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Ayden Brillat-Savarin è l’amministratore delegato di un grande gruppo industriale. È appena stato assoluto da un’accusa di molestie, ma in passato si è macchiato di altre scorrettezze. La sua compagnia, per non correre rischi, gli rifila una mentore: una professionista che gli insegnerà a sopravvivere alle insidie del mondo moderno, dal modo in cui comportarsi con le dipendenti, alle cautele da usare con le minoranze, fino al necessario linguaggio politicamente corretto. Ayden sarebbe molto seccato, se ms. Allegra Foxton, la mentore, non fosse ironica, sveglia e piuttosto carina. In fondo assecondarla non gli costa nulla. Non sa che presto si troverà messo a nudo e la sua vita non sarà più la stessa.--CONTIENE SCENE ESPLICITE--La porta si richiuse alle sue spalle e l’ufficio sembrò sprofondare nel silenzio. Era una sensazione che Ayden amava molto. Era stato lui stesso a far insonorizzare l’ambiente, in modo da non essere disturbato dal continuo suono dei telefoni e delle conversazioni fuori dal suo sancta sanctorum.Oltre a essere insonorizzato, il suo ufficio era ampio, con una vetrata su un panorama mozzafiato di Canary Wharf, la moquette di un particolare viola che tendeva al grigio, un tavolo di vetro e acciaio, una scrivania abbinata, il divano di pelle naturale e le poltroncine in tinta. Di design. Riservato. Sottotono in modo elegantissimo.«In casi come questo la porta non dovrebbe sempre restare aperta?» considerò Ayden, con un sorriso bonario.«Spero che, per quanto lei detesti la situazione, non arriverà a uccidermi e a nascondere il mio cadavere in bagno».

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1.
1. Ayden Brillat-Savarin fu dichiarato innocente da tutte le accuse in una fredda mattina di febbraio, all’Old Bailey di Newgate Street. La giudice che pronunciò la sentenza non gli concesse neppure mezzo sorriso, ma a quello pensò lui. Le rivolse un sorriso compiaciuto, giusto un filo insolente, come a dire “Visto? Non erano forse tutte cazzate proprio come ho dichiarato sotto giuramento?” Un’esternazione che al suo avvocato non era piaciuta, ma che si era rivelata veritiera. D’altronde, Ayden sapeva bene di non aver molestato nessuno, men che meno la zoccoletta che aveva osato denunciarlo. Quando quella mattina era uscito di casa, era così sicuro che sarebbe arrivata un’assoluzione che si era preparato mentalmente il discorso da elargire ai giornalisti in attesa fuori dal tribunale. Fino a quel momento, su consiglio del suo avvocato, non aveva rilasciato dichiarazioni, ma adesso era pronto a sfogarsi. Avrebbe detto che, purtroppo, le persone in posizioni come la sua erano bersagli facili per le profittatrici e le ragazze senza scrupoli. Non avrebbe nominato in modo diretto Kelly per non correre il rischio di essere querelato per diffamazione. E avrebbe usato un tono noncurante, quasi rassegnato, come a implicare che si era trattato di un disguido di poco conto. Avrebbe poi aggiunto in tono riflessivo che finché non si fossero tutti ripresi dalla sbornia di political correctness, le accuse come quella di cui era stato vittima si sarebbero moltiplicate, perché ormai bastava mandare al diavolo qualcuno con un linguaggio un po’ colorito per essere denunciati per molestie. Avrebbe infine suggerito che se la cara Kelly avesse usato le sue energie per costruirsi una carriera, invece di provare a spremere lui, a quest’ora avrebbe avuto un posto nel mondo, dato che era una ragazza molto intelligente. Quest’ultima cosa, per inciso, era una falsità. Kelly era buona giusto per un pompino veloce in bagno, proprio come le aveva detto lui. «Mr. Savarin?» mormorò il