Chip, percependo il disagio di Jack, guaì e gli sfiorò la mano con il naso. Lui gli accarezzò la pelliccia setosa e morbida, sentendosi già meglio. «Laz mi avrebbe detto qualcosa. Ogni volta che lo vedo, mi rivolge uno sguardo di scuse. E quanto è triste che non solo so perché mi guarda così, ma che tutte le volte che lo incontro spero che abbia un’espressione diversa? Come ho fatto a non lasciarmi Fitz alle spalle?»
«Esatto. Chiamalo. Almeno potrai chiudere la faccenda o roba del genere. Non ti ho mai visto stare così per nessuno.»
Ed era proprio quello il problema. Forse, se avessero avuto una relazione o fossero usciti insieme qualche volta, Jack avrebbe capito cos’era che lo tormentava di Fitz, ma non l’avevano mai fatto. Avevano avuto solo un momento importante, e per la maggior parte del tempo l’altro era stato terrorizzato, dopo che qualcuno gli aveva sparato addosso durante un servizio fotografico di moda sulla spiaggia. Era in iperventilazione e nessuno era riuscito a calmarlo, finché non era arrivato Jack. Fitz l’aveva guardato e si era rilassato, mentre lui aveva fatto del proprio meglio per superare lo shock iniziale causato dalla bellezza di quell’uomo per riuscire a rassicurarlo. Avevano parlato, Jack lo aveva circondato con un braccio e Fitz si era stretto a lui. Era stata una cosa intima. Dopo Fitz era sparito e non aveva più risposto ai suoi messaggi.
«Va tutto bene. Non è niente di che. E poi lo vedrò quando andrò al salone.» Jack uscì dal furgone e richiuse la portiera. Chip trotterellava accanto a Joker mentre entravano al quartier generale della Four Kings Security. Salutarono le guardie al bancone e si lasciarono scannerizzare i documenti e le impronte digitali nonostante fossero co-proprietari della compagnia. Chip abbaiò per salutare e ricevette qualche altra grattatina alle orecchie, poi si diressero all’ascensore, dove Jack infilò la tessera che gli dava accesso all’ultimo piano. Il suo ufficio era quasi alla fine del corridoio e il resto della sua squadra di sicurezza informatica occupava tutto il terzo piano, proprio sotto di loro.
All’ultimo piano c’era come al solito un gran trambusto. I lunedì tendevano a essere pesanti dal punto di vista amministrativo, ed era l’unico giorno in cui quasi tutti i Kings erano in ufficio nello stesso momento. L’open space era molto vasto, con gli uffici privati dei Kings, di Jack e di Joker sul lato sinistro, dopo la reception e la zona d’aspetto, mentre gli assistenti di direzione stavano nello spazio condiviso. Le risorse umane erano sulla destra insieme alle sale conferenza, uno sgabuzzino per la cancelleria e una piccola armeria; quella principale era stata spostata nel seminterrato, accanto alla zona per gli allenamenti.
Dall’altra parte della stanza, Lucky era seduto sul bordo della scrivania di Mason, a flirtare con il suo ragazzo. Chip trotterellò da loro per ricevere un po’ di coccole da entrambi.
«Che primadonna,» commentò Joker, scuotendo la testa divertito.
«Però Lucky era già così prima di conoscere Mason, quindi non è cambiato niente.»
L’amico sbatté le palpebre, perplesso, poi scoppiò a ridere.
«Oh-oh. Ecco il malvagio duo,» scherzò Mason con un forte accento texano.
«Da che pulpito, cowboy,» ribatté Joker con un sogghigno, piegandosi in avanti per sussurrare a voce abbastanza alta perché tutti e quattro, più Chip, riuscissero a sentire: «Non siamo stati noi a essere beccati da Ace con i pantaloni calati nello sgabuzzino. A buon intenditor poche parole: chiudete la porta, la prossima volta.»
La faccia dell’ex poliziotto divenne simile a un pomodoro e Lucky disse qualche parolaccia in spagnolo sottovoce.
«Ace ve l’ha detto?» ringhiò piano.
Jack lo fissò. «Ma che, siete nuovi? È Ace. Ovvio che ce l’ha detto.»
«Cavolo, tesoro,» esclamò Mason, facendo il broncio al compagno. «Ormai lo sa tutto il palazzo, probabilmente.» Strabuzzò gli occhi. «Cazzo. Anche King?»
«¡Santo cielo! Lo voy a matar.» Lucky saltò in piedi e l’altro lo prese per un braccio prima che potesse correre ad annientare Ace.
