Capitolo I

1509 Words
Capitolo I Genova 1968 Davanti a quella visione Maria resta immobile e incantata, come un bambino che ha visto Babbo Natale. È la prima volta che partecipa a una manifestazione. Ce l’ha portata Elisabetta, la sua coinquilina, che ha saltato la lezione di storia contemporanea, mentre lei ha mancato quella di fisiologia. Sulla città cade una pioggerella fitta e sottile. Sui caschi in metallo grigio-verde dei celerini si condensa l’umidità e qualche goccia, scivolando sulla nuca rasata, cade tra il collo e il colletto della giubba di panno. I poliziotti incuranti della pioggia fastidiosa, stanno immobili, schierati al fondo della piazza, i piedi divaricati racchiusi negli scarponi, saldamente ancorati al selciato. Alla cintura la nuova dotazione di manganelli di legno. Niente armi. Niente scudi. Niente lacrimogeni. Solo i gradi più alti, radunati in piazza Matteotti accanto agli automezzi, hanno a portata di mano la Beretta M12. I giovani poliziotti, gli occhi stretti come fessure, fissano il corteo che sta avanzando dal fondo di via XX Settembre. Come un fiume in piena i manifestanti riempiono tutta la carreggiata e vengono avanti tenendo alti gli striscioni e sventolando le bandiere. Gli slogan scanditi a piena voce e sottolineati da suoni di fischietti e tamburi danno il ritmo al passo. Gli operai indossano i vestiti buoni, giacca e camicia bianca. Solo alcuni portano maglioni e qualche sciarpa che si inumidisce a causa della pioggia. Camminano compatti, l’espressione seria, gli sguardi accesi, l’avanzare deciso. Mentre il corteo procede, i negozianti si affacciano sulla soglia, i passanti si fermano a guardare. I vigili urbani, che hanno provveduto a deviare il traffico, si bloccano con il fischietto ancora tra le labbra e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Da via Roma e da via San Lorenzo altri due cortei convergono verso la piazza. – Sono tanti, cazzo! – sibila tra i denti uno dei celerini che stanno in prima fila. – Hai paura? – risponde, senza guardarlo, quello che gli sta accanto. – Beh! Sembrano davvero tanti... – Ci farai l’abitudine. Stai vicino agli altri. Qualunque cosa succeda non farti mai trovare isolato. Hai capito? – Sì, sì. D’accordo. Ma secondo te che fanno? – Niente. Stai tranquillo. Fanno un po’ di casino, gridano qualche slogan e poi se ne vanno a casa contenti... – Se lo dici tu... Il celerino più anziano sa quel che dice, “sente” la piazza. La sua esperienza lo rende sicuro di sé. Le prime file dei manifestanti, incalzate da chi sta alle loro spalle, sono arrivate a breve distanza dallo schieramento delle forze dell’ordine. La folla ha riempito completamente tutto lo spazio disponibile. I manifestanti gridano sempre più forte. Qualcuno si agita, trattenuto con prontezza dai ragazzi del servizio d’ordine. La moltitudine beccheggia inquieta, come pronta a una mossa imminente. Il mare di teste si muove come un’onda e lo spazio tra la gente e la polizia si riduce sempre più. Gli uomini che fanno parte dei cordoni di protezione faticano a contenere la spinta dei dimostranti. L’ispettore capo arriva di corsa e si piazza davanti ai suoi uomini. – State calmi! State fermi! Non fate niente senza il mio ordine! Maria, ferma sotto i portici del Palazzo della Borsa, osserva la scena, la mano stretta in quella di Elisabetta. – Non avere paura, non succederà niente. – La tranquillizza l’amica. – Gli operai sono incazzati, ma non sono ancora al punto di rottura. I sindacati stanno trattando e finché non c’è la risposta delle aziende staranno fermi. I più agitati sono quelli della Chicago Bridge, ma il servizio d’ordine li tiene buoni. – Ma tu come lo sai? – chiede Maria guardando meravigliata la compagna. – Lo so e basta. Dal bordo della piazza un giovane operaio, distolta la sua attenzione dal palco dove un rappresentante della FIOM sta parlando, getta uno sguardo sulle due ragazze. La sua bocca si apre, come volesse parlare, ma nessun suono ne esce e gli occhi si posano ora sull’una ora sull’altra, nell’impossibilità di decidere quale delle due gli piaccia di più. Una indossa una minigonna vertiginosa che mette in risalto le gambe perfette e nervose di giovane puledra. Fianchi tondi e piccolo seno a punta nella figura minuta, mentre il viso, illuminato da grandi occhi verdi pieni di vivacità e da un sorriso franco, è incorniciato da una gran massa di capelli scuri e ribelli. Si muove a scatti, inquieta e intimorita da quella folla di dimostranti. L’altra è leggermente più alta e robusta. Morbida e flessuosa, indossa una gonna lunga fino alle caviglie, in perfetto stile “figlia dei fiori” e una maglia sottile dentro cui i grossi seni danzano liberi a ogni movimento. I capelli lisci e biondi scendono fino alla vita e gli occhi azzurri hanno la profondità e il mistero del mare. Tra le labbra piene e sempre atteggiate a una