suo avvocato, non appena la giuria lasciò l’aula. «Mi ha fatto sapere la portavoce degli azionisti che preferirebbero se non rilasciasse commenti». Ayden aggrottò la fronte. «Perché? Sono stato assolto». L’avvocato distolse lo sguardo. «Non saprei». Era una menzogna, ma in fondo quell’uomo l’aveva appena salvato dalla rovina personale e professionale. Ayden decise di assecondarlo. «Okay. Non c’è problema». Si alzò di nuovo e si lisciò la cravatta. Recuperò il cellulare dal tavolo, la valigetta dal pavimento e il cappotto dallo schienale. Quella richiesta non gli piaceva. Se n’era stato bravo e buono per tutta la farsa del processo e adesso volevano impedirgli di togliersi persino un paio di sassolini dalla scarpa. Non gli piaceva anche perché proveniva dagli azionisti, non dal consiglio d’amministrazione. Ayden non era diventato amministratore delegato di uno dei maggiori gruppi automobilistici al mondo ignorando i campanelli d’allarme. Si ripromise di andare in fondo alla questione. Non ce ne fu bisogno. La portavoce degli azionisti lo aspettava fuori dal tribunale, sulla macchina che l’avrebbe portato in sede. Mrs. Carter era una donna di mezza età, tracagnotta, sempre vestita in modo banale e appropriato, il cui viso ricordava a Ayden quello di un bulldog francese. Posò la valigetta tra loro sul sedile posteriore e fece cenno all’autista che poteva partire. «Mrs. Carter. Che bella sorpresa» disse, con un sorriso falso. Carter si aggiustò i polsini della camicia con le dita corte e tozze. «Uhm, sì. Congratulazioni per la sentenza». «Spero che i soci non abbiano creduto alle balle di quella zoccola». Il linguaggio esplicito fece sobbalzare Carter. Era una che amava gli eufemismi, come Ayden ben sapeva. A livello di strutture societarie la sua figura era pressoché unica. Di norma gli azionisti di un gruppo si accontentavano di esprimere il loro parere al momento della nomina del consiglio di amministrazione o durante le assemblee dei soci. Alla Fortitude si erano spinti oltre. Gli azionisti di maggioranza e gli altri detentori di quote di rilievo avevano assunto una portavoce che facesse conoscere al CdA i loro pensieri e i loro umori. E mrs. Carter, dal punto di vista pratico, non aveva nessun potere, ma compariva ogni volta in cui gli azionisti volevano comunicare con Ayden senza coinvolgere il CdA e vice versa. Non su questioni di politica societaria, dunque, ma sui temi più disparati. «Uhm, certamente non le hanno mai dato alcun credito» confermò Carter in tono prudente. Ayden percepì che stava per arrivare un “però”. «Però bisogna tenere conto delle ripercussioni sull’immagine della Fortitude». Era più o meno quello che si aspettava. «Me ne rendo conto. In futuro cercherò di utilizzare un linguaggio più... blando. Come sa, il linguaggio blando non è il mio forte». Un’altra persona, a quel punto, avrebbe almeno abbozzato un sorriso, ma non Carter. Sulla sua fronte da bulldog francese, già discretamente aggrottata di natura, si formò qualche altra rughetta. «Uhm». Iniziava con “uhm” quasi tutte le frasi. Ayden lo detestava. «Gli azionisti suggeriscono una linea d’azione a più ampio spettro. Come sa, le incomprensioni con miss Alberger non sono state le prime a emergere». Ayden chiuse gli occhi e se li massaggiò con la punta delle dita. Ci avrebbero messo delle ore. Con Carter era sempre così. «Mrs. Carter, lei ha presente quanto me che chi è nella mia posizione trova ogni cinque minuti una sciacquetta ansiosa di accusarlo di ogni zozzeria. Kelly non è la prima, è vero. Non sarà nemmeno l’ultima. Quelle come lei sono una cazzo di costante eterna. Gli azionisti sono infelici di me come AD?» «Certamente no». “Certamente” era