«Tesoro, anche se mi piacerebbe che facessi scontare a tuo cugino una dolorosa vendetta, forse sarebbe meglio aspettare dopo il matrimonio. Ti ricordi l’avvertimento di Colton? Niente fori di proiettile, lividi, o ferite che richiedano il gesso.»
Joker annuì. «Anche se King fa paura, non credo che qualcuno sia più terribile di Colton in modalità matrimonio.»
Lucky sembrò rimuginare sulle loro parole. «Vero. E poi non devo per forza mutilarlo per avere la mia venganza.» Sul viso gli si dipinse un sorriso malvagio. «È da un po’ che non parlo con la mia tìa, sapete? Dovrei chiamarla.»
«Vuoi chiamare sua madre?» Mason fece un fischio. «Che colpo basso, tesoro. Cavolo, quanto ti amo.»
Joker diede un colpetto a Jack e si sporse verso di lui per mormorare piano: «Filiamocela prima di restare coinvolti.»
Jack salutò e si allontanò, con l’amico al suo fianco e Chip alle calcagna. Per quanto gli sarebbe piaciuto vedere che gran casino Lucky avrebbe fatto ricadere su Ace, lui e Joker non avevano il tempo di impelagarsi con il Circolo delle Mamme Cubane. Le madri di Ace, Lucky e di Quinn, il loro cugino, erano terrificanti. Vivevano tutte e tre a Miami con il resto della loro enorme famiglia e si riunivano spesso. Quando Quinn e il suo fidanzato, Spencer, si erano sposati, il Circolo delle Mamme Cubane era stato presente al gran completo, sfoggiando tutta la propria matronaggine. Avevano riconosciuto Jack e Joker come gli scapestrati della compagnia e li avevano soprannominati Wild Cards, i Jolly, un nomignolo che poi gli era rimasto. Era buffissimo vedere Joker con loro. Non aveva mai affrontato un nemico più spaventoso, e non aveva idea di cosa fare con quelle donne e i loro continui tentativi di viziarlo e riempirlo di cibo.
Lui invece ci si era buttato a capofitto. Ci era abituato. Era il minore di cinque fratelli tutti maschi, in famiglia era sempre stato il cocco di casa e crescendo se ne era approfittato il più possibile. I suoi genitori erano stati sempre al lavoro, a cercare di guadagnare da vivere per tutti, e quando tornavano a casa erano esausti, ma avevano sempre tentato di trovare del tempo per lui. Essere il minore dava delle difficoltà, visto che i suoi genitori dovevano pensare a tutti. A volte faceva fatica anche solo a dire qualcosa. Aveva passato un sacco di tempo con i nonni, che lo avevano viziato da morire. Se il Circolo delle Mamme Cubane voleva continuare a viziarlo, Jack avrebbe sorriso e accettato educatamente. Ma non era stupido. Per nessun motivo avrebbe fatto qualcosa o sarebbe stato vicino a qualcuno che le avrebbe fatte arrabbiare.
«Dov’è il mio bel cucciolo?»
«Sono qui,» rispose Joker, e Jay lo guardò con espressione scocciata. Chip corse dall’assistente di King, mulinando felice la coda, poi abbassò di scatto il sedere e si sollevò sulle zampe posteriori, agitando quelle anteriori per chiedere uno dei suoi bocconcini. Jay era l’unico autorizzato a dargliene. Erano biologici, ordinati apposta per lui e custoditi in un barattolo con sopra il suo nome, circondato da un motivo di zampette e ossicini.
«Chi è il tuo preferito?» chiocciò il giovane, ottenendo in risposta un latrato che lo fece scoppiare a ridere. «Esatto.» Porse a Chip un biscotto per cani a forma di osso. «Fa’ piano.»
Chip allungò il collo e lo prese con i denti prima di saltellare verso l’ufficio di Joker con il bocconcino in bella mostra, come se sapesse di essere l’unico ad averne uno. Joker li salutò con la mano e seguì il suo cane, che ricevette molte altre coccole prima di arrivare a destinazione.
Jack scosse la testa. «Mr. Popolarità.»
«È l’unico che può sbavarmi addosso,» disse Jay con un sorriso, ripulendosi le mani.
«Bello il maglioncino.» Indicò gli accostamenti di colore del suo abbigliamento.
«Grazie.» L’altro fece un balletto sulla sedia e si pavoneggiò. Il modo migliore per ingraziarselo era fargli dei complimenti sul suo aspetto. Non che Jack non fosse sincero. Alcune delle camicie fantasia di Jay erano alquanto eccentriche, ma era sempre carino e in ordine. Jack non conosceva nessun altro oltre a lui che osasse abbinare un cardigan a scacchi blu e rossi a un papillon coordinato. Tutti avevano imparato in fretta che avere il favore del suo assistente personale significava avere anche quello di King. Jay sapeva essere tanto adorabile quanto spaventoso, con i suoi occhi azzurro chiaro e i capelli con il ciuffo. L’unico che proprio non gli stava simpatico era Ryden. Il Marine sembrava del tutto incapace di andarci d’accordo. Per fortuna non era in vista.
