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Varazze, 21 luglio 2004, ore 10,00
La notizia mi giunge mentre sono seduto sulla sabbia accanto a mia moglie Gloria. Siamo al mare in Liguria, dove ci stiamo godendo il nostro primo giorno di ferie tranquille e credo strameritate. Con noi ci sono le nostre bambine di sedici anni che si stanno prendendo anche loro una pausa dagli impegni scolastici e sportivi a cui, devo dire, dedicano anima e corpo.
Sono praticamente due gocce d’acqua, come ci si aspetterebbe sempre da due sorelle gemelle, ma la cosa che le accomuna non è solo l’aspetto fisico: sono entrambe campionesse in due diverse discipline sportive. Andrea è in nazionale di tennis under 16, mentre Fabrizia si reca ogni giorno al poligono di tiro per sparare ad una sagoma dietro l’altra. È proprio mia figlia e con lei non ci sarebbe bisogno di ricorrere al test del DNA per accertare la paternità.
Sono, invece, molto diverse nel modo in cui affrontano la vita: Andrea, spumeggiante ed ottimista, la signorina so tutto io, non rompetemi le palle; Fabrizia, timida e introversa, papà, ho paura di qui, papà, ho paura di là, non senza una giusta dose di temerarietà che tira fuori all’occorrenza.
Mia moglie è distesa sulla sabbia, bella e serena, con il viso non ancora abbronzato e rivolto verso il sole. Gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, morbide e rosse e quando la osservo mi perdo ogni volta fra le pieghe dei suoi dolci lineamenti che me la rendono sempre desiderabile, anche se sono trascorsi quasi diciotto anni dal giorno in cui l’ho sposata.
Andrea e Fabrizia sono qui in giro a godersi il sole, l’acqua salata, la sabbia che scotta sotto i piedi e si fissa sulla pelle abbronzata e un po’ sudata. I capelli lunghi, lisci e chiari si muovono sinuosi al ritmo del vento, i loro corpi ben fatti, un po’ troppo per un padre, mi impediscono di lasciarmi andare completamente a queste rilassanti visioni di mare, colori ed euforia che mi circondano, ovunque porti lo sguardo: al loro passare, scie di occhi si sollevano da qualsiasi cosa stiano facendo e si appuntano addosso a ciò che tento di tenere nascosto il più possibile con abiti e costumi che lascino molto all’immaginazione. Troppi intollerabili commenti del tipo: – Mmm, se fossi un gay, per te cambierei sponda almeno una volta!
A quel punto, mi alzerei a tirar giù pugni e sberle a quei dementi depravati. Poi, come sempre, sento il calore della mano di Gloria sul braccio, accompagnato dal suo sorriso e dal solito sguardo che parla da sé:
– Se non ricordo male, indossavo un bikini vertiginoso quando ti è scattata la chimica e mi hai detto: ‘Scusi signorina, potrei sapere dove compera questi favolosi costumi? Sa, vorrei farne una scorta per la mia ragazza’. E io stetti al gioco, dandoti il nome di un negozio di Pavia, perché quegli occhi verdi e tutto il resto di te... non me li sarei dimenticati tanto facilmente. La sera stessa, sei venuto alla reception del mio albergo eludendo la sorveglianza di mio padre che svolazzava su di me come un falco e che mi ricorda vagamente qualcuno. Così, da bravo poliziotto che, se non ricordo male, eri ancora molto lontano dal diventare, sei riuscito a farmi recapitare la bellezza di sei triangolini di stoffa targati PV che non ricordavano affatto i costumi accollati e fascianti che oggi costringi le tue figlie a indossare. E ti sei, forse, dimenticato di come io cercassi sempre di schivare i tuoi continui tentativi di... Beh, sai di cosa parlo, quindi, mio bel poliziotto, la pianti sì o no?
E ha ragione, come sempre del resto. Ma l’idea che qualcuno possa anche solo sfiorare le mie bambine mi fa accapponare la pelle. Come le cose che sto ascoltando sul cellulare che, purtroppo, devo portare sempre con me per garantire la mia reperibilità nei casi urgenti come questo, di cui sto avendo notizia proprio ora.
Gloria intuisce subito che si tratta di una cosa grave, mentre vengo a sapere che un povero ragazzo spagnolo di sedici anni è stato accoltellato a morte a Milano negli spogliatoi del Tennis Club nel quale Andrea si va ad allenare ogni giorno e dove, proprio ieri, ha perso la sua finale nel campo centrale.
Non riesco a capire se la sensazione di orrore che mi è piombata addosso all’improvviso, è direttamente collegata a ciò che ho appena sentito o al fatto che abbia circolato a piede libero un assassino, probabilmente, a soli pochi metri da mia figlia.
Mi alzo da terra aiutandomi con la mano libera, mentre con l’altra tengo attaccato all’orecchio il cellulare che mi sembra scottare nel palmo della mano al punto da sentire il bisogno impellente di lancialo con tutte le forze nelle acque profonde del mare, per non doverlo ripescare mai più.
Ma, purtroppo, devo continuare ad ascoltare il mio collaboratore Enrico Massimi, ispettore superiore di polizia specializzato nell’elaborazione di profili psicologici sui criminali, che mi sta informando sui particolari tecnici dell’omicidio. Poi, come se fosse la cosa più naturale per lui, ma fantascienza per me, mi dice che sta già venendo a prendermi l’altra mia collaboratrice, Silvia Portèri, sovrintendente di polizia.
L’interruzione delle vacanze appena cominciate la vivo come una grossa ingiustizia nei confronti miei e della mia famiglia, ma un ragazzo è stato ucciso, come posso non fare le valigie e ripartire subito per Milano? Il mio lavoro è così e questo per fortuna anche Gloria e le nostre figlie lo hanno capito bene e comunque abbastanza per vedere, adesso, le tre donne più importanti della mia vita farsi intorno a me, insieme a tre paia di occhi marroni, verdi e verdi dai quali vedo uscire rabbia, delusione, ammirazione, pietà... per quest’uomo ancora tutto bianco come un latticino. Sentimenti che ingaggiano tra loro una dura battaglia dalla quale risultano quasi sempre vincitori quelli che mi fanno andare via senza tanti e tanti sensi di colpa.
“Forza, Luc, vai e uccidili tutti!”.
Benedetta Andrea...
Le parole di mia figlia mi procurano subito un certo sollievo e mi accompagnano fino all’albergo dove, parcheggiato davanti all’entrata, noto il suzukino rosso di Silvia, donna da 39 anni e single da 10. Con qualche chilo di troppo, i capelli lunghi, ricci e neri e una macchina che possiede da tempo immemorabile, comincio a pensare che oramai sia una sorta di arredo permanente della sua vita, Silvia mi guarda con due occhietti vispi e scuri, mentre sono di ritorno dalla spiaggia ancora tutto insabbiato dalla testa ai piedi.
Cammino verso di lei e la osservo mentre abbassa il finestrino. Raggiungo l’auto e mi piego un po’ per poterle parlare, ma con un gesto eloquente delle dita non spegne il motore: “Ciao, Luc. Riunione con Gil tra due ore nel tuo ufficio”.