un’altra parola molto amata da Carter. Ayden ormai conosceva il suo vocabolario. D’altronde guidava la Fortitude da cinque anni. Aveva portato a termine una ristrutturazione societaria completa, condotto due annessioni di alto profilo, aveva fatto crescere gli utili del 18%. In tutto quel tempo Carter era sempre stata lì. «Quindi qual è il problema? Capisco che le troiette come Kelly, pardon miss Alberger, dal punto di vista dell’immagine siano nocive, ma che cosa posso farci?» Nel momento in cui pose la domanda, che avrebbe voluto essere retorica, Ayden si rese conto dell’errore logistico. «Uhm, è proprio di questo che intendevo parlarle». «Sì? Vediamo, che cosa suggeriscono gli azionisti? Che mi tagli l’uccello e posti il video su t****k?» «Certamente no» rispose Carter, all’apparenza serissima. «Ma suggeriscono l’utilizzo di un mentore». Ayden la fissò in silenzio per un paio di secondi, prima di ripetere: «Un mentore». «Si tratta di una figura professionale specifica. Assimilabile al life coach». «Wow». «Ma, uhm, privo di sgradite correlazioni con le cosiddette discipline olistiche». «Certo, evitare le discipline olistiche è fondamentale. Mi perdoni, mrs. Carter... si può sapere che cosa farebbe questo mentore?» Carter annuì, neanche fosse sicura che lui stesse già cedendo. «Si occuperà di guidarla in una più equilibrata gestione dei rapporti con le categorie sensibili». «Ossia?» «La, uhm, percezione odierna...» «Che cos’è, un maestro di buone maniere? Un istruttore di political correct?» Carter fece una smorfia. «Percepisco una certa ostilità?» «Non mi dica. Vorrei ricordare ai carissimi azionisti che, primo, mi hanno messo loro dove sono e, secondo, sto facendo fare alla Fortitude un sacco di soldi. Se nella vita privata scopassi galline e tutti gli animali della fattoria— «Mr. Brillat-Savarin» lo interruppe lei. Era la prima volta in assoluto che succedeva e Ayden ne restò colpito. «Sì?» «So che non ama i giri di parole, quindi lasci che io sia diretta». Anche quella sarebbe stata la prima volta. «Prego». «Il rinnovo del CdA è alle porte. Se non corregge il suo atteggiamento, una parte degli azionisti è disponibile a sostituirla». Ayden restò senza parole. Letteralmente. Fissò Carter in silenzio, incapace persino di mandarla a cagare. Sul serio gli azionisti erano pronti a licenziarlo per le accuse di qualche sfigata? Non riusciva a crederci. «Le ricadute per l’immagine della Fortitude, se episodi come quello appena risolto dovessero ripetersi, sarebbero troppo gravose. Quando ha assunto la guida del gruppo, cinque anni fa, ha detto che entravamo in un’epoca nuova e che erano necessarie nuove politiche. Siamo stati tutti d’accordo con lei». «E... e infatti abbiamo investito sull’elettrico, sulla ricerca, sulle AI, sulla green economy...» «Dopo il #metoo siamo entrati in una nuova era anche dal punto di vista dei rapporti interpersonali, mr. Brillat-Savarin». «Cristo santo» esalò lui. Ci mancava solo quel cazzo di hashtag. Quindi era così. Doveva accettare che uno sconosciuto gli desse lezioni di comportamento, o la Fortitude l’avrebbe licenziato. E senza dubbio qualcun altro lo avrebbe assunto – Ayden era uno dei manager più quotati al mondo – ma quando? E come? Ayden aveva un accordo economico molto favorevole con la Fortitude. Se anche avesse smesso di lavorare non avrebbe avuto problemi di soldi neppure mantenendo uno stile di vita invariato fino alla fine dei suoi giorni. Ma la sfida. La responsabilità. La sensazione di contare qualcosa. Il potere. Ayden non era un idiota. Sapeva che a fargli amare il suo lavoro non erano solo i soldi. Di posizioni come la sua, al mondo, ce n’erano molto poche. C’era sempre