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I.Era steso a fissare i fuscelli che tenevano insieme quel rifugio di paglia; l’erba era infinitamente verde; il panorama abbracciava quattro contee; il tetto era sostenuto da sei piccoli fusti di quercia, spuntati rozzamente e potati dai rami alti di mele. Mele selvatiche francesi! La capanna non aveva lati.
Un proverbio italiano dice: chi permette ai rami di un melo di crescere sul proprio tetto, fa entrare il dottore in casa ogni giorno! Proprio così. Avrebbe sorriso, ma si sarebbe notato.
Per essere un uomo che non si muoveva mai, il suo volto era singolarmente abbronzato; la testa, contro il bianco lattiginoso del cuscino, poteva essere quella di uno zingaro, i capelli neri e argentati tagliati corti, tutto il viso accuratamente rasato e completamente immobile. Gli occhi tuttavia si muovevano con insolita vivacità, tutta la vita di quell’uomo era concentrata in essi e nelle palpebre.
Lungo il sentiero che era stato tagliato a varchi nell’erba alta fino al ginocchio e che portava dalla stalla alla capanna, un contadino molto anziano venne avanti con la sua andatura. Le braccia pelose e più lunghe del normale oscillavano come se avesse bisogno di un’ascia o di un tronco o di un sacco per renderlo un uomo a tutti gli effetti. Era robusto, con pantaloni di velluto molto stretti sulle natiche; indossava gambali neri e un panciotto blu sbottonato, una camicia di flanella a righe, aperta sul collo sudato, e un cappello alto e squadrato di feltro nero.
Disse: «Volete essere spostato?»
L’uomo nel letto chiuse lentamente le palpebre.
«Volete del sidro?»
L’altro chiuse di nuovo gli occhi allo stesso modo. L’uomo in piedi si sosteneva con una mano immensa, come quella di un gorilla, a uno dei pali di quercia.
«Il migliore che abbia mai assaggiato», disse, «Sua Signoria me l’ha dato. Sua Signoria mi ha detto “Gunning”, mi fa… il giorno che quella femmina di volpe è entrata nel pollaio del custode…»
Cominciò e lentamente completò una storia molto lunga che dimostrava come i nobili possidenti inglesi preferissero le volpi ai fagiani. O avrebbero dovuto farlo! I possidenti inglesi come si deve.
«Sua Signoria non voleva far ammazzare quella volpe, incinta com’era… Una volpe incinta può fare dei bei disastri in mezzo ai pulcini dei fagiani… Ne avrà mangiati sei o sette, quella lì…! Che crescevano bene… Così Sua Signoria dice a Gunning…»
E poi la descrizione del sidro. «Forte! Quel sidro era più forte della lingua di una vecchia zitella. Ti dà forza! Ti rimette in piedi. Sidro invecchiato dieci anni. Neanche una goccia veniva bevuta a casa di Sua Signoria se non aveva passato dieci anni in una botte. Si ammazzavano tre pecore a settimana per la servitù di dentro e di fuori. E trecento colombe. Le gabbie delle colombe sono a cento piedi d’altezza, e i nidi sono nei buchi dentro le mura. E trappole lungo tutte le mura per prendere i pulcini. Non sono più come una volta ma Sua Signoria continua. E lo farà sempre!»
L’uomo nel letto – Mark Tietjens – proseguì con i suoi pensieri.
Il vecchio Gunning caracollava sul sentiero lungo la stalla, con le mani che oscillavano. La stalla era una roba raffazzonata, con tegole sbreccate e tetto di paglia, non una vera stalla nel senso delle regioni del Nord – un posto dove la vecchia giumenta si riparava in mezzo a galline e papere. La gente del Sud non conosceva l’ordine. Non era una cosa innata in loro, anche se Gunning sapeva costruire un bel tetto di paglia e tagliare una siepe come si deve. Uomo tutto d’un pezzo. Davvero un uomo tutto d’un pezzo; sapeva fare un sacco di cose. Sapeva tutto sulla caccia alla volpe, l’allevamento dei fagiani, la lavorazione del legno, il taglio delle siepi, la costruzione dei fossati, l’allevamento dei maiali e le abitudini di Re Edoardo durante la caccia. Fumava grandi sigari che non finivano mai! Una volta finito, ne accendeva un altro e buttava via il mozzicone…
La caccia alla volpe, lo sport dei re con solo il venti per cento dei pericoli della guerra! A lui, Mark Tietjens, non era mai importato della caccia; adesso non avrebbe più cacciato; non gli era mai interessato sparare ai fagiani. Non l’avrebbe più fatto né potuto fare d’ora in poi… Gli seccava di non essersi preso la briga di verificare cos’è che aveva detto Iago, prima di prendere la risoluzione di Iago… D’ora in poi non avrebbe più pronunciato parola… Qualcosa del genere: ma non si può mettere in un verso vuoto.
