L’inquietudine

433 Words
L’inquietudine2009, dintorni di Milano Nello studiolo al pian terreno aleggia un intenso odore di colori a olio: Clara sta dipingendo. Dopo i primi tentativi, ha abbandonato definitivamente il genere figurativo per dedicarsi a una sorta di astrattismo variopinto. Si è resa conto che, in verità, non sa disegnare e, probabilmente, non lo ha mai saputo fare. È una bella mattina, il sole entra dalla vetrata. Lentamente posa il pennello sul tavolino a fianco, tutto macchiato di colore. Si siede e guarda la sua opera: un fondo viola sul quale ha colato una polvere dorata. Il risultato è alquanto lugubre. “Anche dipingere non mi dà alcuna soddisfazione. E, in verità, non sono nemmeno brava”. Osserva la tavolozza che tiene ancora in mano e con il dito mescola insieme i singoli colori fino a formare una specie di arcobaleno. “Mi manca la compagnia di qualcuno. Non ho un’amica. E neppure parenti. Vedo gente solo per firmare carte relative a transazioni di affari e comunque sono tutte persone poco socievoli. Nessuno mi ha mai invitata anche solo per un caffè. L’unico che mi ha trasmesso un segno di comprensione è il direttore della banca, ma è sempre così a disagio, come se fosse in ansia per qualcosa. Però è il solo in cui ho riscontrato un lato umano, aldilà degli affari e delle incombenze. O magari mi sbaglio ed è solo un mio desiderio”. Dopo essersi pulita la mano con il solvente, riprende in mano il pennello per posarlo subito dopo. “Il dottore dice che ho sempre vissuto così, mi invita a non spaventarmi se cerco la solitudine, perché è questo il mio vero carattere. Ma se si sbagliasse? Se non fosse così o se comunque fossi cambiata? Vorrei vedere gente, ma non saprei chi chiamare”. Dopo un attimo di riflessione decide: “Devo uscire”. Guarda le decine di quadri accatastati e le sembra solo di avere sprecato tempo. La porta dello studiolo cigola sui cardini quando Anna entra nella stanza. «Signora, mi ha chiamato?» Voltandosi verso la donna, sorridendole in modo ironico e con un sempre maggior senso di fastidio per quelle improvvise intromissioni, Clara risponde: «Capiti sempre al momento giusto. In effetti stavo per chiamarti. Voglio uscire. Chiama Davide». Il tono seccato e perentorio non le viene naturale, ma lo ha utilizzato volutamente per non consentire repliche. Anna, evidentemente presa in contropiede dall’atteggiamento del tutto inatteso, resta sulla porta immobile e disorientata. Clara si avvia decisa all’uscita. Poi, fermandosi davanti ad Anna, la guarda dritta negli occhi, indirizzandole solo un perentorio: «Grazie».
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