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Blurb

Che cosa faresti se scoprissi che il tuo compagno sta per morire? Anya ha ereditato il dono di sua madre: il suo destino è quello di essere la prossima Matefinder e il suo gemello, Jaxson, è il suo protettore. O almeno questo è quello che le è sempre stato detto, tuttavia pare che gli Spiriti abbiano altro in programma per lei, e, quando inizia a sognare un affascinante ragazzo umano in difficoltà, tutta la sua esistenza viene stravolta. Minacciata da innumerevoli pericoli e con il tempo che stringe, riuscirà Anya a portare a termine la sua missione e a sopravvivere?  

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Capitolo 1-1
Capitolo 1 Mi svegliai di soprassalto, ansimando, con le lenzuola incollate alla pelle madida di sudore. Mentre raccoglievo i capelli in una coda di cavallo le mani mi tremavano. I sogni… oddio, sembravano così reali. Riguardavano sempre lui: l’umano, un maledettissimo, bellissimo umano dagli occhi verde menta screziati d’oro, i folti capelli castano scuro e il corpo scolpito di un atleta professionista. Mi posai una mano sulla fronte e trasalii: scottavo. Di nuovo! Che diavolo mi stava succedendo? Mi liberai delle lenzuola e attraversai di corsa la mia stanza, sbarazzandomi dei vestiti sudati. Afferrai una maglietta pulita e un paio di pantaloni da yoga e li indossai, gettando quelli zuppi in un angolo. Mentre camminavo con passo felpato per casa, attenta a non svegliare i miei genitori, il corridoio era buio e silenzioso. Mio padre, Kai, era l’alfa del più grande branco di licantropi del Pacifico nord-occidentale. Il nostro territorio comprendeva quasi tutto l’Oregon; dal Monte Hood, dove vivevamo, passava per Portland e si estendeva fino all’oceano. Di mia madre, Aurora, be’, si poteva semplicemente dire che era speciale. In ogni caso, svegliare uno dei due non sarebbe stata una buona idea perché sarebbe iniziato un interrogatorio. Aprii la porta d’ingresso e l’aria fredda e frizzante proveniente dall’esterno mi colpì il viso, offrendomi un gradito sollievo dal calore che si irradiava dal mio corpo. Richiudendola piano dietro di me, presi un respiro profondo e rimasi in piedi al centro della nostra veranda affacciata sugli alberi del fitto bosco che circondava la nostra proprietà. Merda. Quale ragazza sognava un umano sexy e si svegliava col corpo in fiamme? Follia totale. Be’, forse ad alcune ragazze succedeva, ma questi non erano i tipici ardori scatenati dal desiderio, era calore da febbre a quaranta e malessere. In quanto licantropo potevo sopravvivere a certe ferite e guarire velocemente. Noi non ci ammalavamo di cancro, non prendevamo l’influenza, né alcun altro tipo di malattia, e io non avevo mai avuto la febbre. Quindi, quell’aumento della temperatura corporea in seguito ai miei sogni mi terrorizzava. C’era qualcosa che non andava in me e non ero più vicina a capire di cosa si trattasse di quanto lo fossi stata un paio di mesi prima, quando i sogni erano cominciati. Fissai lo sguardo sulla montagna e lasciai vagare la mente. Anni addietro, prima che io nascessi, il Monte era abitato sia da umani sia dal branco di mio padre. Ma sin dal momento in cui lui aveva rivelato l’esistenza dei licantropi e dei vampiri alla razza umana, la montagna era diventata area esclusiva dei licantropi. Il nostro numero, un tempo piuttosto esiguo, adesso grazie a mia madre si aggirava intorno a qualche milione di esemplari. Lei è la Matefinder, il che significa che può aiutare i lupi a trovare i propri compagni. Ed è roba grossa se si pensa che solo le coppie di compagni possono avere figli e contribuire all’accrescimento della nostra specie, mentre tutte le altre unioni, invece, non sono fertili. Prima di mia madre ci stavamo estinguendo. Anche io sono una Matefinder e ho ereditato il suo dono, be', più o meno. Dovevo ancora avere la mia visione della prima coppia di compagni. Solo di recente… i sogni, l’umano… Facevano parte del dono che avevo ereditato? Era il compagno di qualcuna? Ragazza fortunata, chiunque fosse. La porta alle mie spalle si aprì e voltandomi mi lasciai sfuggire un gemito. Mamma era stupenda. Alta, magra, con lunghi capelli biondi e setosi e penetranti occhi azzurri. Sembrava una super modella. Io invece avevo preso da