Forse Iago non aveva più pronunciato versi vuoti quando aveva preso la risoluzione di Mark Tietjens… Prendi per la gola quel cane circonciso e uccidilo… Brav’uomo, Shakespeare! Un uomo tutto d’un pezzo anche lui, in un certo senso. Probabilmente molto simile a Gunning. Conosceva le abitudini della regina Elisabetta quando cacciava; molto probabilmente sapeva come tagliare le siepi, impagliare i tetti, catturare un cervo, o una lepre, o un maiale, come consegnare un’ingiunzione e scrivere in cattivo francese. Aveva alloggiato con una famiglia francese dai Cruciferi o in un ordine minore. Da qualche parte.
Le anatre facevano un bel chiasso nello stagno sulla collina. Il vecchio Gunning alla luce del sole caracollava tra la parete della stalla e i cespugli di lamponi, sulla salita. Il giardino era in salita. Mark guardò lungo l’erba fino alla siepe. Quando giravano il letto dall’altro lato vedeva la casa. Pietra grezza, grigia!
Girandosi a metà da una parte, poteva lanciare uno sguardo alle famose quattro contee; a metà dall’altra parte, poteva vedere un ripido scivolo erboso salire fino alla siepe sul ciglio della strada. Adesso stava guardando in alto attraverso le cime delle spighe, oltre i lamponi verso la siepe che Gunning stava andando a tagliare. Tutti loro erano pieni di considerazione per lui. Avevano sempre pensato a sviluppare interessi per lui. Non ne aveva bisogno. Aveva già abbastanza interessi.
Sul sentiero che era al di sopra e oltre la siepe sul pendio erboso, andavano i piccoli Elliot; una ragazza allampanata di dieci anni, con capelli lunghissimi del colore del grano, un bimbetto grasso di cinque anni vestito alla marinara, sporco in modo indicibile. La ragazza aveva gambe e caviglie troppo lunghe e sottili, i capelli flosci. La fame dovuta alla guerra nei suoi primi anni.… Bè, non era colpa sua, di Mark. Lui aveva dato alla nazione il trasporto di cui aveva bisogno: la nazione avrebbe dovuto trovare il cibo. Non l’aveva fatto, e di conseguenza i bambini avevano gambe lunghe e sottili e polsi che sporgevano da braccia che parevano tubi del gas. Tutta quella generazione!… Lui non aveva colpe. Aveva gestito il trasporto come andava gestito. Tutto il suo dipartimento. Il suo dipartimento, costruito da lui stesso, partendo da giovane impiegato temporaneo a ufficiale anziano; lo aveva costruito, dal giorno del suo arrivo, trenta anni prima, al giorno in cui aveva deciso di non dire più una parola.
Né di muovere un dito. Doveva restare in questo mondo, in questa nazione. Che si occupassero loro di lui; lui aveva chiuso con loro… Conosceva il padre e la madre di ogni cavallo, da Eclipse a Perlmutter. Adesso basta. Gli facevano leggere tutto quello che poteva sulle corse. Aveva già abbastanza interessi!
Le anatre nello stagno sulla collina continuavano a fare un gran chiasso, agitando l’acqua istericamente con le ali e starnazzando. Se fossero state galline ci sarebbe stato un motivo – un cane che le inseguiva. Le anatre non avevano senso; impazzivano, in maniera contagiosa. Come le nazioni o tutto il bestiame di un paese.
Gunning, caracollando accanto alle piante di lamponi, prese un germoglio o qualcosa del genere e strizzò la piccola cosa tra l’indice e il pollice, poi si esaminò il pollice. In cerca di vermi, senza dubbio. La pianta di lamponi aveva pallide foglie verdi; una pianta fragile tra le rosacee più robuste. Non si trattava di fame dovuta alla guerra, ma di razza. Il loro governo era piuttosto efficiente, ma presumibilmente non erano portati a mangiare tanto. Gunning cominciò a potare la siepe a colpi secchi e decisi con la sua falce. C’erano ancora troppi rovi tra i cespugli; tempo una settimana e la siepe sarebbe stata di nuovo da rifare.
