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481 Words
2Lo schermo del cellulare segnava 1° gennaio, ore 10:45. Anna lo ripose sul comodino e tirò a sé il piumino fino sopra la testa. Non voleva ancora alzarsi: mettere i piedi in terra, signi­ficava dover ricominciare a affrontare la vita e prendere deci­sioni; significava prendere «la decisione»: il giorno seguente avrebbe dovuto comunicare a Giorgio la sua intenzione o meno di rimanere a lavorare in negozio. Fece un respiro profondo e si lasciò cullare dall’aria calda sprigionata dai suoi polmoni e rimasta intrappolata sotto le coperte. Tra le gambe sentiva il peso della sua gatta addormentata. Restò così, immobile, anco­ra un po’ di minuti, lasciando che i suoi pensieri seguissero il ritmo lento e regolare del suo cuore. Poi cominciò a sfilare piano una gamba cercando di non disturbare la gatta, ma fu un tentativo inutile: come Lola percepì Anna muoversi, si alzò e scese dal letto, miagolando risentita. Anche Anna si alzò, aprì la finestra per cambiare l’aria nella stanza e raffreddare il letto. Fuori era una giornata stupida: un cielo alto, nuvoloso e grigio polvere fermava sopra i tetti un’aria fredda e umida che sem­brava smorzare anche l’intensità delle luci natalizie sparse per la città. Anna amava molto la sua stanza: insieme a un bagno privato, la camera occupava tutta la piccola mansarda dell’appartamento. Il tetto a falda aveva, nel punto più basso, un’altezza di poco più di un metro e su quel lato si trovava l’unica finestra: era una specie di portafinestra in miniatura che si sviluppava per tutta la breve distanza che c’era tra il pa­vimento e il soffitto. Poiché, per guardare fuori, Anna era co­stretta a sedersi sul pavimento, sua mamma le aveva imbottito e foderato una di quelle basse e piccole sedute da mare che si usano per stare a mollo lungo il bagnasciuga. Quando era triste, quando era pensierosa, quando voleva stare sola, Anna si sedeva su quella sedia, le gambe distese di fronte a sé, a guar­dare fuori i tetti della città, le antenne, i comignoli e le chiome dei pochi alberi visibili. Oppure si sdraiava sul letto a osser­vare il cielo dal lucernario che si apriva proprio sulla sua testa: tante notti era stata svegliata dalla luce bianca e vibrante della luna che entrava nella stanza da quel lucernario. In quelle notti osservava gli arredi e gli oggetti della sua camera e ave­va la sensazione che tutto intorno a lei stesse galleggiando in un bicchiere di latte annacquato. Toc toc. «Avanti» disse Anna. «Ah, sei già sveglia, amore. Buon Anno. Come stai? Vuoi fare colazione?» «Buongiorno, mamma. E Buon Anno anche a te» le rispose Anna, abbracciandola e posandole il mento sulla spalla «Pren­do solo un tè. Tanto tra un po’ andiamo a fare l’ennesima ab­buffata dagli zii.» «Va bene. Scendo giù a scaldarti l’acqua.» «Sì, grazie. Adesso arrivo.» Anna andò in bagno, accese la radio e davanti allo specchio si tolse dal viso i residui del trucco della sera prima, e dai ca­pelli le poche forcine rimaste della pettinatura. E pensò che con quel gesto si stava togliendo di dosso anche gli ultimi resti di quell’anno appena finito.
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