L'impressione che Emanuele aveva di Lucia era che fosse una ragazza molto vivace e socievole. Non aveva un aspetto particolarmente adorabile o innocua, ma ciò che la rendeva affabile era il suo sguardo: quando guardava gli altri, i suoi occhi brillavano come se stesse rivedendo un vecchio amico. Il suo sguardo esprimeva continuamente amicizia e calore, ed era proprio il tipo di persona solare e generosa che tutti trovavano irresistibile.
Quando era presente, si creava immediatamente un'atmosfera di familiarità; qualsiasi cosa dicesse, era impossibile non crederle o non volerle fare un favore.
Durante la loro ricerca delle telecamere e delle testimonianze, Emanuele aveva notato la differenza. Quando lui chiedeva informazioni, veniva liquidato con poche frasi:
"Non ho visto nulla."
"Qui passano e ripassano persone, chi se lo ricorda?"
Ma quando era Lucia a chiedere, sembravano che avessero incontrato una amica di lunga data e iniziavano subito a chiacchierare con lei; anche senza indizi concreti, i proprietari si sentivano in colpa per non poterla aiutare e promettevano di chiedere ai loro dipendenti, facendole sapere se ci fossero novità.
Anche Emanuele si sentiva così. Nonostante si conoscessero da poco più di un giorno, si era trovato a dirle informazioni personali, un impulso inspiegabile che lo aveva spinto a confidarsi con questa giovane studentessa.
Oggi, però, c'era qualcosa di strano: Lucia continuava a tenere il suo quaderno degli errori in mano, leggendo silenziosamente, senza parlare con lui.
L'atmosfera tra loro era diventata un po' imbarazzante, considerando che si conoscevano solo da due giorni.
Emanuele si chiedeva perché continuasse a riporre speranze in una semplice studentessa.
Anche se lui era già laureato, non aveva mai vissuto eventi tumultuosi, e non capiva che il legame con Lucia derivava dal modo in cui lei gestiva le interazioni.
Alcune persone hanno una capacità innata: basta che lo vogliano, e chiunque le incontri per la prima volta si sente immediatamente a proprio agio, come se fossero affidabili e capaci di comprendere chi hanno di fronte.
Emanuele era una persona introversa, che non sapeva come gestire le relazioni interpersonali. Quando stava con Lucia, era lei a occuparsi dell'aspetto sociale, facendolo sentire a suo agio.
Ma oggi, con Lucia preoccupata per qualcosa, quell'atmosfera amichevole era sparita, lasciando Emanuele nell'imbarazzo.
"Quello è il tuo quaderno degli errori, giusto?" chiese Emanuele, cercando di rompere il silenzio.
Lucia, accorgendosi del suo imbarazzo, ripose il quaderno e sorrise: "Prima di uscire, ho promesso a mia madre che lo avrei guardato. L'ho fatto, quindi posso dire di aver completato il mio compito."
"Ah, capisco." Emanuele annuì.
Lucia iniziò a chiacchierare con lui, chiedendogli della sua infanzia.
Calcolò che, quando si era verificato il primo caso di omicidio, Emanuele doveva essere ancora un neonato.
"Da piccolo ero un bambino molto esigente, piangevo tutto il giorno. Sai, il pianto dei neonati è molto fastidioso, e mia madre era una persona molto irascibile. Non voleva prendersi cura di me, così mio padre correva avanti e indietro tra casa e scuola; tutti dicevano che in quel periodo era dimagrito di venti chili. Come avrebbe potuto trovare il tempo per commettere un crimine?"
Un neonato?
Era improbabile che Emanuele potesse ricordare quei dettagli; probabilmente gli erano stati raccontati. Nella società moderna, spesso le aspettative verso i padri sono basse, e anche pochi gesti paterni vengono amplificati, portando le persone a pensare che fossero i soli a prendersi cura del figlio.
Lucia sospettava che questa fosse una di quelle storie familiari distorte.
Emanuele non si accorse che Lucia stava semplicemente cercando di ottenere informazioni; continuava a raccontare la sua infanzia, cercando di sfogare le sue emozioni.
"Non hai idea di quanto fosse buono mio padre. Da quando ero piccolo, non ho mai ricevuto una sola punizione. Mio padre è cresciuto maltrattato da mio nonno, che era una persona violenta..."
Lucia lo osservava con uno sguardo di pietà, ma nessuno poteva sapere cosa stesse davvero pensando in quel momento.
Presto arrivarono a destinazione, al quartiere dove viveva l'imprenditore. L'ingresso del complesso residenziale era ben sorvegliato.
"Ho un modo per entrare" disse Emanuele.
Lucia scosse la testa, prendendo il controllo della situazione: "Non entrare di nascosto. Abbiamo bisogno della guardia come intermediario." In fondo, sapevano solo che la persona viveva in quel complesso, ma non conoscevano i dettagli del suo appartamento.
