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Toccalossi e il fascicolo del '44

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Trafiletto

E' appena passato Natale. Il Procuratore Toccalossi e gli uomini del capitano Maugeri potrebbero godersi un po’ di riposo e prepararsi alle vacanze di capodanno. Ma in Darsena una costosa barca viene incendiata la notte del 27 dicembre. Un’inchiesta fiacca che stenta a partire e che potrebbe non portare a nulla. Come l’altro caso a cui Toccalossi sta lavorando: un omicidio avvenuto nel 1944, alla fine della guerra. Un sergente della Divisione San Marco ha sparato a un soldato del suo reggimento, con una raffica di mitra. Il fascicolo, per una serie di meccanismi burocratici, è giunto sul suo tavolo sessant’anni dopo il fatto. Cos’è successo veramente quel 12 agosto del 1944? Perché nessuno ha indagato prima? E, soprattutto, dove passerà lui, l’ultimo dell’anno? Assalito dal ricordo di un amore giovanile e tampinato dalla sua assistente Erminia, invaghitasi di lui, Toccalossi dedica anima e corpo alla soluzione dei due casi con una salda convinzione: l’inquirente ha una sola strada preclusa ed è quella del pregiudizio. Dentro ogni fascicolo c’è la vita delle persone. Un magistrato non ha o non dovrebbe avere nemici da combattere, ma verità da far emergere, piccole o grandi che siano.

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Capitolo uno-1
Capitolo unoUfficio del Procuratore Toccalossi Savona, sabato 27 dicembre, ore 10.00 Un’ultima occhiata veloce all’incartamento processuale finito sul suo tavolo perché reato efferato e quindi imprescrittibile. Un delizioso regalo della Procura Militare, giunto a destinazione con sessant’anni di ritardo. Una velina stropicciata dal tempo… PROCURA MILITARE Protocollo 12 del 1945 Denunzia a carico del Sergente Auro Finanzio, da Milano, del Reparto San Marco, per il reato di omicidio, in persona di Coletti Vincenzo. AL SIGNOR PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di GENOVA e, p.c. ALLA LEGIONE TERRITORIALE DEI CC.RR. – Ufficio Servizio – GENOVA Rif. all’elenco del 7-12-1945 n.14/13 1944 Si trasmette, per competenza, un estratto di elenco dei crimini di guerra pervenuto a questo Generale Ufficio dalla Legione Territoriale dei CC.RR. di Genova riguardante il sergente Auro Finanzio, responsabile del delitto di omicidio. Si unisce, allegata all’estratto predetto, la dichiarazione di Coletti Marisa, moglie dell’ucciso. IL PROCURATORE GENERALE MILITARE (Colantuoni) COPIA Finale Ligure (Savona) COLETTI Vincenzo (fu Giuseppe e fu Bosio Caterina) nato a Finale Ligure località Varigotti Reparto San Marco, agli ordini del sergente Auro Finanzio di anni 22 FATTO Comandante del San Marco uccideva il Coletti con una raffica di mitraglia, nessuno si trovava presente ai fatti. Uno sguardo al cielo, fuori dalla finestra, la mano che esita prima di schiacciare il pulsante… CORTE DI APPELLO DI GENOVA UFFICIO ARCHIVIO ALLA PROCURA GENERALE UFFICO ARCHIVIO GENOVA ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA C/O TRIBUNALE GENOVA e, p.c ALLA PROCURA GENERALE MILITARE DI ROMA In riferimento alla nota di codesta Procura Generale si fa presente che questo ufficio archivio, dopo accurate ricerche effettuate sui ruoli e sulle rubriche delle Sezioni Speciali della Corte di Assise del 1944, ha desunto quanto segue: I fascicoli relativi agli ignoti venivano all’epoca registrati omettendo, per lo più, i dati relativi alle parti lese; detti fascicoli provenivano dalla Procura Generale, venivano registrati sul ruolo della sezione istruttoria e, in seguito ad una sentenza di “non doversi procedere”, venivano archiviati presso questa Corte. Ciò premesso e verificati i numeri di ruolo, non