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Solo un gioco

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Blurb

Hally Degermark è una giovane sceneggiatrice televisiva la cui prima serie sta per andare in onda. David Ormond è un produttore importante, il cui divorzio dall’attrice Ellen Jacobs è finito su tutti i tabloid. I due si incontrano per caso, restando chiusi nel corridoio di un hotel durante una convention, e tra loro scatta immediatamente l’attrazione. Nessuno dei due vuole una storia seria: Hally sta ancora pensando all’uomo che le ha spezzato il cuore, David non ha nessuna intenzione di impegnarsi con una ragazza tanto più giovane di lui. È chiarissimo che sono troppo diversi e che tra loro sarà solo un gioco, ma a volte i giochi si fanno seri...

-

"Per un attimo, fu uno di quegli strani momenti. Ormond mi guardava e io guardavo lui, in silenzio. Il cuore mi martellava nel petto e mi resi conto con notevole sconcerto di essere semplicemente eccitatissima. A livello fisico, intendo. Avevo i capezzoli duri e mi sentivo le mutande bagnate. Era assurdo e devastante, ma riflettendoci mi resi conto anche di un’altra cosa: era cominciato prima. Mentre eravamo bloccati tra due porte antincendio, mentre provavamo a fare conversazione... avevo iniziato lì a trovarlo sexy da morire. Il modo in cui parlava e si muoveva, il modo in cui mi guardava, con gli occhi chiari e un po’ sornioni. Il suo odore, o meglio, il lievissimo odore della sua colonia. Mi chiesi se mi ero ridotta così perché era un uomo potente o solo perché, dopo Mike, mi bastava che qualcuno sembrasse trovarmi interessante. Che fosse per il primo o per il secondo motivo, non mi piaceva. Non volevo essere una che si bagna per il potere o semplicemente per un po’ di attenzione."

CONTIENE SCENE ESPLICITE - CONSIGLIATO A UN PUBBLICO ADULTO

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1.
1. L’hotel era così pieno di addetti ai lavori che c’era da farsi venire il mal di testa. Per di più gli incontri si tenevano in sale sotterranee, dove le luci artificiali dopo un po’ ti facevano lacrimare gli occhi e dove l’aria non sapeva mai di vera aria, ma sempre di moquette e deodorante per interni. In ogni caso, nonostante il mal di testa, ero attesa alle due e mezza nella Sala H2 per la conferenza stampa sulla prima stagione di Addiction, di cui, in realtà, doveva ancora essere girato anche l’episodio pilota. Non ero sicura che i giornalisti si sarebbero accapigliati per vedere i nostri attori ben poco conosciuti o per sentir parlare Al e me. Oddio, forse Al poteva destare qualche interesse – era già stato il produttore esecutivo di un paio di serie “sfortunate ma interessanti” – io no di certo. Comunque non potevo esimermi. Mi guardai nello specchio dell’ascensore, mentre scendeva. Cercai di lisciarmi le pieghe del vestito nero che indossavo e mi sistemai i capelli con le dita. Il colore mi piaceva ancora molto – erano tra il rosa e il bordeaux – ma il taglio non aveva retto alle ultime due settimane. Il che significava che dovevo cambiare parrucchiere, perché un buon taglio dovrebbe reggere almeno due mesi, secondo me. Invece il mio caschetto sfilato sembrava un caschetto sfilacciato, in quel momento. Potevo sopravvivere anche a quello, ma non ero felice. Scesi dall’ascensore al primo livello sotterraneo, o almeno così pensavo. Seguii una freccia senza leggere veramente quello che c’era scritto sul cartello. Diceva “KWY”, in qualche punto, ossia il nome del mio canale, quindi andai da quella parte e basta. Mi trovai in un corridoio stranamente vuoto. Ora, l’hotel era pieno di addetti ai lavori e di giornalisti, specie ai livelli sotterranei, quindi che in quel corridoio non ci fosse nessuno era un po’ strano. Anche perché non sembrava nemmeno un corridoio come gli altri. Era più basso e più stretto, e alle pareti non c’erano cornici... quindi era un corridoio di servizio che non avrei dovuto prendere, conclusi, mentre spingevo una pesante porta antincendio. Lasciai aperta una metà, per puro caso, e proseguii. Ma davanti a me c’era