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“Il mio pene sarà anche il tuo parco dei divertimenti, ma al momento è chiuso per manutenzione. Mi dispiace.”
RHETT
Ragazze.
Sono ovunque.
Ragazze belle.
Ragazze bruttine.
Ragazze alte e basse.
Ce ne sono così tante che non so in che direzione guardare prima. Quando il mio sguardo si posa su una bionda bassina con le tette grosse, mi agito a disagio sulla punta dei piedi, lasciando che la schiena atterri contro il muro dietro di me per studiarla dall’estremità della stanza.
Quando mi passa accanto, i miei occhi assetati la bevono dalla testa ai piedi: coi suoi capelli lunghi e ondulati e la struttura minuta, apprezzo la vista da sopra la mia bottiglia di birra. Il taglio della maglia attillata. Il sorriso sul volto pesantemente truccato mentre si unisce al suo gruppetto di amiche, mettendo un braccio attorno alle spalle di una brunetta con gambe lunghe un chilometro e una gonna corta il doppio.
Si lancia un’occhiata fintamente timida oltre una spalla.
Incrocia il mio sguardo.
Fa l’occhiolino.
Raddrizzo la schiena quando mi fa lentamente un body scan su e giù per tutto il fisico. Osserva l’ampiezza delle mie spalle, i pettorali solidi sotto la maglia grigia attillata. Il collo robusto. Il naso che mi è stato rotto due volte.
L’occhio destro nero.
Il sopracciglio ricucito.
Poi…
La luce nei suoi occhi si affievolisce, il suo interesse svanisce veloce come era arrivato. Non perdo tempo a sorriderle, che senso avrebbe? Piuttosto rivolgo lo sguardo altrove prima che mi liquidi ulteriormente voltandomi le spalle.
Niente di che, ci sono abituato.
Il fatto che non sia di bell’aspetto non è certo un segreto.
A queste ragazze poco importa del fatto che sia nella mia migliore forma fisica, che sia tonico e scolpito. Che mi alleni senza sosta e sia al top delle mie condizioni.
Che io sia davvero un cazzo di bravo ragazzo.
Che non sia uno stronzo.
Che possa scopare per tutta la notte avendone la possibilità. Avendo la ragazza giusta.
A loro non interessa niente di tutto questo: vogliono qualcuno che sembri essere appena uscito dalla copertina di una rivista, qualcuno come Sebastian Osborne o Zeke Daniels, due stronzi da primo premio per cui le ragazze impazziscono. Oz Osborne col bel faccino e la bocca da pervertito, e Zeke Daniels col suo sguardo cupo e tenebroso.
Con loro accanto a me messi in fila? Sono l’ultimo che le ragazze notano.
L’unica cosa vagamente attraente di me sono i denti. Mia madre lo chiama il mio sorriso da un milione di dollari, perché ho subito un bel po’ di interventi a causa del fatto che molti dei denti mi sono stati fatti saltare da una ginocchiata in faccia o da un gomito vagante durante il wrestling.
Essere me fa schifo.
Non vado a letto con nessuno da secoli, e l’ultima cosa che voglio è una pietosa scopata da ubriachi, lo scarto di una triade o l’indesiderabile A.S.S.O.
Gunderson mi si avvicina, infilandomi un’altra birra nella mano vuota. Fa tintinnare il collo della sua bottiglia contro quello della mia e mi dà una spintarella con la spalla. «Pivello, ti sciogli un po’ stanotte?»
Sciogliermi un po’? Che cazzo significa?
«Per favore, smettila di chiamarmi Pivello.»
«Ma è il tuo nome.»
«No, non lo è. Piantala.»
«Be’, non intendo chiamarti Rabideaux.»
Rido quando si fa gioco del mio cognome. Rex Gunderson, manager della squadra e galoppino designato, è un couyon, ovvero un imbecille, con palle tanto grosse da dirmi che il mio cognome è stupido.
Abbocco alla sua esca. «Perché non mi chiamerai Rabideaux?»
«Perché è terribilmente formale. Sembra il nome di un maggiordomo, e Rhett è peggio. Fa sembrare che tu stia facendo un’audizione per una qualche piantagione della Guerra Civile o stronzate simili.»
