IRLANDA, OGGI

1590 Words
IRLANDA, OGGI Questo è il luogo in cui sono morto. Lo stesso in cui ho vissuto. Stava sul ciglio del precipizio, guardando il sole che sorgeva all’oriz­zonte, proprio come faceva ogni giorno dalla morte della sua famiglia, circa mille anni prima. Spruzzi d’acqua gli bagnavano la pelle scura mentre le onde si infrangevano contro le rocce che sepa­ravano il suo antico sguardo dalle gelide profondità sottostanti. Come un monolite, il guerriero rimaneva perfettamente immobile, con le braccia muscolo­se incrociate sull’ampio petto. Se un mortale lo avesse visto avrebbe pensato di avere le allucinazioni. La corazza di cuoio incrociata sui pet­torali era carica di un’ampia gamma di armi, che proseguiva per tutta la lunghezza del mantello di pelle, fino a toccare terra. Coltelli da lancio avvelenati e dardi abbastanza affilati da perforare le scaglie di un drago. C’erano anche una Glock e la sua McMillan. Anche se non amava le pistole, ogni tanto le aveva trovate necessarie. Naturalmente portava il saratai legato alla schie­na: la lama lo seguiva ovunque an­dasse. Infine era provvisto di un ar­senale di esplosivi e arnesi che lo rendevano efficiente e rinomato tra i Guardiani. Pregò le Dee per i suoi cari, rifiutando ancora di accettare il dono datogli dalla Pura. Un pesante accento marcava la sua voce mentre le parole venivano trasportate dolcemente dal vento. Non c’era niente per miglia, egli era al sicuro nelle sue terre. Nel corso degli anni si era assicurato di mantenerle al riparo da sguardi indiscreti. Portato un ginocchio al suolo, allungò una mano e afferrò una manciata di scura rena granulosa. La baciò prima di gettarla nel mare affamato; ebbe così compiuto ciò che era venuto a fare. Fissando il sole, ora completamente sorto, i suoi vivi occhi verdi scintillavano e i capelli neri, liberi dalla stoffa che li teneva legati, gli sferzavano il volto austero. Una cicatrice, residuo della sua vita passa­ta, formava una luna crescente vicino alla tempia destra, ricordando­gli per sempre ciò che era stato e il motivo per cui aveva combattuto l’oscurità. La sua sola e unica ragione di vita. Uccidere le creature che avevano sterminato lui e la sua famiglia su quella stessa spiaggia. Quel giorno non avrebbe ricordato il suono delle risate del suo bambino né quello delle urla che si mescolavano al singhiozzare di sua moglie. Oggi voleva ricordare solamente la bellezza di quel visi­no e il sorriso di Emi, costante nella loro casa. La donna era stata un’anima così soave. Appena il suo cuore fu preso da quella morsa quotidiana di dolore, distolse l’attenzione dal rimorso in arrivo e tor­nò stoicamente alla Fortezza. Rocce annerite dagli anni emergevano dai freddi e scuri prati ver­di, luccicanti per la rugiada notturna. I campi erano spogli dopo la raccol­ta e il gelo aveva iniziato a posarsi sulle distese. L’edera striscia­va sulle pareti come un serpente ed era stata così trascurata che in alcune zone la pietra era scomparsa e si vedevano solo i viticci. Kelt non si occupa­va di quelle dannate piante ma a Emi piacevano, così lui le aveva lasciate crescere più che aveva potuto. Sarebbe stato in grado di ordi­nare che venissero tagliate alle radici ora che avevano quasi completa­mente ricoperto il castello? Scacciò via il pensiero e, facendosi largo tra la vegetazione troppo cresciuta, si diresse verso casa. Aveva solo quattro custodi per la cura e il mantenimento del ma­niero, ma questi non sapevano chi fosse in realtà. All’incirca ogni dieci anni li mandava via con le borse piene a cercare un nuovo im­piego e ne prendeva quattro nuovi. Non notavano mai che lui non invecchiava: d’altronde si faceva vedere raramente dai suoi domesti­ci. Avevano precisi ordini di non attardarsi quando lui era in giro per la casa. Nella stagione della semina, i lavoratori che curavano i campi venivano e tornavano ogni giorno dai villaggi circostanti. Tutto ciò, naturalmente, non impediva che le voci sul Signore della Fortezza si diffondessero nel paese. Ma preferiva le chiacchiere e la paura piut­tosto che l’intromissione di esseri umani, ed egli aveva dovuto mantenere la finzione di possedere un castello in piena attività per non far sorgere ulteriori sospetti. Inoltre non avrebbe potuto soppor­tare di vedere ridotta in rovina la dimora in cui la sua famiglia aveva vissuto per secoli. Gli uomini che si occupavano della reggia lo consideravano come un’ombra, sempre lontano per affari di cui non si sapeva la natura. Li pagava a sufficienza e loro non facevano domande. Un Guardiano si poteva fidare poco, con tutti i segreti che custodiva, e non poteva entrare in confidenza con nessuno a eccezione dei suoi fratelli. Alcuni di loro avevano fatto amicizia con degli umani, ma lui non si sarebbe mai permesso di legarsi a esseri in grado di perire in un battito di ciglia. Man mano che il suo stomaco cominciava a brontolare chiuse gli occhi e si diresse dalle sue terre verso la tenuta del suo Capo e amico fraterno, Lucio. Laddove Keltor prediligeva la fredda pietra come principale decorazione per la sua dimora, non avendo bisogno di cal­do o colore, l’amico era il suo esatto opposto. Stava nel suo