Detto ciò, si avvicinò alla guardia: "Salve, signore. Vorremmo contattare il signor Ferrari."
Lucia sussurrò alcune parole alla guardia, che Emanuele non sentì, ma la guardia la guardò e fece subito una telefonata.
Lucia lo ringraziò e tornò accanto a Emanuele: "Aspetta un attimo, tra poco ci faranno entrare."
Emanuele pensava che incontrare il signor Ferrari sarebbe stato difficile. Non avendo molta esperienza con persone di successo, sentiva una certa distanza sociale.
"Pensi che funzionerà?"
Lucia non disprezzava minimamente la sua ingenuità e gli spiegò con pazienza: "Stanno sempre cercando informazioni sui bambini e sull'assassino, quindi non è insolito che qualcuno vada a trovarlo. In passato, chi andava da lui portava notizie; oggi, invece, è il figlio del presunto colpevole che vuole incontrarlo. Pensi che non vorrà vederti?"
Emanuele si rese conto che, in effetti, i suoi anni di università non gli avevano dato una grande comprensione pratica del mondo. Una studentessa del terzo anno sembrava essere più brillante.
Dopo pochi minuti, qualcuno dal complesso venne ad accoglierli.
Lucia camminava davanti, chiacchierando con la domestica che li stava accompagnando.
Emanuele, invece, era nervoso, e cercava di prepararsi mentalmente per l'incontro.
Entrando nella villa, furono accolti da una statua enorme di un guerriero.
Emanuele, colpito dalla presenza della statua, vide Lucia inchinarsi automaticamente in segno di rispetto.
Pensando fosse un rito, Emanuele si inchinò anche lui.
Dalla sala principale provenivano forti colpi di tosse; entrando, videro un uomo magro di mezza età, con un respiratore che emetteva un suono continuo.
L'uomo disse: "Sofia, porta del tè per questi ragazzi."
La domestica andò subito in cucina a preparare il tè.
Emanuele cercava ancora di trovare le parole giuste.
Lucia prese l'iniziativa.
"Mi scuso per il disturbo, mi chiamo Lucia e lui è Emanuele. Siamo qui principalmente perché suo padre, che è anche il mio insegnante, è scomparso."
Lucia gli mostrò un'immagine stampata del sospetto, spiegando: "Non volevamo disturbarla, ma abbiamo davvero bisogno del suo aiuto."
Raccontò brevemente la situazione, senza emozionarsi troppo, limitandosi a spiegare i fatti: l'immagine comparsa online e la successiva scomparsa dell'insegnante.
Nel frattempo, Emanuele, imbarazzato e senza sapere come comportarsi, osservava che Lucia non difendeva suo padre e si sentì in dovere di intervenire.
"Posso garantirle con la mia vita che mio padre non è il colpevole. In quel periodo, era sempre diviso tra casa e scuola, non avrebbe mai potuto commettere un crimine."
"Se chiede in giro, vedrà quanto è gentile mio padre."
"Se è stato lei a catturarlo, la prego, non gli faccia del male; non ha mai fatto nulla di male nella sua vita, figuriamoci uccidere."
Emanuele voleva dimostrare la verità, ma non sapeva come farlo. Così si limitò a dire queste parole.
L'altra persona iniziò a tossire violentemente, e Lucia, mentre passava il fazzoletto, sussurrò: "In realtà, ho dei dubbi sul suo padre. Gliene parlo in privato più tardi."
Poi tornò a parlare a voce alta: "Signor Ferrari, sta bene? Non intendeva dire quello. Scambiamoci i contatti, ne parliamo quando si sentirà meglio."
Lucia riuscì rapidamente a ottenere i contatti del signor Ferrari, mentre Emanuele la osservava, impressionato dalla sua abilità.
All'inizio Emanuele pensava, data la prossimità dell'esame, forse avrebbe dovuto evitare di coinvolgere Lucia nelle sue ricerche. Ma ora si rese conto di quanto fosse essenziale averla al suo fianco.
Aveva bisogno di contattare le famiglie delle vittime; se qualcuno di loro avesse insistito nel credere che suo padre fosse l'assassino nel caso, sarebbe stato difficile per lui spiegarsi da solo.
Mentre uscivano, Lucia gli disse: "Non credo che sia stato lui a rapire tuo padre."
"Ci ho pensato," continuò Lucia, "le immagini online sono apparse solo poche ore dopo la scomparsa di tuo padre. Se fosse stato lui, non avrebbe avuto abbastanza tempo per fare tutto."
Poi aggiunse: "Anche le famiglie delle vittime, come avrebbero potuto agire così rapidamente senza lasciare traccia, in così poco tempo? Prima avrebbero dovuto scoprire la notizia, poi raggiungere la scuola e trovare un modo per portarlo via senza essere visti dalle telecamere."
Emanuele la ascoltava attentamente, seguendo il suo ragionamento che gli sembrava essere sempre più convincente.
