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Heart Strings (Il Fuorilegge della Magia Nera - Vol. III)

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Blurb

La magia nera ha una pessima reputazione. Fidatevi di me. Quando le persone mi vedono, non vedono Cisco Suarez, vedono un farabutto. Un incantatore di ombre. Un fuorilegge della magia nera.

Magari hanno ragione. Magari tutto quello che tocco appassisce e muore. Ma questo non dà il diritto a un team SWAT di entrare nel mio rifugio con le armi spianate.

Da non crederci. Qualche danno collaterale al municipio e di colpo ti ritrovi a essere il nemico pubblico numero uno.

Ma ora anch’io mi sono dato un po’ alla politica. Ho persino il mio poster da ricercato. Quiz a sorpresa: chi è più pericoloso? Un mago cospiratore, un elementale vulcanico o un politico corrotto di Miami?

La risposta potrebbe sorprendervi perché neanch’io me la aspettavo.

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CAPITOLO UNO
CAPITOLO UNO Il mio regno per una notte di riposo. In effetti, un rifugio nel bel mezzo delle Everglades difficilmente può essere considerato un regno in senso stretto, ma era tutto ciò che possedevo. Una rimessa abbandonata, con un tetto ondulato e porte e finestre oscurate da assi, sprovvista dei più semplici comfort quali elettricità o aria condizionata, a meno che non si considerino gli spifferi. Era proprio per questo motivo che il mio materassino da campeggio era relegato nell’unico angolo in cui la pioggia di Miami non arrivava. In quel momento stava solamente piovigginando, ma il rumore che le gocce producevano sul sottile tetto di metallo mi ricordò vagamente la sezione di percussioni di una parata. Intorno al mio letto, c’era una serie infinita di confezioni accartocciate di Taco Bell. Dei veri abomini culinari, a pensarci bene, ma estremamente saporiti. Non intendo scusarmi per il disordine. Quella adesso era casa mia. La mia realtà. Più che altro una necessità. Così, me ne stavo lì, al buio, a fissare il soffitto arrugginito, domandandomi cosa avessi mai potuto fare per meritarmi una vita così movimentata da non riuscire a chiudere gli occhi neanche per un momento. La vita del fuggitivo nei film sembra così affascinante perché dura solo due ore, ma la percezione cambia radicalmente quando si è in fuga sette giorni su sette. Eccomi qua, Cisco Suarez, incantatore di ombre, negromante, fuorilegge della magia. Dio, quelle etichette erano così specifiche. Il fatto è che quei nomignoli non mi rappresentavano per niente. Vi assicuro che non c’è niente di romantico nel dormire su un pavimento freddo e umido. Certo, la magia nera ha sicuramente dei benefici. Gli animisti come me sono in grado di incanalare l’energia spirituale a proprio vantaggio. Per esempio, in quel momento, il mio protettore, Opiyel, mi stava permettendo di vedere tra le tenebre. Questo potere mi era piuttosto utile, soprattutto lì, nella natura selvaggia. Di solito, quando la gente sente nominare la palude delle Everglades pensa Cristo, ci sono gli alligatori, non ho forse ragione? Credetemi, quei piccoli rettili sono innocui. È dei ragni che vi dovete preoccupare. In quel momento la mia rimessa ne era priva. Penserete che la cosa avrebbe dovuto rasserenarmi al punto da farmi dormire ma, se mi fossi rilassato troppo, chi si sarebbe assicurato di tenere a bada i ragni? Passavo il tempo ad ammirare una foto della mia ex ragazza consumata dal tempo, in cui i suoi bellissimi occhi erano parzialmente celati da un ciuffo di capelli biondi. Credetemi, il fatto di essere morti da dieci anni lascerebbe un segno su qualsiasi relazione, ma la nostra era piuttosto speciale. Emily e io avevamo un rapporto di amore e odio. Più che altro una storia tipo: fingo di amarti ma in realtà desidero ucciderti. Amore e odio però ha meno parole. Il punto era che il mio mondo era stato rivoltato. Il