Jack si sistemò nel suo ufficio e passò il pomeriggio a mettersi in pari con fatture e rapporti e a sentirsi con i membri del suo staff, alcuni dei quali erano da dei clienti. Dopo pranzo stava facendo dei controlli di routine del sistema, quando Ace entrò.
«Tocca a te.» Gli lanciò sulla scrivania una busta nera dall’aspetto elegante, decorata con una corona dorata.
«Cos’è?» Jack la sollevò e prese il lussuoso invito all’interno. «La Four Kings Security la invita con piacere alla nostra quinta cena di gala e asta di beneficenza annuale a favore dei veterani dell’esercito e delle loro famiglie. Cocktails, cena, danze e…» Sollevò di scatto la testa. «No.»
Ace fece un ghigno malvagio. Bastardo. Agitò le sopracciglia nella sua direzione. «Invece sì.»
«Tu lo farai?»
Lo stronzo fece finta di essere deluso e si portò una mano al cuore. «Purtroppo, io non sono più single e disponibile.» Il ghigno riapparve. «Ma tu sì.»
«Un’asta di scapoli? Davvero?» Jack strinse gli occhi. «Aspetta, quindi nessuno di voi andrà all’asta?»
Ace fece spallucce.
«Ma è solo un appuntamento, per beneficenza. Sappiamo entrambi che Colton non avrebbe da ridire.»
«Ne ho parlato con King, Red e Lucky. Abbiamo deciso che non volevamo far passare in secondo piano la beneficenza o il resto dei tizi all’asta. Cioè, non vorrei far sentire in colpa King se ottenessi più soldi di lui. Ammaccherebbe il suo ego maschile.»
Qualcosa si sarebbe ammaccato di sicuro, ma non l’ego del loro amico. «King prenderebbe il quadruplo di quello che qualcuno sborserebbe per te.»
Il verso offeso di Ace lo fece ridere. «Ehi, che cattiveria!»
«È perché ha quell’aria da paparino sexy,» disse Joker, entrando e sedendosi sulla scrivania di Jack. «È attraente come il miele per le api.»
«Primo, via il culo dalla mia scrivania. Secondo, ti prego, ti prego, va’ da King e chiamalo paparino. Ti pago bene se lo fai subito.» Jack prese delle banconote dal portafoglio e le gettò sulla scrivania.
«Paghi bene per fare cosa?» chiese Lucky mentre entrava.
«Se Joker chiama King paparino,» spiegò lui, divertito.
L’altro prese il portafoglio e ne estrasse diverse banconote. «Se vai nel suo ufficio subito e lo fai, io aggiungo questi.»
«Fare cosa?» domandò Red, infilando la testa nella porta. Li guardò con espressione sospettosa. «Qualunque cosa vogliate combinare, io me ne chiamo fuori.»
Ace diede una pacca sulla spalla a Joker. «Paghiamo Joker per andare nell’ufficio di King a chiamarlo paparino.»
Red spalancò gli occhi. «Io vado in pausa e non sarò nemmeno vicino a questo edificio. Sbrigatevela da soli.»
Jack non l’aveva mai visto sparire così alla svelta.
Joker gettò indietro il capo, rise e poi si fece serio. «Cazzo, siete tutti fuori di testa.»
Lucky gli sventolò le banconote davanti alla faccia. «Eddai, sono soldi facili.»
«Già,» sbuffò l’altro. «In cambio ci rimetterò solo la pelle.»
«Hai ragione,» disse Ace, sedendosi sul divano alla sinistra di Jack. «Nessuno qui dentro ha abbastanza palle per farlo.»
«Abbastanza palle per fare cosa?» chiese Ryden dalla porta.
Gesù, stavano tutti fuori dal suo ufficio a origliare? Colpa di Ace. Qualunque cosa succedesse, era sempre colpa sua. Merda. Jack si girò sulla sedia verso di lui, e gemette nel vedere il suo ghigno perfido.
«Ace, no.»
«No, fratello,» rincarò la dose Lucky.
«Ma cosa succede?» insistette Ryden, entrando nella stanza.
Ace si alzò e si infilò le mani in tasca, l’espressione innocente che non ingannava nessuno. «Abbiamo scommesso che nessuno ha le palle di entrare nell’ufficio di King e chiamarlo paparino.» Prese anche lui il portafoglio e aggiunse delle banconote al mucchio crescente sulla scrivania di Jack.