Capitolo 4

3223 Words
4 Sara Mal di testa. La prima cosa di cui mi rendo conto è il mal di testa. Mi sento come se il cranio stesse per frantumarsi in mille pezzi, con le ondate di dolore simili a un tamburo nel cervello. "Dr.ssa Cobakis... Sara, mi senti?" La voce femminile è dolce e gentile, ma mi riempie di paura. C’è preoccupazione in quella voce, unita a un’urgenza controllata. Sento sempre quel tono in ospedale, e non è mai positivo. Cercando di non muovere il cranio palpitante, sbatto spasmodicamente le palpebre davanti alla luce luminosa. "Che cosa... dove..." La mia lingua è spessa e ingombrante, la bocca dolorosamente secca. "Ecco, sorseggia questo." Mi viene messa una cannuccia vicino alla bocca, e mi ci attacco, succhiando l’acqua con avidità. I miei occhi stanno cominciando ad abituarsi alla luce, e riesco a distinguere la stanza. È un ospedale, ma non il mio ospedale, a giudicare dall’arredo sconosciuto. Inoltre, non sto al mio solito posto. Non sto accanto al letto d’ospedale di qualcuno; sono sdraiata su un letto. "Che cos’è successo?" chiedo con voce roca. Man mano che riacquisto la lucidità, prendo nota della nausea e di una serie di dolori. La schiena mi sembra un livido gigante, e il collo è rigido e dolorante. Mi fa male anche la gola, come se avessi urlato o vomitato, e quando sollevo la mano per toccarla, trovo una benda sul lato destro del collo. "Sei stata aggredita, Dr.ssa Cobakis" spiega dolcemente una donna di colore di mezza età, e riconosco la sua voce: è quella che ha parlato poco fa. Indossa il camice da infermiera, ma in qualche modo non sembra un’infermiera. Quando lo guardo senza rispondere, chiarisce: "In casa tua. C’era un uomo. Ricordi qualcosa?" Sbatto le palpebre, sforzandomi di dare un senso a quell’affermazione confusa. Mi sento come se mi avessero inserito una palla di cotone gigante nel cervello, oltre al tamburo battente. "In casa mia? Sono stata aggredita?" "Sì, Dr.ssa Cobakis" risponde una voce maschile, e sussulto istintivamente, con il cuore che mi batte all’impazzata, prima di riconoscere quella voce. "Ma sei al sicuro ora. È finita. Questa è una struttura privata, nella quale ci prendiamo cura dei nostri agenti; sei al sicuro qui." Girando con attenzione la testa dolorante, guardo l’Agente Ryson, e il mio stomaco si svuota davanti all’espressione sul suo volto pallido e preoccupato. I ricordi del mio calvario iniziano a riaffiorare, e con essi anche una sensazione di terrore. "George, lui—" "Mi dispiace." Le righe sulla fronte di Ryson si fanno più profonde. "C’è stata un’aggressione anche nel rifugio la notte scorsa. George... Non ce l’ha fatta. E nemmeno le tre guardie." "Che cosa?" È come se un bisturi mi avesse perforato i polmoni. Non riesco a metabolizzare le sue parole, non riesco a riflettere sul loro significato. "È... è morto?" Poi, rifletto sul resto dell’affermazione. "E le altre tre guardie? Che cosa… come—" "Dr.ssa Cobakis—Sara." Ryson si avvicina. "Devo sapere esattamente cos’è successo la notte scorsa, in modo da incastrarlo." "Incastrarlo? Incastrare chi? Un individuo singolo?" Sono sempre stati loro, la mafia, e sono troppo sconvolta dall’improvviso cambiamento di pronome. George è morto. George e le tre guardie. Non riesco a farmene una ragione, quindi non ci provo nemmeno. Non ancora, almeno. Prima di lasciarmi andare al dolore, devo recuperare quei ricordi, pezzo dopo pezzo, e riordinare quell’orribile puzzle. "Potrebbe non ricordare. Il cocktail nel suo sangue era abbastanza forte" dice l’infermiera, e suppongo che sia una collega dell’agente Ryson. Questo spiegherebbe perché lui stia parlando così liberamente davanti a lei, quando generalmente è discreto al limite della paranoia. Mentre rifletto, la donna si avvicina. Sono attaccata a un monitor di segnali vitali, e mi controlla il polso della pressione sanguigna intorno al braccio, per poi stringermi delicatamente l’avambraccio. Mi guardo il braccio, e mi si stringe il cuore quando vedo una sottile linea rossa intorno al polso. Anche l’altro polso ne ha una. Fascetta di plastica. Il ricordo