ritorno dal regno dei morti, così come essere diventato un fuorilegge, non si era rivelato poi così divertente come mi aspettavo. Ma tutto quel dolore almeno dimostrava che ero ancora umano. Accidenti, Cisco Suarez, l’infame fuorilegge, stava piagnucolando sulla foto della fidanzatina degli anni dell’università. Se avessi avuto una radio avrei ascoltato un album di Steven Patrick Morissey o qualcosa del genere. Grazie a Dio, il mio momento di autocommiserazione venne interrotto. Un gracidio nel retro della mente mi riportò alla realtà. Afferrai il fischietto d’argento che avevo lasciato vicino al letto. Era il mio feticcio. L’argento è importante nella negromanzia e mi aiuta ad ascoltare ciò che le ombre mi comunicano. Una delle mie rane cubane aveva qualcosa da dirmi. Ero rimasto bloccato in quel nascondiglio per qualche settimana, perciò mi ero costruito un piccolo esercito con ciò che avevo a disposizione. Potete chiamarli zombie. Avevo avuto diverse rane: Kermit, Dig’em, Michigan J. Questa ormai era Kermit n.4, perché a quanto pareva gli alligatori e i serpenti locali non avevano un palato tanto raffinato e divoravano tutti i miei ragazzi, vivi o morti che fossero. Dovevano essere tempi duri per le Everglades. Sospirai e chiusi gli occhi per vedere attraverso quelli di Kermit, immaginandomi le fauci spalancate di un predatore, intento a gustarsi il suo snack. Torce. Giubbotti antiproiettile. Uomini vestiti di nero stanno marciando nel silenzio della palude. Mi sedetti. Quattro, sei, sette uomini. Equipaggiamento da SWAT, anche se sul retro delle giacche c’è scritto… DROP TEAM. A quanto pareva la polizia mi aveva trovato. Possibile che non mi fosse mai concessa una tregua? Dai fuoco alla City Hall, trasformi il cortile di un politico in un Thunderdome e di colpo diventi il nemico pubblico numero uno. Sgusciai fuori dal sacco a pelo, e mi infilai i jeans e gli stivali rossi in pelle di coccodrillo. La canottiera bianca ce l’avevo già addosso. Presi la corda nera e poco prima di fissarla al collo vi inserii il fischietto; dopodiché presi la cintura con la fibbia raffigurante un teschio gigante e un pentacolo e me la infilai nei jeans. C’era anche il sacchetto pieno di simboli e oggetti utili alla magia. Infine, visto che il mio stile mi sembrava troppo sobrio, legai un collare borchiato per cani all’avambraccio destro. La maggior parte degli stregoni indossava tuniche e lunghi trench, ma io non ero un tipo comune. Mi voltai verso l’unica mensola di metallo alla parete. Vasi sporchi e impolverati e pelli essiccate di animali giacevano accanto a dei denti di vampiro di metallo, insieme a una maschera incantata avvolta in un sacco di iuta. Possedevo anche cose da comune mortale. Per esempio, avevo un vecchio album di famiglia – in cui avevo trovato la foto di Emily – uno spazzolino… avevo delle cose mondane, ma non avevo mai il tempo o l’occasione di utilizzarle. Il mio sguardo si posò sulla cassaforte di piombo all’angolo della stanza. Voi non lo sapete, ma dentro c’era un unico oggetto: un antico corno di bue placcato in oro con dei pittogrammi di epoca Taíno. Si trattava del Corno dell’Asservimento. Nel caso in cui il nome non fosse abbastanza esplicito, era un inquietante artefatto negromantico. «Svegliati, spagnolo. Abbiamo compagnia.» Due sfere rosse come semafori apparvero nell’oscurità e presero a fissarmi. Attorno agli occhi, comparve un teschio. Poi si materializzò anche il resto del corpo. Indossava un elmo con una piuma, un’armatura sul petto e un paio di pantaloni ampi. Uno stocco e un fucile a pietra focaia gli pendevano dalla cintura. Vi presento il mio esile alleato: il fantasma di un conquistador morto secoli fa e rimasto intrappolato nel Corno. Uno spettro. «Avevi detto che questo posto era sicuro», gracchiò. Feci una smorfia. Lo facevo sempre, quando vedevo lo spagnolo. Le calze erano strappate