mio padre, che era originario dell’India. La mia pelle era di un caldo color caramello e avevo una folta chioma di capelli scuri. Ero alta, ma più imponente di mia madre, e da lei avevo ereditato solo gli straordinari occhi azzurri. «Anya? Perché sei qui fuori? Un altro sogno?» Aggrottò la fronte e poi, stringendosi le braccia al petto per il freddo, con la sua solita grazia si avvicinò a me sulla veranda. «Mamma, davvero? Ho vent’anni. Non devi controllarmi.» Gemetti. Era super protettiva negli ultimi tempi, se possibile ancora più del solito. I Matefinder erano notoriamente cacciati per il loro dono, perché secondo la leggenda potevano essere forzati a trovare i compagni attraverso l’uso della magia oscura. Lo sguardo di mia madre passò da dolce e materno a torvo da alfa nel giro di un nanosecondo. Cazzo. Guardai per terra, anche se avrei voluto continuare a fissarla negli occhi. Con Jax, mio fratello, provavamo sempre a tastare quanto fossimo dominanti, sfidandoci l’un l’altra, ma non ci azzardavamo mai a provare con i nostri genitori. Sebbene a mia madre piacesse sfidare mio padre di continuo, tecnicamente lei era seconda in comando, anche se sapevamo tutti che se avesse voluto avrebbe potuto essere l’alfa. «Non ti sto controllando. Sto cercando di aiutarti a comprendere i tuoi sogni» disse in modo brusco. Sospirai e puntai lo sguardo sul suo mento. «Scusa. Sono visioni? È il compagno di qualcuna?» le chiesi, disperata. Se qualcuno poteva saperlo, era lei. La Matefinder, mezza strega, mezzo licantropo. Anche io e Jax eravamo lo straordinario incrocio di queste due specie. Una gravidanza interspecie era rara e questo ci aveva resi delle prede, ricercati da chiunque e in costante bisogno di protezione. Questo era quello che eravamo. Una vita passata a guardarci le spalle e a sentirci domandare da qualsiasi lupo non accoppiato che incontravamo chi fosse il suo compagno. Ma non funzionava in questo modo; le visioni erano volute dallo Spirito e non arrivavano su richiesta. A vent’anni io non avevo ancora accoppiato nessuno. Nonostante mia madre avesse ventitré anni quando aveva avuto me, sembrava ancora poco più che una ragazzina. L’invecchiamento dei licantropi era straordinario. La gente pensava fossimo sorelle, ma io lo sapevo meglio di chiunque altro: mi avrebbe sbranata in un attimo, se solo avessi superato il limite. Una mamma in tutto e per tutto. Mi controllò la fronte con una mano e la ritrasse di colpo, stringendo i denti e inspirando rumorosamente. «Cazzo» imprecò, e io sorrisi. Mamma si lasciava sempre sfuggire qualche imprecazione. Mio padre? Mai. «Scotti.» Si accarezzò il mento, assorta nei suoi pensieri. «Sai, non sono arrivata gradualmente al mio dono di Matefinder. Sono stata trasformata, poi ho cambiato forma per la prima volta, ho scoperto che vostro padre era il mio compagno e bam!» Batté le mani insieme per dare maggior enfasi al suo discorso. «La mia prima visione.» Alzai gli occhi al cielo. Avevo sentito quella storia un milione di volte. «Quindi mai un sogno. Sempre visioni da sveglia?» Scrollò le spalle. «In pratica.» Sollevai le braccia per la frustrazione. «Fantastico. Fra una settimana parto per il college e sono la tizia stramba che sogna un umano sexy e a cui di conseguenza vengono le vampate finché dorme.» Mia madre sorrise. «Non avevi detto che era sexy» sollevò un sopracciglio. Alzai di nuovo gli occhi al cielo. «Vabbè, come ti pare. È carino… per essere un umano.» Allungò una mano e sfiorò il piccolo lupo tatuato sul mio collo, poi aggrottò la fronte e un’espressione triste le attraversò il viso dai lineamenti eleganti. «Mi dispiace che tu debba andare al college con questo. Marchiata. Tuo padre e io abbiamo provato a opporci finché abbiamo potuto.» Annuii. Era un tasto dolente. Feci scorrere le dita sul tatuaggio ancora piuttosto recente. Al compimento dei diciott’anni, ad ogni licantropo doveva essere tatuato il marchio: un piccolo lupo. In quel modo gli umani avrebbero subito capito cosa eravamo e quindi avrebbero potuto scegliere se fidarsi di noi e frequentarci. Era una stronzata, ma mio padre sosteneva che era il prezzo da pagare per avere mamma nelle nostre vite. Se non avesse rivelato agli umani l’esistenza della nostra razza, loro non li avrebbero aiutati e non sarebbero riusciti