studio circondato da libri e con il fuoco crepitante, superfici di pelle scura e rovere lucidato ovunque. Quel luogo non solo era la sua casa ma an­che la roccaforte del loro clan. Lucio era il più anziano e tutti consa­cravano a lui la vita e la spada. Era stato il primo, la sua nascita come Immortale non era avvenuta come per gli altri. Lui era il diretto di­scendente della Pura, l’unico tra loro a essere stato creato dalle Sue mani. Non era nato umano per poi essere trasformato dal veleno in­stillato nei loro corpi. Gli Immortali erano scelti dalla Pura, ma solo Lucio era suo. Lucio portava rispetto a sua “madre”, mentre Keltor la considerava per lo più una meretrice per non avergli permesso di morire e di andare nell’aldilà con la sua famiglia. Respirò profondamente, la stanza profumava di olio all’arancia utilizzato per pulire le numerose superfici di legno. Camminando verso gli scaffali allungò il braccio e fece passare il dito sulle antiche rilegature. L’amico aveva accumulato una collezione di libri che era­no unici al mondo. Tutti gli esseri di ombra che avevano combattuto si trovavano in quei tomi, creature che non erano state avvistate per decadi o addirittura secoli grazie ai Guardiani. Avvertì una brezza sulla guancia e si girò velocemente, le labbra pie­gate in quello che era il suo miglior tentativo di un sorriso. «Fra­tello.» Il viso di Lucio era raggiante mentre lo abbracciava. L’Immortale era senza difetti, sia dentro che fuori. Capelli di seta gli scendevano sulle spalle e i suoi occhi erano blu ghiaccio. C’erano forza e grazia in ogni cosa che faceva, incluso seminare la morte tra le Ombre. Non c’era da meravigliarsi che fosse lui a guidarli. Era ancora capace di provare sentimenti, pur avendo visto più di tutti loro. Un sorriso che mostrava denti perfettamente bianchi lo salutò. «Keltor, come stai fratello?» La voce profonda risuonò nella stanza. «Mi hai chiamato, Lucio? Cosa c’è stavolta? Ti prego, dimmi che è un dannato Bianco», borbottò, stringendo l’altro in un vigoroso ab­braccio. «Devo tornare al più presto sul campo: sto perdendo la testa a giocare con questi piccoli demoni vaganti.» Una risata bassa increspò la stanza. «Temo che ancora non se ne vedano ma sarai tu a ricevere l’incarico di dar loro la caccia, hai la mia parola. Questo è uno strano susseguirsi di eventi, ma sento che tu sei l’unico a cui rivolgersi, a causa del tuo particolare… distacco.» Si diresse verso il recipiente della frutta sul tavolo, prese alcune fra­gole e le portò alla bocca. Le sopracciglia di Keltor si alzarono per la curiosità, ma rimase in silenzio mentre aspettava gli ordini. «Be’, sarà più semplice mostrartelo, naturalmente. Sembra che ci sia un altro Custode al mondo, ma lei non sa di esserlo.» La sua mente cominciò a girare. «Lei? Ma Lucio… come?» Scuotendo la testa di rimando, l’altro lo guardò solennemente. «Non sappiamo come abbia potuto restare fuori dal radar così a lun­go e senza preparazione, è anche difficile comprendere come non l’abbiano già catturata. E per quanto concerne il fatto che sia una lei, non sappiamo neanche come sia potuto succedere. L’adorata mam­ma dice di non saperne niente.» Keltor inspirò forte e incrociò le braccia sul petto nel suo solito at­teggiamento di sfida. «E cosa vuoi che faccia con questa informazione? Un Custode bambino non è di mia competenza.» «Per ora proteggila; gli altri acclamati fratelli non riescono a resi­sterle. Poi trovale un insegnante, cosicché potrà difendersi da sola.» Osservò il capo con sdegno evidente. «Vuoi che faccia da baby sit­ter? Sicuramente c’è qualcuno più adatto di me. Sono un cacciatore non un guardiano di bambine mortali. Che ne pensi di Dericho? O di Thaelin? Anche il nostro giovane Tress potrebbe andare bene per gestire la faccenda.» «No», disse l’altro, scuotendo la testa. «Non posso affidarla a loro. Sono tutti bravi ragazzi, ma probabilmente lei si opporrà e avrà biso­gno di qualche… metodo non ortodosso che le permetta di capire. I suoi poteri sono forti e tu sei l’unico che non cadrà sotto la loro in­fluenza, ne sono sicuro. Ho bisogno di un antico: tu conosci il prezzo di un Custode che cade nelle tenebre.» Sebbene il petto di Keltor restasse saldo, le sue spalle si abbassaro­no in segno di disfatta. Non era passato molto tempo da quando il suo stesso mentore era caduto nell’Ombra perché un Custode era andato perso. Lanciò sottovoce maledizioni nella loro antica lingua: non voleva perdere un altro amico a causa dei bastardi dell’altra par­te. «Sì, il prezzo è alto. Ma, tanto per essere chiari, non ti aspettare da me calore e comprensione per la ragazza. Non ho abbastanza pa­zienza per sopportare i piagnistei semmai ne avessi avuta. E la vita in cui sarei potuto essere diverso è finita ormai. Farebbe meglio a trovarsi un insegnante presto, Luc.» Si girò a guardarlo. «Dov’è dunque la giovane mortale?» «Vieni, libereremo Thaelin dal ruolo di sentinella e te la mostrerò. Ma Kelt, non è così giovane; questo è un altro dei motivi per cui do­vrai occupartene tu stesso.» Lucio si dematerializzò prima che Keltor gli potesse chiedere cosa diavolo intendesse.
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