e indossava dei guanti senza dita. Sarebbe stato meglio se tutto il corpo fosse stato fatto solo di ossa, invece dei pezzi di carne verdastra gli avvolgevano parte delle braccia e delle gambe. Nel mio settore, ero abituato a vedere morti innaturali, ma quel tizio vinceva il primo premio. «Che posso dire?» biascicai, mentre mi infilavo in tasca del denaro e un telefono usa e getta. «La polizia mi ha trovato.» Lo spettro non aveva sopracciglia, eppure sembrava che ne avesse appena sollevato uno. «Le autorità, gli umani. Ci sono degli occultisti tra loro?» Scossi il capo. «Nessun animista nel gruppo. Soltanto dei fucili semi-automatici.» «Allora qual è il problema? Sei in grado di sbarazzartene da solo.» «Il problema», dissi, sperando che questa volta il fantasma mi ascoltasse, «è che io agisco secondo una logica differente dalla tua. Io sono un bravo ragazzo. Gli uomini là fuori sono bravi ragazzi. Non vorrei ucciderli.» Incrociò le braccia. «Ma loro uccideranno te.» «Be’, sì, ma solo perché questo è quello che gli hanno insegnato.» La situazione era abbastanza ingiusta, ma non volevo dare soddisfazione allo spettro. Quando era in vita, faceva parte di un’armata di conquistadores che aveva sottomesso il popolo degli Arawak, nativi dei Caraibi. Per quanto ne sapevo, lo spagnolo aveva praticato le arti oscure sugli schiavi Taíno. Era diventato un esperto nel controllo della morte, finché gli sciamani locali non lo avevano imprigionato con le loro arti magiche all’interno del Corno, che poi avevano sigillato con dell’oro incantato. Non posso dire che mi fidassi completamente dello spettro. Ma non potevo ignorare il fatto che di recente mi avesse dato un sostanzioso aiuto, e che avesse promesso di farlo ancora. A casa mia, sono le azioni a parlare e non certo il terribile aspetto scheletrico di un fantasma. E poi fino a quel momento si era comportato in modo corretto. Lo spettro mi vide osservare la cassaforte in cui era contenuto il Corno. «Hai trovato la chiave?» La chiave. Dopo una recente (e insolitamente massiccia) attività paranormale avevo trovato la cassaforte di piombo in questione in una discarica. Al tempo, non disponevo di tante informazioni ed ero convinto che il Corno fosse la fonte di tutti i miei problemi. E forse in parte lo era, ma ora era irrilevante. Speravo che il rivestimento della cassaforte avrebbe impedito a qualsiasi spirito di uscire. Se era un deterrente, lo spagnolo se ne era accorto. Anche se inutile, la cassaforte era pur sempre il posto più sicuro del mio nascondiglio. D’altronde non potevo tenere in bella mostra un oggetto del genere. Tuttavia, in quell’ultima settimana, a quanto pareva avevo riposto la chiave nel posto sbagliato. E adesso che i poliziotti mi stavano con il fiato sul collo ero costretto a restare lì perché non potevo far sparire l’artefatto. «Se non hai intenzione di ucciderli allora devi scappare.» Digrignai i denti. «Non posso consegnarti a loro.» Lo spettro fece spallucce. «Posso occuparmene io, se me lo permetti.» «Non sarebbe tanto diverso che se lo facessi io. Ma non far loro del male», insistetti. Caspita, più si va avanti negli anni, e più si diventa inflessibili. Immaginate quanto potesse essere difficile cambiare la mentalità di un negromante di cinquecento anni. Un sospiro privo di emozione fuoriuscì dalla mandibola d’avorio dello spettro. «Molto bene, brujo. Se questo è ciò che desideri, posso confondere le menti dei mortali.» «Un’illusione?» «Più che altro un suggerimento.» Lo guardai con un’espressione corrucciata. Sottomissione. Avevo già avuto un assaggio del potere che lo spettro era in grado di esercitare sulla mente, quando aveva convinto un santero da quattro soldi a ficcarsi un proiettile in testa. Mi domandai fino a dove arrivassero i suoi poteri manipolatori. Su di me non avevano effetto… almeno credevo. In genere, gli incantesimi di costrizione sono