Ha ragione, è vero. Rhett Rabideaux: l’intero nome è una presa in giro.
«Grazie per avermi preso in giro per il mio nome, stronzo.»
«Ammettilo, suona ridicolo.»
«Farò sapere a mamma che lo odi la prossima volta che la vedo, grazie.»
«Non ho detto che lo odio, ho solo detto che ti fa sembrare una fighetta.» Beve un sorso di birra, guardando un gruppo di ragazze radunate lì vicino, una delle quali lo osserva di sottecchi da sopra una spalla. «Allora, ti sciogli un po’ stanotte o cosa? Abbiamo solo un’uscita serale questa settimana, dovresti passarla andando a letto con qualcuna.»
Gunderson potrà anche essere una cazzo di spina nel fianco di tutti, ma le ragazze sembrano amarlo. Si mangiano le sue battute per rimorchiare come fossero filet mignon. L’atteggiamento spavaldo. Le espressioni stupide. L’arroganza e la sfacciataggine. Li amano.
Bevo un sorso di birra. «Siamo usciti venerdì, ricordi? Sai che siamo in un mare di casini se qualcuno posta qualcosa online.»
Lui alza gli occhi al cielo. «Devi iniziare a conoscere gente, amico. Non puoi continuare a girare solo con noi. Va’ là fuori, Pivello. Va’ a vedere quanto sanno essere amichevoli le ragazze dell’Iowa.» Solleva la bottiglia. «Quelle ragazze laggiù, quelle che continuano a guardare da questa parte… va’ a salutarle.»
Faccio roteare gli occhi. «Non stanno guardando me, stanno guardando te.»
Per quanto odi ammetterlo, Gunderson ha ragione: non mi sono esposto. Me ne sto per tutto il cazzo del tempo nella mia stanza, da solo, qui per una cosa e una soltanto:
Schienare.
Vincere.
Laurearmi.
Va bene, sono tre cose. Comunque, mi aiuta il fatto che l’Iowa non sia altro che mais, campi, campi di mais e autostrade. Rende l’entrare e l’uscire molto più semplice. Niente attaccamento. Niente impegni qui. Niente tranne tutto lavoro e nessun divertimento, non mi sono neanche permesso di farmi amici nella squadra di wrestling.
«Pivello.» Rex mi risveglia. «Se vuoi fare sesso devi essere più propositivo. Non puoi impigrirti.»
«Nah, sto bene qui dove sono.» Appoggiato a della squallida carta da parati nella stanza sul retro di una festa affollata.
Rex vi si appoggia a sua volta, girandosi per guardarmi in faccia. «Se insisti a fare il lagnoso ogni volta che usciamo, lascia che ti dia un piccolo consiglio: sta’ lontano da Oz e Zeke.»
«Perché?»
«Amico, sono troppo belli. Fidati, nessuna ragazza ti darà minimamente retta se sei accanto a uno di loro due.»
«Pensavo avessero delle ragazze.»
«Ce le hanno. In realtà credo che questo non faccia altro che renderli più appetibili.»
«E perché sarebbe un male?»
«Vuoi che le ragazze si facciano te o loro?»
«Non intendo fare questo discorso con te in questo momento.»
«Cos’hai che non va? Sei gay?»
«No.»
«Puoi dirmelo se lo sei.» Alza le mani aperte. «Non ti giudico.»
«È che non mi sento a mio agio a provarci con le ragazze al momento, tutto qui. Niente di che.»
«Perché?»
«Perché?»
«Già, perché non ti senti a tuo agio a provarci con le ragazze? Qual è il problema? So che non sei timido, ti ho visto parlare con gli allenatori e i consulenti.»
Alcuni dei quali sono donne… donne attraenti.
«Non voglio farmi ogni donna che parla con me, Gunderson.»
«Io sì.»
Lo dice con un’espressione talmente seria da farmi scoppiare a ridere.
La musica che erompe dagli altoparlanti mi rende quasi impossibile sentirlo chiedere: «Seriamente, però, vuoi il mio aiuto o no?»
«Dio, no!» Rido di nuovo, dandogli una manata sulla schiena. «L’ultima cosa di cui ho bisogno è il tuo genere di aiuto. Scusa, Gunderson.»
