stalle, ammirando i cavalli del satrapo. Non pensavo ci fosse qualcun altro, così sobbalzai quando un giovane apparve all’improvviso, portando una giumenta marrone.
Guardò nella mia direzione, la sua espressione più curiosa che ostile, eppure mi sentii un’intrusa. Aveva corti capelli dorati che si arricciavano alla fine e una forma sinuosa ma muscolosa. Immaginai che avesse circa vent’anni. Non avevo mai incontrato nessuno – maschio o femmina – così bello. Era quasi assurdo. Quindi fece un passo verso di me e io capii che la sua gamba era piegata a una strana angolazione. Un piede equino.
«Ciao», disse. «Sei la nuova recluta?»
Annuii. «Sto cercando Ilyas. Lo conosci?»
Sembrò divertito. «Lo conosco.»
Sentii le guance diventarmi calde. Certo che conosceva Ilyas. Viveva lì. Notai quindi la sua tunica blu-cielo, identica a quella di Ilyas in ogni aspetto, salvo per il colore.
«Anche tu sei una recluta?» domandai.
«I novizi indossano il grigio», mi spiegò. «Il mio nome è Tommas.»
«Sei un Water Dog, quindi?» chiesi, confusa.
I suoi occhi, verdi come un prato in primavera, si oscurarono. «Sì.»
Stavo per aprire la bocca per domandargli perché non indossasse il rosso, quando Ilyas entrò nelle stalle.
«Vedo che hai incontrato il mio daeva», mi disse, ignorando completamente Tommas.
Feci un passo indietro. Non avevo potuto farne a meno. Il suo daeva? Non ero sicura di cosa aspettarmi. Delle corna e una coda biforcuta, forse. Una creatura brutta fuori quanto lo era dentro. Ma a quanto pareva erano proprio come noi.
Tommas annuì a Ilyas e condusse il cavallo oltre di noi, verso il cortile. Si muoveva con una grazia stupefacente nonostante la sua infermità. Come un animale. Un predatore. Il ghiaccio mi percorse la schiena.
«Vediamo di cosa sei fatta», disse Ilyas. «Prendi una spada d’allenamento da uno di quei barili.»
Non avevo mai impugnato una spada prima, neanche una di legno. Era più pesante di quanto mi aspettassi.
«Divarica i piedi», disse Ilyas. «La gamba destra in avanti.»
Feci come mi era stato ordinato. Alcune delle serve avevano interrotto le loro faccende. Metà di loro stava guardando Tommas sellare il cavallo. L’altra metà stava ridendo di me.
«Lama in alto», disse Ilyas.
Sollevai la spada e lui la allontanò di lato con la mano.
«In alto e ferma!»
La sollevai di nuovo e questa volta la tenni con fermezza quando Ilyas provò a togliermela.
Ilyas raccolse una spada da addestramento dal barile. «Oggi, tutto ciò che voglio da te è che la tieni in mano.»
Annuii, i muscoli tesi. Un momento dopo, la mia spada stava volando in aria. Ilyas aveva fatto scattare il polso quasi casualmente come se stesse schiacciando una mosca e, di colpo, la mia spada non era più lì.
«Raccoglila», mi ordinò con calma.
Ubbidii.
Mi disarmò ancora. Ancora e ancora. Raccolsi la spada. Le ragazze stavano ridendo apertamente fino a quando Ilyas non si avvicinò a loro e disse qualcosa a voce troppo bassa perché potessi sentire. Si sparpagliarono come un gruppo di galline.
Per quando il sole stava tramontando, riuscivo a malapena a sollevare le braccia. Ma mi rifiutavo di mollare. Ilyas non mi avrebbe spezzato tanto facilmente. Ero del clan Four-Legs.
Quando vide che ero sul punto di crollare, Ilyas mi diede una pacca sulla spalla e sorrise. «Sei andata bene, Nazafareen. Ci vediamo al tempio del fuoco per le preghiere del mattino. Ti daranno da mangiare nelle cucine. Ti ho lasciato delle tuniche da novizio nei dormitori.»
Annuii, di colpo troppo stanca per parlare. Mentre mi incamminavo verso il palazzo, mi chiesi cosa stesse facendo la mia famiglia in quel momento. Probabilmente erano seduti intorno al fuoco, a ridere e a parlare mentre i cani imploravano per avere gli avanzi.
Avevo donato il cucciolo di Ashraf a qualche cugino lontano. Non riuscivo a sopportare di guardarlo. Se le avessi permesso di tenere quella cosa maledetta, mia sorella sarebbe stata ancora viva.