solo un’altra porta anticendio, chiusa. Provai a spingere un maniglione e poi l’altro. A volte gli esseri umani non riflettono, specie se sono stressati e stanno pensando ad altro. Io, nello specifico, pensavo alla conferenza stampa che avevo di lì a venti minuti e alla sua preparazione. Una parte di me, probabilmente, stava anche ancora rimuginando su Mike e sul modo in cui mi aveva piantata. Era una cosa che facevo in automatico, quando ero già sull’orlo di una crisi di nervi, come se il mio cervello ci godesse a peggiorare la mia situazione. Quindi, con la mente piena di tutte queste cose, avanzai testardamente contro quella porta anticendio, come se aprirla e passare per quel corridoio in cui non avrei dovuto passare rappresentasse una vittoria o roba del genere, o forse solo perché andare avanti e insistere nei propri errori è più semplice che voltarsi e correggersi. La seconda porta antincendio era chiusa. Di fronte a questo fatto, mi voltai e feci per tornare indietro. «Col cazzo, Ellen! Tu solo prova a non farmi vedere i ragazzi e i miei avvocati...» Un secondo prima ero decisamente distratta, un secondo dopo il mio cervello si attivò di colpo e raggiunse le sue piene capacità. Analizzai ogni dettaglio e capii molto velocemente la situazione, giusto un istante troppo tardi. I dettagli erano questi: 1) l’uomo che stava urlando al telefono era molto, molto arrabbiato e non badava a quello che faceva, 2) l’uomo che urlava al telefono era anche David Ormond, noto produttore della potente BANG Productions, il cui divorzio dall’attrice Ellen Jacobs era stato su tutti i tabloid qualche settimana prima, 3) era evidente che stava litigando proprio con lei, 4) mentre lo faceva, si stava sbattendo alle spalle la prima porta antincendio, quella che io avevo aperto pochi secondi prima, 5) eravamo sul lato sbagliato di quella porta, a quel punto. Capii tutto questo e gridai: «No! Non la chiuda!». Ma era troppo tardi e ormai David Ormond si era sbattuto alle spalle la prima porta antincendio, che si era chiusa con un tonfo. Guardò me con gli occhi sgranati e si guardò alle spalle, ma era ancora a mille miglia di distanza, dentro al suo litigio. «Non sto scopando con nessuno e in ogni caso non sarebbero cazzi tuoi. Come ti ho già detto, ci penso io a spiegare ai ragazzi a non dare retta alle stronzate dei giornali, è chiaro? Adesso ti devo lasciare, ho un impegno». Chiuse rabbiosamente la telefonata e tornò a fissarmi. «Che cosa stava dicendo?» chiese. Indicai la porta con un gesto stanco. «Di non chiuderla. Ora siamo bloccati qua». Ovviamente lui non mi credette. Provò ad aprire la porta che aveva appena chiuso e poi provò anche con l’altra, senza risultato. Come avevo già capito eravamo bloccati in una sezione di un corridoio di servizio, tra due porte antincendio installate in modo particolarmente idiota, che si aprivano sul lato opposto al nostro. «Cristo» borbottò Ormond. Sospirò e mi rivolse un mezzo sorriso. «Lei lo sapeva, eh?». «Me ne stavo giusto rendendo conto». Lui tornò a guardarsi intorno. «Dove cazzo siamo, tra l’altro?». «Era un’altra domanda che mi stavo ponendo. In un corridoio di servizio, credo». «A che piano?». «Al primo sotterraneo». Ormond riprese il cellulare e compose un numero, prendendo in mano la situazione o almeno provandoci. «Chris? Sono bloccato tra due porte anticendio al piano -1, in un corridoio per il personale. Vieni a riprendermi, per favore». Mi guardò. «Non so. Sulla destra appena usciti dall’ascensore?». Annuii, anche se non ero del tutto sicura che fosse giusto. «Il primo o il secondo corrioio» dissi. «Hai sentito? Sì, c’è un’altra disgraziata, qua con me. Okay, sbrigati». Chiuse la chiamata e tornò a guardarmi. Nel frattempo anch’io avevo tirato fuori il cellulare, ma io non avevo campo. «Oh, no» gemetti. «Che cos’ha?». «AT&T». Mi passò il suo telefono. «T-Mobile prende» spiegò. Cercai il numero di Al nella mia rubrica e lo digitai sul suo telefono. Mi portai l’apparecchio all’orecchio e sperai che Al rispondesse. Lo fece dopo una decina di squilli. «Signor Ormond?» chiese. A