riaffiora con improvvisa chiarezza. Avevo una fascetta intorno ai polsi. "Mi ha torturata con l’acqua. Vedendo che continuavo a non rivelargli dove si trovasse George, mi ha conficcato un ago nel collo." Non mi rendo conto di aver parlato ad alta voce, finché non vedo lo shock sul volto dell’infermiera. L’espressione dell’Agente Ryson è più contenuta, ma vedo che anche lui è sconvolto. "Mi dispiace tanto." La sua voce è confusa. "Avremmo dovuto immaginarlo, ma non aveva ancora iniziato a vendicarsi delle famiglie degli altri, e tu non volevi allontanarti... Tuttavia, avremmo dovuto sapere che lui non si sarebbe fermato di fronte a nulla—" "Gli altri? Lui?" Alzo la voce man mano che mi tornano in mente altri ricordi. Il coltello sulla gola, il panno bagnato sul viso, l’ago nel collo, non riesco a respirare, non riesco a respirare... "Karen, ha un attacco di panico! Fa’ qualcosa." La voce di Ryson è frenetica, quando i monitor iniziano a emettere un segnale acustico. Sto andando in iperventilazione e tremo, ma in qualche modo trovo la forza di guardare quei monitor. La pressione sanguigna è alle stelle, e il cuore mi batte in modo pericolosamente veloce, ma vedere quei numeri mi tranquillizza. Sono un medico. Questo è il mio ambiente, la mia zona di comfort. Posso farcela. Inspira. Espira. Non sono debole. Inspira. Espira. "Brava, Sara. Respira." La voce di Karen è dolce e rilassante, mentre mi accarezza il braccio. "Continua così. Un altro respiro profondo. Ecco. Ottimo lavoro. Ora un altro. E un altro ancora..." Seguo le sue gentili istruzioni, mentre guardo i numeri sui monitor e, lentamente, la soffocante sensazione si placa e i miei parametri vitali si normalizzano. Riaffiorano altri ricordi oscuri, ma non sono ancora pronta per affrontarli, così li respingo, schiacciandoli mentalmente con tutta la forza che ho. "Chi è lui?" chiedo, quando posso parlare di nuovo. "Chi sono ‘gli altri’? George aveva scritto quell’articolo da solo. Per quale motivo la mafia starebbe dando la caccia a qualcun altro?" L’Agente Ryson rivolge un’occhiata a Karen, poi torna a concentrarsi su di me. "Dr.ssa Cobakis, temo che non siamo stati completamente sinceri con te. Non abbiamo rivelato la situazione reale per proteggerti, ma chiaramente abbiamo fallito." Fa un respiro. "Non è stata la mafia locale a dare la caccia a tuo marito. Si è trattato di un fuggitivo internazionale, un criminale pericoloso che tuo marito ha conosciuto durante un incarico all'estero." "Che cosa?" La testa mi palpita dolorosamente, come se fosse difficile metabolizzare tutte quelle rivelazioni. George aveva iniziato come corrispondente estero, ma negli ultimi cinque anni ha cominciato a raccogliere sempre più storie locali. Mi chiedevo quale fosse il motivo, vista la sua passione per gli affari esteri, ma, quando gliene parlavo, mi diceva che voleva passare più tempo a casa con me, così non indagavo ulteriormente. "Quest’uomo ha una lista di persone che lo hanno ostacolato—o che pensa lo abbiano ostacolato" dice Ryson. "Temo che George fosse su quella lista. Le informazioni esatte intorno ad essa e l’identità del fuggitivo sono riservate, ma, dopo quello che è accaduto, meriti di sapere la verità—almeno quella che posso rivelare." Lo fisso. "Un uomo? Un fuggitivo?" Mi torna in mente un volto, un volto maschile e bellissimo. È un’immagina sfocata, come se si trattasse di un sogno, ma in qualche modo so che è lui, l’uomo che ha fatto irruzione in casa mia e che mi ha fatto quelle cose orribili. Ryson annuisce. "Sì. È altamente addestrato e ha risorse enormi; è per questo che è riuscito a sfuggirci per tutto questo tempo. Ha contatti dappertutto, dall’Europa dell’Est al Sud America, al Medio Oriente. Quando abbiamo scoperto che il nome di tuo marito era sulla sua lista, abbiamo portato George nel rifugio, e avremmo dovuto fare la stessa cosa con te. Abbiamo pensato che—" Si ferma e scuote la testa. "Suppongo che non importi cosa abbiamo pensato. Lo abbiamo sottovalutato, e ora quattro uomini sono morti." Morti. Quattro uomini sono morti. A questo punto, mi rendo conto che