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Gelatina

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Molte donne si riconosceranno in queste tre inquiete “over 30”: Anna, la protagonista, e le sue amiche Carlotta e Lella. Anche loro, come gli uomini del romanzo “un po’ gelatinose”, ma soprattutto alla ricerca della felicità, o perlomeno di qualcuno con cui condividere questa ricerca. Ma la vita non è semplice, non lo è mai. Così, si perdono occasioni, non ci si “riconosce” quando è il momento, si fanno anche delle sciocchezze, ma talvolta si impara anche dall’esperienza. Forse. Quello che si dovrebbe imparare è che l’amore è gioia e serenità, non dolore. Come dice la mamma di Anna, “ognuno di noi ha diritto a una torta intera”, ha diritto a un sentimento pieno e completo, ma l’amore va meritato.

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1«In una storia come la nostra, arriva il momento in cui l’istinto di sopravvivenza diventa più forte dell’amore, e diven­ta tanto forte da predominare. Ed è allora che il principio “mors tua, vita mea” non ci appare più così categorico e spie­tato. Da questa storia non possiamo uscirne entrambi incolu­mi: uno dei due deve fare una scelta e questa scelta determine­rà la morte dell’altra. Questa scelta sono costretta a farla io. E sei stato tu a costringermi a farla, rimandando ogni volta la decisione fino a portarmi allo sfinimento. Decido io per en­trambi, certa che tu non lo avresti mai fatto: non avresti mai avuto il coraggio di fare una scelta e non avresti mai avuto il coraggio di scegliere me perché tu non hai midollo spinale, tu sei fatto di gelatina. E come la gelatina sei molle e vischioso e ti adatti disciplinatamente a ogni forma di recipiente in cui vieni versato. Come la gelatina, ti sei adattato alla vita che gli altri ti hanno imposto e tu, disciplinatamente, te la sei fatta andare bene. Per questo, quando ti è capitata la possibilità di scegliere, di cambiare, di compiere uno strappo che avrebbe rivoluzionato la tua vita, tu non lo hai fatto. Perché, come la gelatina, non hai la consistenza per farlo. Egoisticamente in questo momento non mi interessa un bel niente del dolore che proverebbero i tuoi figli, tua moglie e tutti i tuoi parenti. A livello umano, il mio dolore vale quanto il loro: né più né meno. E poi d’amore non si muore. Neppure Romeo e Giulietta sono morti per amore: muoiono per man­canza di comunicazione e uno scollamento nei tempi. Non morirò io, ma non sarebbe morta neppure tua moglie. E non saresti stato il primo marito a lasciare la famiglia perché in­namorato di un’altra donna: saresti stato uno dei tanti che lo fanno ogni giorno nel mondo e come lo hanno fatto loro, avre­sti potuto farlo anche tu. Sarebbe bastato dare tempo al tempo perché la situazione si aggiustasse un poco alla volta e tutto diventasse lentamente normale. Sono arrivata a un punto in cui il dolore per la tua peren­ne assenza dalla mia vita supera l’amore che provo per te. Ho bisogno di fermarmi adesso, prima che questo amore diventi odio e rancore. Perdonami la pazienza che non ho avuto. Perdonati il coraggio che non hai trovato.» A. Salvò il file, chiuse word e spense il computer. A lui mancava il coraggio di sceglierla e a lei mancava il coraggio di lasciarlo. Per quanto odiasse ammetterlo, anche lei aveva in sé una componente gelatinosa. Poggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la fronte fra le mani: ma chi diamine glielo aveva fatto fare di iniziare quella storia? E pensare che era stata lei a volerlo in tutti i modi e glielo aveva detto senza tante parafrasi: «La verità è che mi fai sesso. Me lo hai sempre fatto, fin da quando ci siamo cono­sciuti.» Oddio, forse non proprio dall’inizio: all’inizio non lo sop­portava affatto. Detestava quel suo modo di camminare a testa alta fra gli scaffali, impeccabile nella sua divisa da re­sponsabile del negozio con quel grembiule in cotone nero sempre perfettamente stirato. Dopo quasi dieci anni come promoter in giro per tutti i centri commerciali della regione, aveva finalmente trovato un posto fisso come commessa in quel piccolo supermercato locale a filiera cor­ta: nel negozio era possibile trovare solo prodotti di aziende ubicate nel raggio di 100 chilometri. Era arrivata lì due anni prima come commessa aggiunta per il mese di dicembre: dal 1 al 24 tutti i giorni dalle 8:00 alle 20:00. Era brava: aveva fre­quentato diversi corsi di comunicazione e marketing per le aziende di cui era stata promoter, e gli studi universitari mai finiti le avevano permesso di parlare piuttosto bene l’inglese, il francese, lo spagnolo e un po’ di tedesco. Passate le feste natalizie, lui le aveva chiesto se le sarebbe piaciuto rimanere a lavorare lì. «Anna, sei brava. Mi piace molto il modo in cui ti relazioni con i clienti e come li guidi nella scelta. E poi conosci un po’ di lingue: qui nessuno di noi le parla e durante la stagione esti­va, con l’arrivo dei turisti, siamo sempre in difficoltà.» «Non so, Giorgio… Non sono abituata a lavorare sempre nello stesso posto… Ho bisogno di un po’ di tempo per pen­sarci. Alla fine di questa settimana ti darò una risposta, va be­ne?» «Va bene. Basta che mi dici di sì» rispose lui, strizzandole l’occhio e poggiandole una mano sull’avambraccio. «Che nervi, quando fa così!» pensò Anna. Odiava quel suo modo di fare da seduttore navigato. Ed era un