qualcuno che lo corteggiava, ma non al livello di un gruppo automobilistico come la Fortitude, che comprendeva sette diversi brand diffusi in tutto il globo. Qualcuno lo avrebbe assunto, sì, ma sarebbe stata comunque una sconfitta. Non riusciva a credere che gli azionisti fossero disposti a metterlo alla porta solo perché qualche puttanella si era lamentata. «Quindi quale sarebbe la loro proposta?» Carter annuì. «Ci siamo permessi di assumere un mentore. Anzi, una mentore». «Fantastico» sospirò lui. «E quando dovrei incontrare questa...» «La aspetta in sede». Ayden non disse più niente. Volevano attaccargli alle gonne una maestrina di buone maniere? Che facessero pure. Dubitava che, alla resa dei conti, davvero volessero fare a meno di un AD come lui. Si trattava solo di rabbonire l’opinione pubblica, ne era sicuro. Sarebbe stata una rottura di palle provvisoria, poi tutto sarebbe tornato come prima. La mentore, a quel che pareva, si era accomodata nel suo ufficio. Milly, la segretaria, ebbe il buon gusto di sembrare imbarazzata mentre glielo comunicava. Kevin, il suo assistente personale, si limitò a dire che avrebbe riorganizzato la sua agenda non appena lui e ms. Allegra Foxton avessero preso accordi. E Carter continuava ad aleggiare, quindi Ayden non poté ricevere altre informazioni né da Kevin, né da Milly. Ayden represse un sospiro e aprì la porta per Carter, invitandola a entrare con la gentilezza squisita che riservava solo a chi gli stava sulle palle. «Oh, ms. Foxton, che bello vederla» gorgheggiò lei, entrando nel suo ufficio come una pallottola sparata da un moschetto. Una pallottola con una faccia la bulldog francese. «La ringrazio per averci aspettati. E questo, naturalmente, è mr. Brillat-Savarin». Dal divano di pelle naturale si alzò una donna sui trentacinque con il fisico di una top model. Ossia, tristemente, una tizia alta e magra come un grissino, perché di questi tempi non facevano più top model alla Cindy Crawford, ma solo alla Cara Delevingne. Al contrario di Cara Delevingne, inoltre, questa aveva pure un profilo aquilino e i capelli tagliati a casaccio. Gli tese una mano fredda e ossuta. «È un piacere, mr. Brillat-Savarin». Ayden non si stupì di percepire un accento da scuola privata. «Anche per me. Ha un attimo per parlare adesso o ci aggiorniamo a un momento più tranquillo?» «Sono a sua disposizione». Ayden stava per replicare che, allora, l’avrebbe vista quel pomeriggio, quando lei aggiunse, con un sorriso sottile: «Il che significa che non può svicolare e che faremo subito il primo colloquio. Mrs. Carter, la sua presenza non è più richiesta». Era stata molto secca, quasi maleducata, e Carter sobbalzò. Ayden si sarebbe compiaciuto del modo in cui la mentore aveva subito sbattuto fuori l’altra donna, ma temeva che si trattasse di una soddisfazione fugace. «Uhm, sì, certo. Buon lavoro» borbottò Carter. La porta si richiuse alle sue spalle e l’ufficio sembrò sprofondare nel silenzio. Era una sensazione che Ayden amava molto. Era stato lui stesso a far insonorizzare l’ambiente, in modo da non essere disturbato dal continuo suono dei telefoni e delle conversazioni fuori dal suo sancta sanctorum. Oltre a essere insonorizzato, il suo ufficio era ampio, con una vetrata su un panorama mozzafiato di Canary Wharf, la moquette di un particolare viola che tendeva al grigio, un tavolo di vetro e acciaio, una scrivania abbinata, il divano di pelle naturale e le poltroncine in tinta. Di design. Riservato. Sottotono in modo elegantissimo. «In casi come questo la porta non dovrebbe sempre restare aperta?» considerò Ayden, con un sorriso bonario. «Spero che, per quanto lei detesti la situazione, non arriverà a uccidermi