George se n’è andato. Prima non ci avevo riflettuto, in realtà. Gli occhi iniziano a bruciarmi, e mi sento come se il petto fosse stretto in una morsa. In un lampo di lucidità, i pezzi del puzzle si ricompongono. "Sono stata io, non è vero?" Mi siedo, ignorando l’ondata di vertigini e di dolore. "Sono stata io. In qualche modo, ho rivelato l’ubicazione del rifugio." Ryson rivolge un’altra occhiata all’infermiera, e il mio cuore cessa di battere. Non rispondono alla mia domanda, ma il loro linguaggio del corpo parla chiaro. Sono la responsabile della morte di George. Di tutte e quattro le morti. "Non è colpa tua, Dr.ssa Cobakis." Karen mi tocca di nuovo il braccio, con gli occhi castani carichi di comprensione. "Il farmaco che ti ha somministrato avrebbe fatto cedere chiunque. Conosci il tiopentale sodico?" "L’anestetico?" Sbatto le palpebre. "Certo. È stato ampiamente utilizzato per indurre l’anestesia, fin quando il propofol non è diventato la norma. Che cosa—oh." "Sì" dice l’Agente Ryson. "Vedo che sei a conoscenza del suo uso alternativo. È utilizzato raramente in quel modo, perlomeno al di fuori della comunità di intelligence, ma è abbastanza efficace come siero della verità. Riduce le funzioni cerebrali della corteccia e rende i soggetti espansivi e cooperativi. E questa è stata la versione di un professionista, tiopentale mescolato con composti che non avevamo mai visto prima." "Mi ha drogata per farmi parlare?" Il mio stomaco si dilata dalla bile. Questo spiegherebbe il mal di testa e la nebbia nel cervello, e la consapevolezza che mi è stato fatto questo—che mi ha fatta cedere in quel modo—mi fa venir voglia di lavare l’interno del mio cranio con la candeggina. Quell’uomo non si è solo intrufolato in casa mia; ha invaso la mia mente, violandola come un ladro. "Questa è l’ipotesi più probabile, sì" dice Ryson. "Avevi una gran quantità di quel farmaco nell’organismo, quando i nostri agenti ti hanno trovata legata nel salotto. Avevi anche del sangue sul collo e sulle cosce, e inizialmente hanno pensato che—" "Del sangue sulle mie cosce?" Mi preparo ad affrontare un nuovo orrore. "Mi ha—" "No, non preoccuparti, non ti ha fatto del male in quel modo" dice Karen, rivolgendo a Ryson un’occhiataccia. "Ti abbiamo esaminata a fondo, quando sei stata portata qui, e abbiamo scoperto che si trattava del sangue mestruale, niente di più. Non c’erano segni di trauma sessuale. A parte qualche contusione e dei tagli superficiali sul collo, stai bene—o meglio, starai bene, non appena le droghe cesseranno di far effetto." Starò bene. Una risata isterica minaccia di uscire dalla gola, e faccio appello a tutta la mia forza per evitare di lasciarmela sfuggire. Mio marito e altri tre uomini sono morti per colpa mia. La mia casa è stata invasa; la mia mente è stata invasa. E lei pensa che starò bene? "Perché avete inventato quella menzogna sulla mafia?" chiedo, cercando di contenere il dolore che si sta espandendo nel mio petto. "In che modo quella bugia mi avrebbe protetta?" "Perché in passato questo fuggitivo non aveva dato la caccia agli innocenti—alle mogli e ai figli delle persone sulla sua lista che non erano coinvolte in alcun modo" spiega Ryson. "Ma ha ucciso la sorella di un uomo, perché quell’uomo si era fidato di lei, coinvolgendola nella copertura. Meno sapevi, più saresti stata al sicuro, soprattutto dal momento che non volevi trasferirti e sparire accanto a tuo marito." "Ryson, per favore" dice Karen bruscamente, ma è troppo tardi. Sto già metabolizzando questa nuova informazione. Potrei avere la scusante della droga che mi ha indotta a parlare, ma il rifiuto di partire è da imputare solo a me stessa. Sono stata egoista, pensando ai miei genitori e alla carriera, anziché al pericolo in cui avrei potuto mettere mio marito. Credevo che fosse la mia sicurezza ad essere in gioco, non la sua, ma questa non è una giustificazione. Ho la morte di George sulla coscienza, proprio come l’incidente che gli aveva danneggiato il cervello. "Ha—" deglutisco a fatica. "Ha sofferto? Voglio dire… com’è successo?" "Un proiettile alla testa" risponde