a mettere fine alla guerra con i vampiri. In fin dei conti erano state le milizie umane a unire le proprie forze con quelle dell’esiguo branco di lupi per combattere ed eliminare i malvagi succhiasangue. Le strinsi la mano. «Lo so, ma starò in un dormitorio licantropo-friendly e Avery sarà la mia compagna di stanza. Non preoccuparti.» Dio, ti prego, non preoccuparti! Ci erano voluti due anni in un college locale qui a Monte Hood prima che i nostri genitori si convincessero a lasciarci frequentare un college statale a due ore di distanza. Quando tuo padre è l’alfa del branco, non hai molta libertà. Morivo dalla voglia di andarmene! Annuì, ma la sua espressione tradiva i suoi veri sentimenti. Mia zia Emma e mia madre erano inseparabili. Non avevano fatto altro che preoccuparsi ininterrottamente per la nostra partenza. La figlia di Emma, Avery, era la mia migliore amica ed eravamo a dir poco elettrizzate all’idea di iniziare finalmente a vivere per conto nostro. Mia zia Diya e mio zio Trent avevano un figlio della nostra età, Mason, il primo di sette figli. Avery, Mason, Jax e io eravamo molto amici, un piccolo branco esclusivo, e stavamo partendo tutti insieme per il college. Non c’erano dubbi che i nostri genitori si sarebbero fatti prendere dal panico non appena sarebbe successo. Poi, mamma e io sorridemmo allo stesso momento. Chai. Le narici dilatate mentre ridevamo. «Papà è sveglio.» Rientrò per prima. Io feci un altro respiro profondo, lasciando che i polmoni si riempissero di aria fresca, e la seguii all’interno. Seduta al tavolo della cucina, strinsi la tazza di chai fra le mani e ne respirai il profumo, sorridendo. Mio padre, che veniva dall’India, preparava in assoluto il chai più buono del mondo. Anche se zio Jai avrebbe avuto qualcosa da ridere a proposito. Essendo un alfa, mio padre era al corrente delle mie emozioni, a volte anche dei miei pensieri, se non riuscivo a mantenerli abbastanza silenziosi. Dopo anni di pratica, ero diventata piuttosto brava a tenerlo fuori dalla mia testa. Ma quella notte era diverso. I miei pensieri erano rumorosi, le mie emozioni in vista. Si scostò i folti capelli scuri dal viso, in un gesto che era così tipicamente suo. Poi puntò il suo sguardo giallo da alfa su di me. Gli occhi gialli stavano a significare che il suo lupo interiore stava per affiorare. Lo guardai a mia volta e provai a non contorcermi sulla sedia. «Chi è questo ragazzo umano che continui a sognare?» La sua voce era severa. Mia madre gli tirò un calcio da sotto il tavolo e i suoi occhi tornarono castani. «Papà, è solo un sogno. Non può succedere nulla nei sogni.» Sussultai non appena quelle parole mi uscirono di bocca. Non era propriamente vero. Una strega oscura tempo prima aveva intrappolato mia madre in un sogno e l’aveva quasi ferita. «Forse, se ci raccontassi maggiori dettagli, potemmo aiutarti a capire» suggerì mia madre con dolcezza, ma mio padre stava scandagliando i miei pensieri col suo potere da alfa. Riuscivo a sentirlo. «Papà.» Brontolai e sentii i miei stessi occhi diventare gialli. Alzò le mani al cielo. «Be’, scusa se sto provando a proteggere la mia unica figlia!» esplose, parlando a raffica in hindi. Mia madre ci guardava, confusa e infastidita. «Puoi proteggermi, ma non entrarmi in testa» gli risposi, sempre in hindi, picchiettandomi la fronte. Mia madre borbottò a denti stretti. Ci aveva incoraggiato a imparare l’hindi, ma non apprezzava le nostre conversazioni private in sua presenza. «Scusa» mormorò mio padre, in inglese, accarezzandole un braccio. Neanche a farlo apposta il mio fratello gemello, Jaxon, spuntò dal corridoio. I Matefinder nascevano sempre con un gemello. La femmina ereditava il dono, il maschio era il suo protettore. Mio fratello aveva preso il suo ruolo molto seriamente. Oserei dire anche più di mio padre. «Ha sognato di nuovo quel tizio?» chiese Jaxon. I suoi capelli castano chiaro erano un cespuglio disordinato. Aveva dei riflessi dorati tra le ciocche, un tratto che condivideva con mia madre e troneggiava su tutti noi con i suoi centonovantacinque centimetri d’altezza e muscoli. Lo fulminai con lo sguardo. «Perché sei già sveglio a quest’ora?» gli chiese mio padre, sapendo che a Jax piaceva dormire fino a tardi.

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