risultano i fascicoli segnalati nell’anno 1944. Relativamente all’imputato Auro Finanzio non si è trovata traccia dell’iscrizione di un procedimento penale a suo carico. IL COLLABORATORE DI CANCELLERIA …poi il dito preme il tasto dell’interfono e poco dopo Erminia compare sulla porta. – Ha chiamato, Procuratore? Lo sguardo abbandona le carte e si solleva a mezz’aria, come un gabbiano stanco che non sa dove atterrare. Perplessità! Una domanda capace di sbalordirlo. Ogni volta! È ovvio che ho chiamato! Questo tasto l’hanno installato appositamente. Lo schiaccio proprio perché qualcuno arrivi. O meglio, non qualcuno: tu, Erminia, tu che sei la mia assistente. Parole non dette. Un sorriso ampio, cordiale. Uno sforzo per trasformare lo sbigottimento in benevolenza. Ben riuscito, a giudicare dal risultato. – Sì. È arrivato il signor Coletti? – È qui fuori. – Lo faccia entrare. Un’altra occhiata veloce all’incartamento… …nato a Finale Ligure, località Varigotti… Erminia si avvia verso la porta. Ma dopo alcuni passi torna indietro. – Ci sarebbero da firmare anche quei decreti. Gli occhi riaffiorano dalle carte. Le dieci del mattino. Una notte trascorsa a firmare. Senza mangiare, senza dormire, unicamente per evadere il lavoro accumulato a Natale. Solo alcuni decreti sfuggiti a questo encomiabile tour de force, quattro, cinque, non di più. Ma Erminia non si sofferma sul lodevole lavoro svolto. No. Preferisce evidenziare l’unica piccola mancanza. Un segnale. Un’ascia di guerra dissotterrata: crudele come l’ultima nocciolina guasta dopo un intero cartoccio di arachidi croccanti. Un paragone capace di stupire. Non poco. Non avrebbe dovuto baciarla la sera di Natale. Non avrebbe dovuto cedere alle sue lusinghe. Ora chissà cosa si era messa in testa, lei? E, soprattutto, non avrebbe dovuto andare oltre, in quel parcheggio nascosto a occhi indiscreti. Erano passate solo cinquantotto ore da quel bacio fatale, da quella imprudente esternazione di affetto, se così la si poteva chiamare, ma già era scattata la raffica di messaggini al telefono. Troppo poche, quelle ore, per troncare una storia, così su due piedi, oppure già troppe. Le ore non sono mai quelle che uno vorrebbe. Erminia ferma sulla porta in attesa di un segnale. Qualunque: un sorriso, un altro bacio, una parola dolce, un abbraccio. Due sfidanti che si studiano. Occhi dentro gli occhi. Poi la mossa, la zampata. Lei si avvicina e dice: – Baciami ancora, Lorenzo – chiudendo la porta alle sue spalle. Come in un film. Di quelli a luci rosse, che non vedeva da tempo. Peccato. Impossibile trovare una via di fuga. Stretto all’angolo in balia dell’avversario. Un pugile senza guantoni e senza ring. Praticamente nudo. Una nudità dell’anima, descritta pessimamente. – Non ho dormito. – Se è per questo, neanch’io. Non ho fatto altro che pensare a te. Maledetto Natale! Ma come aveva potuto? La solitudine. Sì, colpa della solitudine. Brutta bestia. È la solitudine che induce in tentazione, altro che il diavolo… – Magari ne parliamo dopo, c’è il figlio di Vincenzo Coletti fuori che aspetta… Coletti Vincenzo… nato a Finale Ligure, località Varigotti… Varigotti. A volte basta un nulla perché riaffiori un ricordo. – E lascialo aspettare. Voglio sapere se tu… Un rapido sgattaiolare per aprire la porta. Via dall’angolo. L’anima che sguscia. – Signor Coletti? La domanda è rivolta all’uomo seduto sul divano di fronte alla porta, nel corridoio. L’uomo si alza di scatto. Magro, secco. Asciutto, sarebbe il termine esatto. Vita nei campi, sana, addominali ancora efficienti. Vene sporgenti sul collo, pelle arsa dall’esposizione alle intemperie. – Venga pure. Il braccio si allunga per una cordiale stretta di mano. Mani grosse, callose, da