giudicare dalla sua voce, era vicino ad avere un colpo apoplettico. «Ti piacerebbe» risi io. Mi chiesi anche perché avesse il numero di Ormond, ma non era il momento giusto per indagare. «Sono solo bloccata insieme a lui». Spiegai la situazione e gli dissi che comunque stavano venendo a prenderci. «Grazie, ehm, signor Ormond» borbottai, restituendogli il telefono. Lui mi rivolse un sorriso gentile. «E lei è?». «Hally Degermark». Si passò una mano tra i capelli e rise. Risi anch’io, nervosamente. Non ero per niente a mio agio, è ovvio. Era leggermente peggio che essere bloccata con uno sconosciuto. Essere bloccata con uno molto conosciuto mi intimidiva da pazzi. Non sapevo se mettermi a parlare o tacere. E se mi fossi messa a parlare avrei sicuramente detto qualche idiozia... «Aveva un impegno, è vero?» risolse il problema Ormond. «La conferenza stampa della serie per cui lavoro» ammisi. «Anche se probabilmente non noteranno nemmeno la mia assenza». «Quale serie?». Era imbarazzante da matti. Ormond, lì, era a un livello che io, Al e la KWY ci sognavamo. Serie per le TV di tutto il mondo, con attori stratosferici e budget da colossal. «Addiction» dissi, comunque. Non potevo rifiutarmi di rivelargli il nome. Ormond si grattò il mento. «No, mi dispiace». Emisi una risata nervosa. «KWY. E deve ancora andare in onda». Il suo cellulare cominciò a suonare e lui rispose, rivolgendomi un cenno di scuse. Come se la nostra conversazione non fosse stata un imbarazzante tentativo di riempire il vuoto, ma fosse davvero interessato. «Chris? Sì, bene, non c’è bisogno che mi telefoni ogni due minuti. Basta che mi tiri fuori. Non perdere tempo a rassicurarmi, lo so che non mi lasciate qua. Solo che... la signora Degermark, qua, ha un impegno... datevi una mossa, okay?». Gli rivolsi un sorriso pieno di gratitudine. Ormond alzò gli occhi al cielo e sbuffò, chiudendo la chiamata. «E comunque devo andare in bagno». A quel punto risi. Non era il genere di confessione che mi sarei aspettata da uno come lui. Indicai le porte. «Considerando che questa è una trappola in piena regola...» Mi fermai giusto in tempo, prima di diventare volgare. Mi diedi mentalmente un colpo in testa: quello era David Ormond, davvero volevo suggerirgli di pisciare sulla moquette dell’albergo? Lui mi prese alla sprovvista: rise. «Lei ha una mente perversa. E comunque se non ci tirano fuori entro cinque minuti non avrà più voglia di scherzarci sopra. Stavo giusto andando verso un bagno, quando mi ha chiamato quella merda della mia ex-moglie». Alzò le mani. «Scusi, sono ancora incazzato. E comunque è meglio che smetta di parlare di bagni e affini. Meglio distrarsi. Mi dica di Addiction, vuole?». Gli rivolsi un sorriso imbarazzato. «È proprio l’ultima cosa che voglio, in realtà. Potrei parlarle del tempo. Per essere novembre il clima è ancora mite...» «No, via, signora Degermark...» «Signorina» corressi. «...Così mi fa sentire uno di quelli che non volevo diventare. Uno di quei ridicoli personaggi influenti, uno con cui misurare le parole perché potrebbe rovinarti la carriera per una cazzata qualsiasi». Era stato molto lucido e devo ammettere che era più o meno così che lo immaginavo, anche se non l’avrei definito “ridicolo”. Gli mostrai il palmo delle mani. «È solo che... lei è David Ormond». Mi fece l’occhiolino. «E sto per pisciare contro una porta a sua scelta». Risi. «Non vedo l’ora che lo faccia, in realtà». Alzai gli occhi al cielo. «Ma abbiamo detto che non ne parleremo più. E a parlarle di Addiction non ci riesco, davvero. Mi sentirei troppo sotto esame». «Mi dica almeno qual è il suo mestiere». «Sceneggiatrice» mi arresi. «Bene, questo è chiarito. Ha un colore di capelli sorprendente, se posso dirlo senza sembrare paternalistico». Sorrisi. «Be’, l’effetto dovrebbe essere quello: sorprendere». «Mi piace. E mi chiedo anche perché il mio assistente abbia deciso di farsi licenziare proprio oggi». Dovevo ammettere che come salvataggio tempestivo quello di Chris, chiunque fosse, lasciava molto a desiderare. Eravamo chiusi lì dentro da almeno cinque