Disse: "Hai ragione, è possibile che sia stata una persona vicina a lui, qualcuno che lo conosceva. Potrebbe anche essere un familiare di una vittima di cui non siamo a conoscenza."
Lucia trattenne un sospiro, ma mantenne un'espressione serena. "Non concentrarti troppo sulle famiglie delle vittime. Non è così semplice trovare un legame tra loro e tuo padre. Dovresti considerare anche le sue altre relazioni."
Emanuele stava per obiettare, pensando che suo padre non avesse nemici, ma Lucia lo interruppe con un piano chiaro: "Facciamo così: io indago sulle famiglie delle vittime, mentre tu esplori la rete sociale di tuo padre. Tu lo conosci meglio di chiunque altro, potresti trovare informazioni più utili."
Emanuele si fidava ormai completamente di lei. Nonostante fosse solo una studentessa, Lucia dimostrava di essere organizzata e risoluta. Era evidente che non potevano rimanere bloccati in una sola direzione.
"Grazie mille."
"Non c'è di che," rispose Lucia, sorridendo. "Ci aggiorniamo stasera. Intanto, quando torni a casa, dai un'occhiata tra le cose di tuo padre. Potresti trovare qualche indizio."
Dopo aver assegnato a ciascuno il proprio compito, i due si separarono.
Lucia, camminando verso casa, lasciò finalmente uscire un sospiro di sollievo. La sua mente correva così veloce che sembrava quasi che fumasse.
Quando rientrò, trovò le luci spente. Sua madre doveva già essere andata a letto.
Si mosse in silenzio nel soggiorno.
"Bang-"
Un rumore proveniente dal seminterrato la fece sobbalzare.
Si fermò e il suo sguardo si posò sulla porta del seminterrato. Il cuore le batteva forte mentre si avvicinava lentamente.
Prese una sedia che si trovava lì vicino, non si sentiva sicura senza qualcosa in mano.
L'ingresso del seminterrato si faceva sempre più vicino, e le sue mani tremavano insieme alla sedia che teneva stretta.
Improvvisamente, una voce dietro di lei la fece sussultare.
"Cosa stai facendo?"
Era sua madre.
Lucia si voltò, cercando di distinguere l'espressione della madre nell'oscurità.
"Ho sentito dei rumori provenire dal seminterrato, volevo andare a controllare."
Stava per muoversi, ma Elena, con un tono più severo, la fermò: "Non sono affari tuoi. Lascia fare a me, vai a dormire, è tardi e domani devi andare a scuola."
"Posso andare io."
"Non mi vuoi ascoltare? Vai a lavarti e a dormire. Sei tornata tardi e stai ancora qui in piedi a perdere tempo. Non vuoi andare all'università?"
Lucia abbassò la panchina, capendo che sua madre era di pessimo umore.
Mentre si allontanava, la voce di sua madre si addolcì: "Lo faccio per il tuo bene. Sei solo una studentessa, concentrati sugli studi e non preoccuparti di queste cose."
Lucia sapeva che sua madre cercava solo di proteggerla. Mentre si allontanava per lavarsi, le raccontò della giornata.
"Il figlio del nostro insegnante ha trovato delle foto delle vittime."
"Una delle vittime aveva una lunga cicatrice."
Elena si fermò per un attimo. Quando si girò verso di lei, i suoi occhi erano freddi e taglienti.
Lucia continuò: "Gli ho detto che mi sarei occupata delle famiglie delle vittime, mentre lui avrebbe cercato tra le relazioni di suo padre."
"Non preoccuparti di queste cose, pensa solo a studiare," rispose freddamente Elena.
Lucia sollevò lo sguardo, fissando intensamente sua madre, che nel frattempo si era avvicinata alla luce del soggiorno. Ora poteva vedere chiaramente le rughe che segnavano il volto della madre, ognuna raccontava una storia, e sentì una stretta al cuore.
"Quest'anno, dopo gli esami, andrò all'università. Potresti accompagnarmi?"
Lucia sapeva quanto fosse importante far sentire gli altri necessari.
Le stava lanciando un segnale: aveva bisogno di lei, desiderava avere una madre al suo fianco.
Elena la guardò a lungo, vedendo la sua determinazione. Alla fine, rispose: "Ti accompagnerò."
Dopo queste parole, Elens si diresse verso il seminterrato.
Lucia la guardava allontanarsi, sentendo crescere l'ansia.
Cosa doveva fare? Cosa stava succedendo?
Si diresse nella sua stanza e iniziò a cercare online
"Pene per maltrattamenti?"
No, non era la ricerca giusta.
Cambiò leggermente i termini
"Pene per detenzione e maltrattamenti non familiari?"
Guardò i risultati, poi aggiustò ancora
"Pene per complicità?"
Lucia era determinata. Non si sarebbe lasciata trascinare dagli eventi; doveva essere lei a prendere il controllo.