e a nascondere il mio cadavere in bagno». Foxton indicò con una rotazione dell’indice quello che la circondava. «Dato che è anche a prova di suono». «Sì, è una necessità per via— «Mi perdoni se la interrompo, mr. Brillat-Savarin, ma non amo le chiacchiere inutili. Parliamo della sua situazione, vuole?» Lui si spostò dietro la propria scrivania. Quasi si arroccò. Le fece segno di accomodarsi davanti. «Prego». Foxton ignorò l’invito e restò in piedi. Dall’ampia tracolla di tela estrasse un piccolo tablet o un grosso cellulare. «Dall’unica accusa di molestie che sia arrivata in tribunale è stato assolto meno di un’ora fa. Il fatto non sussiste». Gli lanciò un’occhiata gelida. D’altronde aveva degli occhi color ghiaccio, di un azzurro chiarissimo. «O, per meglio dire, non sussiste la molestia. La corte ha ritenuto che la sua frase nei confronti di miss Alberger fosse un insulto, non un invito. Lo era?» «Un insulto? Più che altro una constatazione, mi creda». «Perché la ragazza non era un genio». Non era una domanda, ma Ayden rispose lo stesso. «A essere generosi». «Quindi continua a pensare che fosse giusto in grado di fare pompini in bagno». Ayden decise di dimostrarsi accomodante. «Avrei potuto essere meno offensivo». «Chi se ne frega» ribatté Foxton. «Quello che mi interessa è: pensa che fare pompini sia semplice?» Lui rise. «Oddio. Più semplice di leggere i previsionali trimestrali, presumo». «Per fare un pompino è necessario coordinare non meno di trentacinque muscoli. Che lei lo ritenga semplice è indicativo». Ayden alzò le mani. «Okay, ha vinto. Non ci avevo mai pensato con attenzione. Probabilmente Kelly non riuscirebbe a fare nemmeno quello, nella vita». Foxton tornò a guardare il tablet. «Prima della denuncia per molestie, leggo qua, ha patteggiato ben cinque altre volte. Con altre persone, tutte donne tra i venti e i trenta». Ayden sapeva che ci sarebbero arrivati. Sospirò. «So che non fa una bella impressione. Intendo il patteggiamento. Ma sono l’AD di un grande gruppo automobilistico, cerchiamo di limitare il più possibile la pubblicità negativa. Che lei abbia quei dati, per inciso, viola le clausole di non-divulgazione che erano un po’ il punto focale dei patteggiamenti». «Sì, è stato il vostro ufficio legale a darmeli. Le confermo che sono riservati». «Non ho molestato nessuno. Erano solo... ragazze in cerca di soldi. Li hanno pure avuti, quindi forse ha ragione, dovrei imparare a schivare certi proiettili. Ma, miss Foxton, posso essere franco?» Lei scosse la testa. «Non è “miss”, è “ms”». Ayden alzò gli occhi al cielo. «Okay, mi scusi». «Prego, sia franco». «Ho una vita stressante. Sono single. Potrò scopare, una volta ogni tanto?» Foxton si grattò distrattamente una guancia. Passeggiò avanti e indietro, riflettendo. Se doveva riflettere su una domanda così semplice, la loro collaborazione non prometteva bene. La scansionò dalla testa ai piedi. Capelli biondo molto chiaro, tinti, con un taglio raccapricciante simile a un mullet, ma con anche due ciocche più lunghe accanto al viso. Fisico sottile, quasi androgino, niente tette. Con quel fisico, un completo e delle decolté l’avrebbero valorizzata. Sarebbe diventata quasi bella, comunque senz’altro chiavabile. Ma portava dei brutti stivaletti abbottonati di lato e dei pantaloni larghi subito sopra la caviglia e sembrava uno spaventapasseri. «Ho due domande per lei» ruppe il silenzio pensieroso Foxton. «La prima: a che cosa stava pensando?» «Quando? In quei cinque sfortunati casi?» «No, adesso, mentre io passeggiavo su e giù». «Mah, non saprei. Alla situazione del cazzo in cui mi trovo? Con un’azienda da mandare avanti e quest’ulteriore perdita di tempo». «No, è una