minuti. Per quanto l’hotel fosse grande, era pur sempre un hotel, non una metropoli. «Sono sicura che sta per arrivare» offrii, comunque. Ormond sospirò. «Se avessi trent’anni lo farei sul serio, sa. Ma alla mia età non puoi permetterti di essere provocatorio... la gente pensa solo che la tua prostata sia fottuta». Risi di nuovo. Mi stavo un po’ rilassando, quindi questa volta non risi come un’isterica, ma in modo più o meno normale. «Non è ancora a quel punto». «No, eh? Adesso sembra che mi stia adulando, sa». «Veramente adesso sembra che voglia estorcermi qualche commento rassicurante sul fatto che sembra un sacco più giovane di quel che è. Solo che non ho idea di quanti anni abbia, quindi non lo so, se sembra più giovane». Lui si stropicciò gli occhi. Le luci là sotto erano bestiali, come ho già detto. «Non voglio estorcerle proprio niente. Ne ho cinquanta e sembro certamente più giovane della mia età, visto che mi sono fatto fare un lavoretto al mento». «No!» risi io. Confesso che allungai il collo per guardare. Non sembrava che si fosse fatto un lifting. Sul viso aveva qualche ruga, specie attorno agli occhi, e il collo non era così liscio. Ma nel complesso Ormond era uno di quegli uomini fibrosi che invecchiano orribilmente bene e a cui i capelli grigi aggiungono soltanto fascino, quindi era difficile essere obbiettivi. «Sa, non credo che dimostri un giorno in meno di cinquant’anni». «Preferivo quando adulava». Sorrisi. «Ben portati, però. Solo che ora sembra che io stia flirtando». «Naa. È troppo giovane, non si preoccupi. Chiamo di nuovo Chris». Evidentemente ora era lui quello un po’ a disagio, anche perché un leggero accenno di flirting c’era stato ed era venuto da lui. Lo sentii chiedere al suo assistente dove diavolo fosse finito. Il suo assistente mi sembrò costernato, almeno a giudicare dal tono. «Potremmo non essere al -1» dissi. Mi era venuto in mente all’improvviso, mentre riflettevo sul fatto che era improbabile che non fosse ancora riuscito a recuperarci. «Eh?». «Dico... poniamo di non essere al -1». Ormond chiuse gli occhi e sospirò. «Chris? Forse siamo al -2». Dalla cornetta provenne una specie di grido e Ormond si affrettò a riattaccare. «Forse sarà lui a licenziare me» rise. «Ehm... sono stata io a dire che eravamo a primo piano sotterraneo» gli ricordai. «Be’, lei non posso licenziarla, signorina Degermark». Sorrisi. «È un sollievo». «E comunque non mi ha nemmeno parlato di Addiction. Non avrei nulla a cui aggrapparmi. È la prima sceneggiatrice, sì?». «Sono anche l’ideatrice» confessai. «Devo cercarla su IMDB». «Forse è meglio di no». «Ha scritto cose imbarazzanti?». «Oddio, non penso. Pretenziose, magari. E poche. Intendevo dire che il mio curriculum le sembrerebbe piuttosto misero». Lui mi lanciò un’occhiata calcolatrice. «Non può essere così misero. Un sacco di sceneggiatori hanno fatto poco o niente, alla sua età». «Non sono così giovane» specificai. «Trenta?». «Due». «Oh, scusi» rise lui. Poi scosse appena la testa. «Vorrei proprio che Chris arrivasse». Sbuffai. «Mi volto dall’altra parte. E diremo che sono stata io. Nessuno dirà niente sulla mia prostata». Ormond mi rivolse uno sguardo divertito. In quel momento si sentirono dei rumori nel corridoio. Voci. «Siamo qua!» gridò lui. Una delle porte anticandio si aprì. «In bocca al lupo per la conferenza stampa» mi salutò Ormond, schizzando letteralmente via. +++ Lo rividi poco dopo, che usciva dalla porta di un bagno. Stava finendo di asciugarsi le mani sui pantaloni del suo impeccabile completo e aveva un trentenne pallido e sudaticcio attaccato alle costole. Il trentenne era quello che ci aveva tirati fuori dal corridoio, quindi immaginai che fosse Chris. Chris lo stava evidentemente aggiornando su qualcosa, leggendolo dal proprio cellulare. In quanto a Ormond, lo ascoltava con mezzo orecchio, guardandosi attorno come se stesse cercando qualcosa o qualcuno. «Oh, signorina Degermark» disse, vedendomi. «...E Tom Garrison vorrebbe incontrarla alle cinque» continuò a parlare Chris. Poi si accorse che il suo capo si era fermato e si fermò