Ryson a bassa voce. "Come i tre uomini che gli facevano da guardia. Credo che sia successo troppo in fretta per poter soffrire." "Oh Dio." Il mio stomaco si contorce con una violenza improvvisa, e il vomito mi sale nella gola. Karen deve aver notato il colorito del mio viso, perché agisce velocemente, afferrando un vassoio di metallo da un tavolo vicino e spingendomelo tra le mani. Fa appena in tempo, perché il contenuto del mio stomaco inizia a riversarsi all’esterno, con l’acido che mi brucia l’esofago, mentre tengo il vassoio con mani tremanti. "Va tutto bene. Va tutto bene. Ecco, fatti pulire." Karen è molto efficiente, proprio come una vera infermiera. Qualunque sia il suo ruolo nell’FBI, sa cosa fare in un ambiente medico. "Vieni, lascia che ti aiuti ad andare al bagno. Ti sentirai subito meglio." Sistemando il vassoio sul comodino, mi mette un braccio intorno alla schiena per aiutarmi a scendere dal letto e mi conduce in bagno. Le gambe mi tremano così tanto che riesco a malapena a camminare; se non fosse stato per il suo sostegno, non ce l’avrei mai fatta. Eppure, ho bisogno di un minuto di privacy, così dico a Karen: "Puoi uscire un attimo? Sto bene ora." Devo sembrarle abbastanza convincente, perché dice: "Sono qui fuori, se hai bisogno di me" e chiude la porta dietro di lei. Sudo e tremo, ma riesco a sciacquarmi la bocca e a pulirmi i denti. Poi, mi prendo cura degli altri bisogni urgenti, lavo le mani e mi spruzzo l’acqua fredda sul viso. Quando Karen bussa alla porta, mi sento un po’ più umana. Inoltre, cerco di tenere la mente vuota. Se ripensassi al modo in cui George e gli altri sono morti, ricomincerei a vomitare. Ho visto tante ferite da arma da fuoco durante il mio periodo di specializzazione al pronto soccorso, e conosco il danno devastante che causano i proiettili. Non pensarci. Non ancora. "I miei genitori sono stati avvisati?" chiedo, quando Karen mi aiuta a tornare al letto. Ha già tolto il vassoio e l’Agente Ryson è seduto su una sedia accanto al letto, con il volto che mostra tutta la sua tensione. "No" dice Karen dolcemente. "Non ancora. Volevamo discuterne con te, infatti." La guardo, poi mi concentro su Ryson. "Discutere di cosa?" "Dr.ssa Cobakis—Sara—crediamo che sia meglio se le circostanze esatte della morte di tuo marito, così come quelle della tua aggressione, restino riservate" dice Ryson. "In questo modo, ti risparmieresti un sacco di spiacevole attenzione da parte dei media, oltre a—" "Vuoi dire, vi risparmiereste un sacco di spiacevole attenzione da parte dei media." Un’ondata di rabbia spazza via una parte della foschia nella mia mente. "Ecco perché sono qui e non in un normale ospedale. Volete coprire tutto questo, fingere che non sia mai accaduto." "Vogliamo tenerti al sicuro e aiutarti a superare questo momento" spiega Karen, con gli occhi castani concentrati sul mio viso. "Pubblicare questa storia su tutti i giornali non porterebbe a niente di buono. Ciò che è accaduto è stata una terribile tragedia, ma tuo marito era già tenuto in vita artificialmente. Sai meglio di chiunque altro che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che—" "E gli altri tre uomini?" la interrompo bruscamente. "Anche loro erano tenuti in vita artificialmente?" "Sono morti svolgendo il proprio dovere" spiega Ryson. "Le loro famiglie sono già state informate, quindi non devi preoccuparti di questo. Per quanto riguarda George, tu eri la sua unica famiglia, quindi..." "E così, adesso sono stata informata anch’io." Faccio una smorfia. "Avete la coscienza a posto, e ora è giunto il momento di fare pulizia. O, meglio, di 'coprirvi il culo'?" Corruga la fronte. "Questo è ancora in gran parte segreto, Dr.ssa Cobakis. Se ti rivolgessi ai media, scuoteresti un nido di calabroni e, fidati, non ti piacerebbe. Non piacerebbe nemmeno a tuo marito, se fosse ancora vivo. Non voleva che lo sapesse nessuno, compresa te." "Che cosa?" Fisso l’agente. "George sapeva? Ma—" "Non sapeva di essere sulla lista, e nemmeno noi" dice Karen, posando la mano sul retro della sedia di Ryson. "L’abbiamo saputo dopo