contadino. Mani sudate. L’uomo è emozionato, anche se si sforza di non mostrarlo. Tattiche! Erminia esce sbattendo la porta. Tattiche anche quelle. Nuvole scure si schiantano sulle vetrate della Procura. Odore di umido, gabbiani che volteggiano in ruote senza fine. Vento. La Savona di sempre, solo che domani pioverà. Molti individui costruiscono nella loro testa una vita, una biografia immaginaria alla quale finiscono per credere. Visti da fuori, a un occhio esterno, essi sono tutt’altro: impiegati, dentisti, commessi o chissà cosa. Hanno un hobby, una passione, un sogno da realizzare e lo antepongono al loro interlocutore, come un inatteso biglietto di presentazione. – Sa – dicono – io mi occupo di cinema. Mitomani! Fanno riferimento a un cortometraggio girato quindici anni prima, quando sognavano di diventare cineasti, prima che la vita li travolgesse con il suo bagaglio di abitudini. Per una legge fisica misteriosa, tali individui attraggono a sé persone a loro simili: una giovane donna con la passione per la letteratura, ad esempio, capace di autodefinirsi scrittrice per aver, un tempo, pubblicato una lirica sulla rivista parrocchiale. Ecco che il cineasta e la poetessa si incontrano e fanno amicizia. Sono a un party, in casa di amici comuni. Iniziano a discutere scambiandosi opinioni sulla vita, su quanto sia crudele la sorte, a costringerli in abiti che non avrebbero mai voluto indossare. Lui, aspirante regista, condannato a fare il bancario, lei, di vocazione poetessa, reclusa in una biblioteca. Allora la modesta bibliotecaria vede nel regista un suo simile. Lo annusa. Si appartano… Peccato essersene andato così presto da quel ricevimento, la sera prima. Avrebbe voluto sapere come andava a finire. Ma c’erano i decreti da firmare. I pensieri confluiscono nuovamente sul fascicolo del soldato. A forza. – Dunque, lei sarebbe, o meglio, è il figlio di Coletti Vincenzo? – Esattamente. Arturo Coletti. – Sa perché l’ho fatta convocare? – Per quella storia di mio padre? – Già. L’indagato è ancora vivo e certi reati non si prescrivono, anche se ormai ha… dunque… ottantadue anni. Lei sa qualcosa? Sono formalità, qualora si volesse archiviare… – Archiviare? Non hanno già archiviato abbastanza? Mio padre è stato ucciso. E il colpevole non ha mai pagato. Uno sguardo di rassegnazione si dipinge sul viso. Mattina clemente. Il sole ogni tanto fa una breve comparsa nel cielo, rischiarando la città con il suo manto arancione. Sulle alture del Monte Beigua, all’orizzonte, la neve, bianca e lucente, lancia sul mare riflessi argentei, come se la città che si staglia sullo sfondo non fosse nemmeno Savona, ma un luogo ameno di una qualche cartolina ritoccata. A mano. Da un pittore un po’ bravo. Ma non abbastanza da potersi mantenere dipingendo. Un altro che nella vita è costretto a fare ciò per cui non è nato. Chissà se il regista e la poetessa si sono rivisti? Magari lui la sta chiamando, stamattina. Le dice: “Mi è venuta l’ispirazione! Ho preso la telecamera. Andiamo sul mare, sul mare d’inverno, sul mare dove non c’è nessuno. Tu cammini scalza sulla spiaggia, a piedi nudi e io riprendo le tue orme impresse sulla sabbia, inquadro il calco perfetto del tuo piede, così lo riguardo infinite volte quando tu sarai lontana”. Ma questo non glielo dice, lo lascia solo intuire e lei diventa rossa e si imbarazza. Ma perché no? Che altro c’è da fare in una giornata come questa? Uno di quei pomeriggi immobili, quei pomeriggi del dopo festa, quei sabati interlocutori che precedono un’altra solennità, dove tutto sembra disegnato e finto e pare che nulla accada. E invece succede tutto. Si compie il miracolo delle figure che si trasformano. Lei vede in lui un famoso regista, con la sciarpa rossa e il