«Andiamo, amico, pensaci. Potrei essere il tuo magnaccia, a parte il passaggio di denaro.»
Gesù Cristo, suona orribile.
«Fammi un favore, Rex.» Si sporge verso di me con le sopracciglia alzate, interessato, avvicinandosi per bene in modo da sentirmi chiaro e forte. «Resta fuori dai miei affari personali e limitati a passarmi gli asciugamani puliti.»
«Vaffanculo» ridacchia lui. «E poi, non so se posso farlo. Sono troppo coinvolto.»
«Impegnati più duramente.»
Fa una risatina da bambino. «Hai detto duramente.»
«Quanti anni hai, cinque?»
«A volte.»
Do una ditata alla birra che tiene in mano. «Quante birre hai bevuto stasera?»
La solleva in aria, guardandola con un occhio chiuso. «Non so, cinque? Sei? Più due Jägerbombs.»
«Che cazzo, Gunderson? Dobbiamo essere in palestra alle cinque domani mattina!»
«No, tu devi essere in palestra alle cinque domani mattina. Io sono lì solo per passarti gli asciugamani puliti.» Alza una mano per impedirmi di parlare. «Non preoccuparti per me, papà. Ho tutto sotto controllo. Ho comprato tre litri di latte al cioccolato per aiutarmi col doposbornia, perciò dovrei essere pronto a partire.»
«Fammi un favore e resta lontano dalla mia stanza. Non ho davvero bisogno che mi vomiti fuori dalla porta.»
Di nuovo.
***
Rex non ce l’ha fatta a venire alla sala dei pesi per l’allenamento stamattina.
Immagino che avrei potuto buttarlo giù dal letto quando non si è fatto vedere in cucina per la nostra corsa del mattino, ma sono ancora seccato per essere stato mollato al ristorante; anche se dopo quattro, cinque, sei birre la scorsa notte, entrambi i miei coinquilini hanno allegramente accettato di dividersi la mia quota dell’affitto per questo mese.
La cosa carina da fare sarebbe stata svegliarlo, sapendo che si sarebbe perso l’allenamento e molto probabilmente la prima lezione della giornata.
Ma non l’ho fatto.
Ghigno, tagliando attraverso il prato appena rasato fino al marciapiede che porta direttamente al mio gruppo di studio. Con lo zaino dei libri sulla spalla sinistra, emetto un lieve fischio rilassato mentre guardo attraverso le finestre della caffetteria solidale dell’università verso cui mi sto dirigendo.
Calcio un sasso sul prato tagliato di fresco.
Sto per passare alcune ore frustranti con due ragazze del mio corso di Strategie Politiche che ne sanno meno di me sugli accordi per il commercio equo. La miglior scelta di azione e piccola consolazione per il mio mal di testa pulsante? Buttar giù una tazza di caffè offerto gratuitamente dall’associazione studentesca per schiarirmi la testa dalla nebbia.
Monica e Kristy fanno ben poco per liberarmi degli effetti residui della notte scorsa, facendomi domanda dopo domanda sulla politica estera invece di cercarsi le risposte da sole. Sono due ore passate a spiegare e rispiegare la logistica degli accordi tra produttori e dettaglianti in merito ai prodotti registrati al di fuori del paese.
Facendo loro un esempio dopo l’altro, alla fine disegno a Monica un cazzo di schema su come funzioni l’intero sistema.
Continuano a non capire, e me ne vado sentendomi più il loro tutor che non un compagno di corso.
Mi tiro il cappuccio della felpa nera della Louisiana sopra la testa, mi infilo lo zaino al braccio e mi preparo a tirare la porta della caffetteria; ancora un po’ di caffè gratis prima di tornare a casa, perché la tazza che ho bevuto non è stata abbastanza forte per curare questo mal di testa, queste tempie pulsanti.
Neanche lontanamente.
Non dopo i tre strani messaggi che ho ricevuto, tutti negli ultimi tre quarti d’ora, che mi hanno dato da pensare.
Ehi bello. Ho sentito che hai bisogno di sesso. Chiamami.
Magari non sei sexy, ma mi ti farei lo stesso.