a sua volta. Per un attimo, fu uno di quegli strani momenti. Ormond mi guardava e io guardavo lui, in silenzio. Il cuore mi martellava nel petto e mi resi conto con notevole sconcerto di essere semplicemente eccitatissima. A livello fisico, intendo. Avevo i capezzoli duri e mi sentivo le mutande bagnate. Era assurdo e devastante, ma riflettendoci mi resi conto anche di un’altra cosa: era cominciato prima. Mentre eravamo bloccati tra due porte anticendio, mentre provavamo a fare conversazione... avevo iniziato lì a trovarlo sexy da morire. Il modo in cui parlava e si muoveva, il modo in cui mi guardava, con gli occhi chiari e un po’ sornioni. Il suo odore, o meglio, il lievissimo odore della sua colonia. Mi chiesi se mi ero ridotta così perché era un uomo potente o solo perché, dopo Mike, mi bastava che qualcuno sembrasse trovarmi interessante. Che fosse per il primo o per il secondo motivo, non mi piaceva. Non volevo essere una che si bagna per il potere o semplicemente per un po’ di attenzione. «Lei ha una conferenza stampa, credo» disse Ormond, interrompendo quel momento. Annuii, confusa. Anzi, non ero confusa, ero nel panico più completo. Sentii che le guance mi diventavano calde e capii di essere arrossita. Così, come un’idiota. Ormond si avvicinò di un passo. Alto, snello, con un’ossatura del viso magnifica, che si fosse fatto ritoccare il mento o meno. «Si sente bene?». Annuii di nuovo. Avrei voluto scappare, ma avevo le ginocchia molli. Ormond mi prese per un gomito, sostenendomi. «No, non credo. Chris... trovale un po’ d’acqua, okay?». L’assistente sudaticcio schizzò via, forse verso un distributore automatico, forse verso una sala conferenze. «Davvero, signorina Degermark... ha cambiato colore». «Dev’essere... per la conferenza stampa...» mentii debolmente. In realtà adoravo il punto in cui la sua mano mi sosteneva. Avrei voluto appoggiarmi a lui, strofinarmi, leccarlo... Ormond mi lanciò un’occhiata penetrante, poi il suo sguardo si spostò e si fece di nuovo indifferente. «Ah, ecco l’acqua. Venga, la accompagno». Mentre lo diceva prendeva una bottiglietta dalle mani di Chris, la apriva al mio posto e me la accostava alle labbra. Il mio cuore sembrava sul punto di esplodere e avevo il respiro accelerato. Bevvi, bagnandomi il mento. Ormond mi asciugò con un dito e i nostri sguardi si incrociarono di nuovo. I suoi occhi restarono nei miei e mi resi conto che aveva capito benissimo. Mi accostò di nuovo la bottiglietta alle labbra. «Piano. Non è niente, ne sono sicuro. Chris? Cancella i miei impegni per il pomeriggio e la serata. Puoi andare». «Eh? Signor Ormond, non può...» «Lo sto facendo» lo interruppe lui, calmissimo. «Poi dire a Tom che ci vediamo domani». «Ma... signore... la riunione che...» «Mi aggiorneranno. È tutto, Chris». L’assistente scosse la testa, contrariato, ma non osò insistere. Se ne andò a piccoli passi veloci e un po’ sostenuti. «Non... doveva...» tartagliai io. Ormond mi prese sottobraccio. «No, eh? Be’, ormai l’ho fatto. Le assicuro che non era niente di essenziale. Come si sente?». «Mh...» «La accompagno alla conferenza stampa. Le dispiace?». Scossi la testa e sorrisi come una scema. «Per niente». Anche lui mi rivolse un sottile sorriso. «Bene». +++ Quando mi vide arrivare a braccetto con David Ormond ad Al venne quasi un infarto. Poi assunse un’espressione vagamente preoccupata. «Hally, stai bene? Signor Ormond, non so come...» iniziò. «Credo che sia un po’ claustrofobica» spiegò lui, tranquillamente. Al sembrava sopraffatto. Aprì la bocca ed emise una specie di vago “eee”, prima di riprendere a ringraziarlo. Ormond lo escluse dalla sua area di attenzione. Era bravissimo a farlo, questo era chiaro. Mi rivolse un lieve sorriso. «Meglio?». Annuii. «Prima della presentazione sarebbe da irresponsabili, ma non appena ha finito le consiglio di assumere una certa quantità di alcool». «Credo che accetterò il suo consiglio, signor Ormond. E offro io, è chiaro». Lui rise sottovoce e lasciò andare il mio braccio. «Non posso rifiutare».

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