più difficili da effettuare su soggetti magici. Ma la cosa non mi rendeva immune. Sapevo per esperienza personale quanto in realtà fossi vulnerabile. «E va bene», dissi. «Fai giusto in modo che non ci vedano.» Lo spagnolo annuì. «Mi limiterò semplicemente a oscurare la nostra immagine all’interno delle loro menti. Vedranno solo l’interno di quest’umida rimessa, e i tuoi effetti personali saranno così indegni di nota da passare inosservati.» Annuii. «Ci sono due complicazioni», notò lo spettro. Ricontrollai attraverso gli occhi di Kermit. Dei poliziotti armati si muovevano velocemente lungo il sentiero della palude. Sarebbero entrati a momenti. «Svelto.» Lo spettro inclinò il capo. «Sono pronto, ma non posso oscurare la tua presenza. Sei un essere vivente, l’oggetto dei loro desideri… è troppo.» In situazioni normali sarei sparito tra le tenebre. Diciamo che era la mia specialità. In quel caso però era rischioso. Finché la stanza fosse rimasta nell’oscurità sarei stato nascosto, ma la cosa non mi avrebbe protetto a lungo perché gli agenti del DROP team avevano delle luci a led sui fucili. Scrutai le porte. Quella più vicina a me (da cui stavano arrivando i poliziotti) dava sul sentiero della palude ed era sbarrata. Le porte in metallo a saracinesca che davano sulla banchina erano chiuse. Sollevarne una avrebbe comportato un gran baccano. C’era un’altra porta, identica alla prima, verso la fine della rimessa. Mi sarei comunque diretto da quella parte e poi sarei scivolato nelle Everglades. Iniziai a muovermi verso il retro dell’edificio. «Tornerò quando tutto sarà finito», gli dissi. Il mio compagno sollevò la mano per fermarmi. «Non è così semplice, brujo. Finché sono legato al Corno, la mia magia necessita della presenza di un altro occultista.» Arricciai le labbra a quella novità. «Senza di me non puoi fare nulla?» «Nel senso che intendi tu, no.» Iniziavo a capire perché così tanta gente desiderasse quel Corno. Ancora venti secondi e sarebbero entrati. «’Fanculo, amigo. Non ho nessuna intenzione di vendere la mia anima proprio oggi.» «Le mie necessità sono meno drammatiche. Ho semplicemente bisogno di averti a portata di mano e che tu acconsenta all’incantesimo.» Le sue parole mi fecero raggelare il sangue. Se era vero che non poteva usare il suo potere senza il mio consenso, per quanto implicito, significava che avevo voluto che il santero morisse. «Una volta scagliato l’incantesimo», continuò lo spagnolo, «sarò in grado di proseguire senza di te.» Spalancai la bocca per dirgli che avevo cambiato idea, ma il suono degli stivali che sprofondavano nel fango interruppe la conversazione. Mi allontanai dalla porta e mi diressi in fondo all’enorme area. La rimessa aveva un tetto molto alto che sporgeva dalla facciata. Ricordava una sorta di portico coperto in cui venivano ammassate le barche. Sebbene l’edificio fosse ben schermato dalla pioggia, un paio di aree erano esposte, nei punti in cui le pareti erano crollate. Vi si poteva accedere con la stessa facilità con cui si poteva salire sulle travi che si incrociavano sopra di me. Non distanti quanto il soffitto, ma comunque irraggiungibili. Saltai più in alto che potei verso la trave di legno. Una spirale d’oscurità avvolse il mio polso come un serpente, spingendomi diversi metri più in alto, finché le mie braccia non trovarono un appiglio. Per un esperto di magia delle ombre era un gioco da ragazzi. Qualcosa sbatté contro la porta d’ingresso. Questa si aprì con violenza, ma non del tutto. Ecco perché era stata sbarrata. Stranamente, non ci furono altri tentativi. Di colpo calò il silenzio. L’unico rumore che si udì ricordava il suono di una moneta che rotoli su una superficie di cemento. La mia confusione si trasformò in shock quando mi resi conto che l’intera rimessa esplodeva in uno sfavillante bagliore bianco.

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