bugia». Ayden sbatté le palpebre. «Scusi?» «Sta mentendo. Non è quello a cui pensava. Ha detto di voler essere franco. Sia franco». Col cazzo, pensò lui. Si esibì nella sua migliore espressione innocente. «Proprio non saprei, allora». Foxton sospirò. «Devo dirle una cosa che potrebbe stupirla: le donne se ne accorgono». «Di che cosa?» «Quando vengono passate ai raggi X. Ce ne accorgiamo. Nel caso specifico, poi, ho fatto una pausa apposta per vedere se avrebbe lasciato vagare le pupille». «Non ho lasciato vagare— «Mr. Brillat-Savarin». Lui alzò gli occhi al cielo. «Non in quel senso». «Mr. Brillat-Savarin». «Cioè, vuole sentirselo dire per forza? Che ho fatto pensieri di un certo tipo su di lei, se no si offende?» Foxton sospirò di nuovo. «Gli uomini pensano al sesso in media ogni trenta secondi. Non è quello a cui mi riferisco. E le assicuro che l’argomento “se no si offende” con me non attacca». «Bene! Pensavo che con un fisico come il suo, starebbe bene con un completo e i tacchi alti, non con quei cessi di stivaletti. Mi sono spinto a pensare che se si valorizzasse sarebbe forse persino bella, di certo chiavabile. Adesso mi denunci anche lei!» «Non la denuncio, erano pensieri privati e le ho chiesto io di condividerli. Ma hanno confermato quello che in fondo già pensavo, lo ammetto. Lei è un tipo umano molto comune, mr. Brillat-Savarin. Il tipo che pesa le donne con lo sguardo, le valuta, le classifica e le giudica, con discreto paternalismo, sul metro del desiderio maschile. Dando per scontato, con completa innocenza, che a tutte interessi essere belle o almeno chiavabili». «Che a lei non interessi è chiarissimo, mi creda. Ha pure dei capelli di merda». «Sono ricresciuti così dopo la chemio». Ayden si sentì morire. «Cristo. Mi scusi». E se fosse stata senza tette per lo stesso motivo? Che coglione. Foxton alzò gli occhi al cielo. «Non è vero. Sono così perché mi piacciono così. Ma guardi che cosa ha fatto. Una donna è scusata dei capelli di merda solo se ha avuto una grave malattia?» «Ma no. Dio, lei è proprio stronza». Foxton ridacchiò. «Bene, bene. Vedo che si sta sciogliendo». Si avvicinò e si decise a sedersi davanti alla scrivania. Dinoccolata e insolente come un’indossatrice. «C’è solo un modo di fare bene questa cosa, ed è se lei comincia a considerarmi nella sua squadra. Una persona che può aiutarla a risolvere il problema che potrebbe costarle il posto di lavoro. E che posto di lavoro». «Mh». «Vuole tenerselo?» «Potendo». «E al di là delle considerazioni estetiche, si è fatto una qualche domanda su di me?» «Non ne ho avuto il tempo». Lei rise di nuovo. «Ha avuto il tempo di pensare a come dovrei vestirmi e non “chissà che cosa ha studiato”?» Ayden le mostrò il palmo delle mani, come a dire: che vuole farci? «Quindi?» «Ho una laurea in psicologia. Una seconda laurea in sociologia. Due master, uno in marketing e uno in studi di genere». «Non so nemmeno che cosa sia, quest’ultima cosa». «Già». Ayden si rilassò contro lo schienale della poltrona. Tornò a guardarla, cercando di restare dalle parti della faccia. Era attraente, a suo modo. Labbra sottili poco adatte al sesso orale, ma con quell’aria da precisina, metterglielo in bocca sarebbe stato arrapante lo stesso. «Ha detto due domande. Non mi chieda di nuovo che cosa sto pensando». «Lo so già, che cosa sta pensando. La seconda domanda è questa». Fece una pausa. Si scavò in una guancia con la lingua e lo fece apposta per provocare, Ayden ne era sicuro. «Cinque querele, poi patteggiate. Parecchie segnalazioni interne. Esposti all’ufficio risorse umane. La attizza molestare le donne, signor Brillat-Savarin?»

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