modo di fare che elargiva a tutte le clienti: indifferente all’età, al colore dei ca­pelli, degli occhi, indifferente alla statura e al peso, Giorgio si presentava a loro sbattendo i suoi occhi chiari incorniciati da sopracciglia di velluto e sfoderando il suo sorriso color madre­perla. «Buongiorno Signora. Come posso aiutarla oggi?» chiede­va, scandendo bene le parole, nel suo tono di voce molto simile a quello di Luca Ward. Mentre sistemava la merce sugli scaffali, Anna lo osservava muoversi e lo ascoltava parlare, e ogni volta riconfermava dentro di sé la sua antipatia nei suoi confronti; e quella fasti­diosa sensazione toccava i massimi livelli ogni volta che si ri­volgeva a lui per avere chiarimenti o ottenere informazioni. «Tu puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Lo sai, vero?». Ma come si fa a essere così subdolamente melliflui?, pensava ogni volta, guardandolo dritto negli occhi e cercando di manifestargli la sua disapprovazione per quel comportamen­to. Prima di accettare il posto di lavoro, ne aveva parlato con sua madre. «Mamma, Giorgio mi ha proposto di assumermi a tempo indeterminato. Tu che ne pensi?» «Non saprei… Tu come ti sei trovata in questo mese a lavo­rare lì?» «Bene, direi. A parte Giorgio, ovviamente.» «Ma si può sapere che ti ha fatto per non sopportarlo fino a questo punto?» «A me non ha fatto nulla, in realtà. È il suo modo di fare che mi urta il sistema nervoso: fa il cascamorto con tutte, an­che con me.» «Perché tu che hai in meno delle altre?» «Niente, ma che c’entra?» «C’entra nel senso che se lo fa con tutte, vuol dire che è un suo modo di fare e basta e che non devi vederci dietro allusioni o ammiccamenti. Lui è così. Punto. E comunque non è questo il nodo della questione. Il nodo è se preferisci fermarti definiti­vamente a lavorare in un posto oppure continuare a cambiare ambiente ogni volta.» «Non lo so... Alla fine sono talmente tanti anni che faccio questo lavoro che ho girato più volte tutti i centri commerciali della regione. Forse è arrivato il momento di trovare un po’ di pace…» «Forse…» le fece eco sua mamma. Ed Anna di pace ne aveva bisogno. Era pienamente co­sciente che continuava a fare quel lavoro itinerante solo per evitare di restare ferma nella sua città natale e diminuire in questo modo le possibilità di incontrare Giovanni, il suo ex: questo il nome dell’unico vero amore della sua vita. La loro era stata una banale storia d’amore come tante: conosciutisi sui banchi di scuola, si erano fidanzati prestissimo e avevano por­tato avanti il rapporto per quindici anni. In quei quindici anni Giovanni si era laureato ed era diventato avvocato, seguendo le orme paterne. In quei quindici anni Anna aveva perso il padre ed era rimasta sola con sua madre; aveva iniziato gli studi uni­versitari alla facoltà di lingue e li aveva poi interrotti per ini­ziare a lavorare, mantenersi da sola e contribuire alle spese di casa. I genitori di Giovanni non avevano mai digerito quella sua scelta e non mancavano occasione per ricordarglielo. «Mi raccomando, Anna, io voglio una nuora laureata. Ri­prendi gli studi e finisci l’università perché gli anni passano. Quanto vuoi farmi aspettare per diventare nonna?» le ripeteva in continuazione la madre di Giovanni. Ormai era diventato un mantra. Quante cose dai stupidamente per scontate, Sig.ra Glo­ria!, pensava Anna annuendo, mentre non l’ascoltava più par­lare. Dai per scontato che le persone non laureate non siano colte, che non abbiano pensieri e opinioni, che non leggano, che non sappiano, che non si informino. Ed invece io mi in­formo, leggo, ho pensieri e opinioni. Dai per scontato che io voglia dei figli, mentre io non ne voglio affatto. Anna non aveva ripreso gli studi, gli anni erano passati ed erano arrivati i trenta. Per il suo compleanno Giovanni le aveva regalato un romantico weekend in una spa di lusso. Fu il peg­giore weekend della sua vita: non videro il centro benessere, non fecero alcun trattamento e rinunciarono alla cena a lume di candela nel ristorante due stelle Michelin. Rimasero due giorni chiusi nella suite a parlare e piangere e quando ne uscirono, stremati, si erano lasciati. Non avevano trovato, in realtà, dei motivi validi per lasciarsi, ma non avevano trovato neppure dei motivi validi per rimanere insieme: semplicemente la loro sto­ria si era esaurita e loro avevano realizzato di volersi bene co­me due amici e di non amarsi più. «Sono cose che possono succedere» le disse sua mamma. «Soprattutto dopo così tanti anni. Vi siete fidanzati troppo pre­sto. Avete bruciato le tappe e vi sono mancate le esperienze sufficienti e necessarie per avere dei termini di paragone per essere certi che quella che avevate di fronte fosse la persona giusta per voi.» «Il bue che dice cornuto all’asino. Ti sei fidanzata a quindici anni con papà e hai avuto solo lui. Non sai neppure di che parli.» «Io non ho mai voluto nessun altro che non fosse tuo padre e sono sempre stata felice con lui. Tu, con Giovanni, eri feli­ce?» Già… ero felice in fondo?, si domandò Anna.. Erano passati cinque anni da allora. Giovanni si era sposato con una sua collega ma non riuscivano ad avere bambini. Da amici comuni aveva saputo che stavano pensando all’adozione. Lei invece aveva avuto solo dei brevi flirt, brevi quanto le sue permanenze nei vari centri commerciali.

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