l’incidente, e a quel punto abbiamo fatto il possibile per proteggerlo." La testa mi palpita, ma scaccio il dolore e cerco di concentrarmi su quello che mi stanno dicendo. "Non capisco. Che cos’è successo durante quell’incarico all’estero? Come ha fatto George a entrare in contatto con quel fuggitivo? E quando?" "Questa è la parte segreta" dice Ryson. "Mi dispiace, ma è meglio che lasci perdere. Stiamo cercando l’assassino di tuo marito ora, e stiamo cercando di proteggere le altre persone incluse nella sua lista. Viste le sue risorse, non sarà un compito facile. Se avremo i media alle calcagna, non riusciremo a svolgere il nostro lavoro in modo efficace e potrebbero morire altre persone. Capisci cosa sto dicendo, Dr.ssa Cobakis? Per la tua sicurezza, e quella di altre persone, devi lasciar perdere." Mi irrigidisco, ripensando a ciò che ha detto l’agente sugli altri. "Quante ne ha uccise già?" "Troppe, temo" risponde Karen sommessamente. "Abbiamo saputo della lista solo dopo che era già arrivato a diverse persone in Europa, e quando siamo riusciti a prendere le opportune contromisure, erano rimasti solo pochi individui." Faccio un respiro tremante, con la testa che mi gira. So cosa faceva George come corrispondente estero, naturalmente, e ho letto molti dei suoi articoli e pubblicazioni, ma quelle storie non mi sembravano completamente reali. Anche quando l’Agente Ryson mi avvicinò nove mesi fa per informarmi sulla presunta minaccia della mafia alla vita di George, la paura che provai fu più accademica che viscerale. All’infuori dell’incidente di George e dei dolorosi anni che ne erano seguiti, avevo condotto una vita straordinaria, ricca delle tipiche preoccupazioni suburbane sulla scuola, il lavoro e la famiglia. I fuggitivi internazionali che torturano e uccidono la gente su qualche lista misteriosa sono talmente estranei alle mie esperienze che mi sento come se fossi stata scaraventata nella vita di qualcun altro. "Sappiamo che non è facile da accettare" dice Karen con delicatezza, e mi rendo conto che alcune delle emozioni che provo devono essere stampate sul mio viso. "Sei ancora scioccata per l’aggressione, e venir a sapere tutto questo..." Respira. "Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare, conosco un bravo psicologo che ha lavorato con i soldati con il DPTS (Disturbo Post-Traumatico da Stress) e altri problemi simili." "No, io..." vorrei declinare, dirle che non ho bisogno di nessuno, ma non riesco a dar voce a quella bugia. Il dolore al petto mi sta soffocando dall’interno e, nonostante il muro mentale, ricordi sempre più orribili tornano a galla, insieme a lampi di oscurità, impotenza e terrore. "Ti lascio questo biglietto da visita" dice Karen, salendo sul letto, e vedo che sta guardando i monitor che emettono segnali acustici con uno sguardo preoccupato. Non ho più bisogno di guardarli per sapere che la mia frequenza cardiaca è di nuovo aumentata, con il corpo nuovamente in quell’inutile modalità combatti-o-fuggi. Il mio stupido cervello non sa che i ricordi non possono far male, che il peggio è già accaduto. A meno che— "Devo scomparire?" ansimo con la gola chiusa. "Credete che—" "No" replica Ryson, comprendendo subito la mia paura. "Non tornerà a cercarti. Ha ottenuto quello che voleva; non ha alcun motivo per tornare. Se vuoi, possiamo ancora cercare di trasferirti, ma—" "Smettila, Ryson. Non vedi che sta per andare in iperventilazione?" dice Karen in fretta, stringendomi il braccio. "Respira, Sara" mi dice con tono rassicurante. "Vieni, tesoro, respira profondamente. Ancora. Così..." Seguo la sua voce fin quando la mia frequenza cardiaca non si ristabilizza e i peggiori ricordi non tornano dietro quel muro mentale. Continuo a tremare, però, così Karen mi avvolge una coperta intorno e si siede sul letto accanto a me, abbracciandomi forte. "Andrà tutto bene, Sara" mormora, mentre il dolore dilaga, e comincio a piangere, con le lacrime simili a colate di lava sulle guance. "È finita. Starai bene. È andato via, e non ti farà mai più del male."
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