Anche questo faceva parte della loro considerazione! Tenevano bassa la siepe così che lui si intrattenesse a guardare i passanti sul sentiero, anche se avrebbero preferito lasciarla crescere più alta così che i passanti non avrebbero potuto vedere il frutteto… Bè, lui ne aveva visti di passanti. Più di quanto pensassero… A che gioco stava giocando Sylvia? E quel vecchio asino di Campion?… Bè, lui non si sarebbe messo in mezzo. Eppure stava senza dubbio succedendo qualcosa!… Marie Léonie – un tempo Charlotte! – non conosceva di vista quella meravigliosa coppia, anche se senza dubbio li doveva aver visti scrutare dalla siepe!
Loro – ancora per via della considerazione – avevano costruito una mensola sul montante d’angolo a sinistra del suo rifugio. Così che gli uccelli potessero intrattenerlo! Un passero delle siepi, silenzioso e grigio come un quacchero, spettrale, era adesso sulla mensola. Un essere sottile e quasi privo di vita che non aveva mai visto. Volava nascondendosi nelle profondità delle siepi. L’aveva sempre ritenuto un uccello americano – o forse era perché c’erano così tanti americani in giro, anche se non ne vedeva mai… Un usignolo senza voce, esile, lungo, con il becco sottile, quasi senza segni, come si addice a un uccello che vede raramente il sole ma vive nel crepuscolo delle siepi. Americano perché avrebbe dovuto indossare una lettera scarlatta. Quello che sapeva degli americani proveniva da un libro che aveva letto una volta – una donna come un passero delle siepi, che strisciava furtivamente nell’ombra e si metteva nei guai con un prete.
Quell’uccello sgangherato, esile, ovviamente puritano, infilò il suo becco sottile nelle gocce che Gunning aveva messo sulla mensola per le cinciallegre. La cinciallegra selvatica, la cinciallegra grande, tutta la famiglia amava quelle gocce. Il passero ovviamente no; in quel caldo giorno di giugno le gocce erano diventate oleose; il passero, con il becco tutto grasso, fece come per mormorare qualcosa con le mandibole ma non prese altre gocce. Guardava Mark negli occhi. Poiché questi lo guardavano immobile, emise una lunga nota di avvertimento e volò via, silenzioso, nell’invisibilità. Tutto ciò che fa parte di una siepe ti ignora se ti muovi e non lo guardi. Nel momento in cui resti immobile e fissi lo sguardo su di esso, quello avverte il resto del branco e vola via. Questo passero delle siepi senza dubbio aveva i suoi piccoli a portata d’orecchio. Oppure l’avvertimento poteva essere stato solo collaborativo.
Marie Léonie, nata Riotor, stava salendo gli scalini e percorrendo il sentiero. Riconosceva il suo respiro. Gli arrivò accanto, informe nel suo lungo grembiule di cotone stampato, e respirava con affanno, tenendo un piatto di zuppa e dicendo: «Mon pauvre homme! Mon pauvre homme! C’est qu’ils on fait de toi!»
Lei iniziò un discorso in francese senza prendere fiato. Era del tipo Normanno, biondo e largo; a metà della quarantina, i suoi capelli estremamente chiari erano molto voluminosi e notevoli. Aveva vissuto per venti anni con Mark Tietjens, ma si era sempre rifiutata di proferire una parola in inglese, avendo un invincibile disprezzo sia per la lingua che per il popolo del suo paese d’adozione.
Il discorso continuava. Lei aveva appoggiato il piccolo vassoio con il piatto di zuppa rosso-giallastra su un ripiano di legno che si apriva girando una vite da sotto il letto; nella zuppa c’era un termometro clinico lucente che lei muoveva e osservava di quando in quando, e accanto al piatto una siringa di vetro, graduata. Lei disse che Ils – loro – si erano messi d’accordo per rendere la zuppa immangiabile. Non le avevano voluto dare i suoi soliti navet de Paris ma quelli tondi, come bottoni; avevano fatto in modo che le carote fossero pourris all’estremità inferiore; i porri avevano la consistenza del legno. Loro erano determinati a che lui non prendesse il brodo vegetale perché volevano che mangiasse la minestra di carne. Erano antropofagi. Nient’altro che carne, carne, carne! Quella ragazza!…