smorfia capricciosa splendono le perle bianche dei denti. Elisabetta era piaciuta subito a Maria. Quando quest’ultima era arrivata a Genova per iniziare l’anno accademico, la città l’aveva accolta in una giornata luminosa di inizio ottobre. Quelle giornate liguri in cui l’estate sembra non voler finire mai e la luce ha quel particolare tono morbido e caldo che tinge di rosa le vecchie pietre dei palazzi, accende il rosso degli ultimi gerani sui balconi e riempie di voli le strisce di cielo sopra i vicoli. I foglietti appesi alla bacheca di palazzo Balbi erano tanti e appiccicati in maniera caotica. Chi cercava libri di testo, chi appunti di questa o quella materia, chi offriva stanze in affitto. Il messaggio di Elisabetta proponeva quello di cui Maria aveva bisogno. “Cerco compagna con cui dividere piccolo appartamento”. Seguiva nome e indirizzo. Non conoscendo bene la città, aveva chiesto informazioni e aveva scoperto che la via indicata non era lontana da lì. Tanto valeva andare subito a vedere se la casa faceva al caso suo. Il caseggiato, basso e attaccato alle costruzioni vicine, era posto all’interno di una cancellata che si apriva su un cortile lastricato di pietre grigie. Uno scorcio particolare che le era piaciuto subito. Premuto il tasto del citofono il cancello si era aperto cedendo sotto la spinta delle sue mani. In cima a una breve scala la stava aspettando quella che sarebbe diventata la sua coinquilina. Aveva un portamento fiero e nello stesso tempo aggraziato. Indossava un accappatoio bianco, che teneva chiuso con la mano sinistra. Dall’indumento spuntavano le gambe ben tornite e l’attaccatura morbida e piena del seno. Aveva un asciugamano avvolto intorno alla testa, a raccogliere i capelli bagnati. Emanava un profumo di sapone e aveva la pelle del viso, completamente privo di trucco, lucida di vapore. Sulle ciglia alcune goccioline splendevano come piccole perle, rendendo quasi irreali gli occhi azzurri, sormontati dall’arco perfetto delle sopracciglia. A Maria aveva ricordato immediatamente una ninfa, Naiade o Nereide, appena sorta dalle acque. Indovinò, dall’incarnato chiaro e delicato, dalle morbide labbra pallide, che doveva essere bionda. L’immagine che ne ricavò fu quella di una creatura angelica, bianca e innocente, splendente di un’aura quasi verginale. Non immaginava quanto gli avvenimenti che stavano per accadere avrebbero fatto cambiare questa percezione. – Ciao. Sei venuta per l’appartamento? Entra. Sono tutta bagnata. Ho appena fatto la doccia. Non vorrei prendere freddo. Maria era rimasta sulla soglia, intimidita. – Sì, scusa. – Aveva esclamato, riscuotendosi e decidendosi a entrare. – Vieni. Ti faccio strada. Come avrai capito, guardando da fuori, il proprietario ha ricavato l’appartamento sopraelevando il garage. È veramente piccolissimo, ma è comodo e non costa molto. Io però, da sola, non posso permettermelo e la ragazza che lo divideva con me si è laureata ed è tornata al suo paese. Tu da dove vieni? – Varazze. – E abiti lì? – Sì. – Ma non è lontano, come mai cerchi casa qui? – A Scienze Biologiche abbiamo la frequenza obbligatoria e i laboratori sono sempre il pomeriggio tardi. Lo scorso anno ho fatto la pendolare, ma è troppo dispersivo, non mi rimaneva il tempo per studiare. Quest’anno i corsi sono ancora più impegnativi e allora ho deciso di fermarmi. – Capisco. Ecco questa è la cucina, qui c’è il bagno e la nostra camera è questa. L’ingresso con il divano funge da salotto e... è tutto qui. – E quanto costa l’affitto? – Io pago sessantamila lire al mese, più le spese. Si dovrebbe fare a metà. – Va bene. Ci sto. E... senti... tu che facoltà frequenti? – Scienze politiche. Quarto anno, ma sono indietro con gli esami... – Maria! Ti sei incantata? Andiamo, la manifestazione è finita. – Elisabetta prende la sua amica per un braccio e la trascina via. Maria si avvia insieme a lei. – A cosa stavi pensando? – Chiede Elisabetta guardando l’altra che sembra sopra pensiero. – Era così evidente? – Sei un libro aperto... – Pensavo a quando ci siamo conosciute. Mi mettevi soggezione. Più grande di me. Abitavi da sola. Sembrava che fossi molto sicura di te. Elisabetta ride a gola piena, buttando indietro la testa. – E tu, invece, sembravi un pulcino smarrito. Mi guardavi con due occhioni spalancati, come non avessi mai visto una ragazza in vita tua. Ti confesso che dopo aver accettato di dividere l’appartamento con te, per qualche momento, ho avuto paura. – Paura? – Sì. Ho pensato che ti saresti appiccicata a me come una cozza e non avrei più potuto liberarmi di te! – Che stronza! È questo che hai pensato? – Sì, ma non ti conoscevo ancora. Ti sei offesa? – Un po’ sì!... – Poi però conoscendoti... è stato anche peggio. Elisabetta scappa ridendo, mentre Maria la insegue minacciandola con la borsa.
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