piedistallo e cammina felice, quasi danzasse, volteggia sulle punte, in quella sabbia umida e scura, compiendo ampie giravolte con le braccia, recitando a voce alta la sua poesia, con le lacrime che le bagnano gli occhi. Ma non è tristezza. No. è felicità, gioia per l’attimo che frammenta il tempo, lo decompone sino a squarciarlo in un’esplosione in cui loro sono proprio loro, ciò che desiderano essere, un regista e una poetessa, l’immagine di sé che vorrebbero, cristallizzata in quel frangente, come imprigionata in un blocco di ghiaccio. Lei danza e recita, lui la riprende e la dirige, in una muta sinfonia, solo col gesto e qualche cenno degli occhi. Un burattino, lei, nelle sue mani. è un tempo che non è più tempo, forse è solo un incanto, qualcosa che sfugge, un mistero indefinibile, che però… improvvisamente finisce. Il ghiaccio si scioglie. Forse per colpa di una parola sbagliata, un gesto di troppo, magari solamente un granello di sabbia nella palpebra arrossata. Oppure un pensiero! Un pensiero che si materializza all’istante. La considerazione che, dopo, non ci sarebbe più scampo: una recita all’infinito. Lei per sempre poetessa, lui per sempre burattinaio. è quello che spaventa. Diventare un giocattolo nelle sue mani, mentre intorno la vita reale preme, un fatto riconduce… Così il tempo si ricompatta. Subito. L’esplosione è terminata. Lui ripone il cavalletto, muto, indispettito, (o anche semplicemente incredulo) “cosa mai avrò fatto di sbagliato?” si domanda. Lei si toglie la sabbia dalla pianta del piede, con le mani. Perline di sudore tra le dita. Piccole sfere dorate. …un fatto che riconduce alla realtà. Vorrebbe toglierla lui la sabbia da quel piedino, lo farebbe volentieri, ma lei si è incupita, non ha più voglia. Il telone della realtà si è ricomposto. Lei non parla, lui non sa cosa dire. Torneranno alla loro vita, lei a fare la bibliotecaria, lui il bancario. Non ci sarà una prossima volta. Lo sanno entrambi. Per questo si tengono il broncio. Ci sono amori che durano un momento. Poi restano i ricordi. Incasellati in cassettini nascosti. A volte si riaprono, per caso. Talvolta no. A volte basta semplicemente un odore o un nome… Varigotti… Dall’altro lato della porta, Erminia picchia insistentemente sui tasti del computer cercando di scaricare il suo nervosismo. Sembra il ticchettio desueto di una macchina da scrivere, come quella usata nel 1945 dalla Procura Militare per battere la missiva che rigira tra le mani. – Già! Hanno insabbiato per troppo tempo. Un altro sguardo all’uomo di fronte. Perché ci sono ricordi che riaffiorano? Certi giorni restano, collegati tra loro, altri spariscono per sempre… Come mai, all’improvviso, si ricorda di Esmeralda? La conobbe che aveva diciotto anni. A Varigotti. Sulla spiaggia. Gli occhi si rituffano nelle carte. Una panciata pazzesca. Avrebbe preferito un’entrata in acqua più delicata, atletica, armoniosa, da grande campione, braccia tese, gambe distese. Ma non è mai stato capace. Neanche quella notte… Concentrazione. Ci vuole concentrazione. Perché la sua mente divaga? Prova a immaginare la scena così come si è svolta, tanti anni prima. In un buio ufficio di una caserma: il Procuratore Militare in piedi, che detta, il suo attendente che scrive, una vecchia Olivetti sul cui rullo è inserita una velina con la carta carbone. Un giovane sottufficiale accusato di omicidio, un soldato di venticinque anni morto ammazzato. E un bambino a casa che non rivedrà mai più suo padre. Un bambino che allora aveva sette anni. Quel bambino ora è seduto di fronte a lui. Gli stessi occhi, lucidi, le mani sudate, tanta rabbia dentro. Un bambino di sessantasette anni che reclama Giustizia.

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