Che ne pensi delle cose a tre? Le mie coinquiline e io ti sverginiamo
Due dei tre sono di persone i cui nomi non riesco neanche a pronunciare, nemmeno con il correttore automatico. Li cancello, chiedendomi perché cazzo me li abbiano mandati, tanto per cominciare.
I miei occhi gettano un’occhiata di passaggio alla pila di giornali accanto al registratore di cassa e al bidone della spazzatura in acciaio di fianco alla porta mentre la mia mano tira la maniglia.
E subito sopra? Un’enorme bacheca in sughero piena di annunci. Iscrizioni ai club degli studenti. Incontri. Biglietti per attrazioni nel campus. Ministeri universitari. Annunci per coinquilini. Libri e mobili in vendita.
E al centro?
Un foglio di carta verdino e sbilenco, trattenuto da un’unica graffetta.
Aguzzo la vista, puntandola sul volto fotocopiato in bianco e nero che mi sta fissando di rimando.
Io.
Il mio volto.
Mio.
Il mio cazzo di volto, fotocopiato su un foglio di carta verde smorto assieme alle parole PORTATEVI A LETTO RETT scribacchiate in grassetto in cima.
Sotto la mia foto, nella grafia a zampa di gallina di Rex, la stessa con cui firma gli assegni dell’affitto, ci sono le parole:
Sei tu la donna fortunata che sverginerà il nostro coinquilino? Lui: un uomo socialmente impedito con un pene di medie dimensioni che cerca una partner sessuale consenziente. Tu: basta che respiri. Riccambierrà con sesso orale.
Messaggiatelo al: 555-254-5551
Leggo la didascalia, poi la rileggo altre quattro volte, gli occhi che esaminano freneticamente la pagina, registrando a stento che cazzo stanno vedendo.
Uomo socialmente impedito con un pene di medie dimensioni…
Tu: basta che respiri…
«Ma che cazzzzo?» esclamo in un sussurro inorridito, strappando via il foglio dalla bacheca con dita tremanti.
Gesù. Quegli idioti non hanno neanche scritto bene il mio nome.
«Ucciderò quegli stronzi» dico espirando con forza. «Cazzo, li ucciderò tutti.»
Esamino con lo sguardo il perimetro della bacheca in cerca di altri fogli di carta verde e, non trovandone nessuno, mi allontano dall’edificio, cercandone ovunque durante la camminata.
Marcio lungo la stretta passerella in direzione di casa nostra, fermandomi quando arrivo all’incrocio e picchiando il pulsante del semaforo con un pugno chiuso.
Una volta.
Due.
Ancora.
«Passa al verde, cazzo» ringhio. «Sbrigati.»
Dopo due interminabili secondi, non ce la faccio più ad aspettare.
«Vaffanculo.»
Guardo a sinistra, guardo a destra. Mi lancio sulla strada, schivando per un pelo un minivan grigio pieno di adolescenti. Mostro loro il dito medio quando suonano il clacson.
Piccoli coglioni.
Passo a una lenta corsa. Inspiro ed espiro a fondo per controllare il respiro.
Mi calmo.
Quattro minuti dopo, mollo lo zaino sul tavolo della cucina e irrompo in salotto, sapendo che li troverò lì stesi comodamente come scarafaggi sugli enormi divani.
Riempio l’arco della porta, stringendo i pugni, il foglio verde appallottolato stretto in una mano, e li fisso entrambi dall’alto in basso.
«Che cazzo è questo?» Sollevo il volantino. «Vi siete ammattiti tutti?»
Rex sbadiglia rumorosamente, stiracchiandosi in tutta la sua lunghezza, le braccia sopra la testa. I suoi occhi restano incollati alla TV. «Amico, perché non ci hai svegliati? Ci siamo persi l’allenamento stamattina.»
Lo ignoro. «Prima dimmi che cazzo è questo.» Gli lancio la palla di carta contro il petto.
Rex ridacchia, rannicchiandosi di più sotto una coperta nera e pelosa dell’Iowa. «Solo la migliore idea che abbiamo mai avuto.»
Il telefono mi vibra nella tasca per una notifica, poi un’altra; senza dubbio altre ragazze che vogliono scoparmi.
«Quando hai avuto il tempo di farlo?» Ho i denti stretti e mi sembra che la mascella sia sul punto di spaccarsi.
«Ieri notte?» Tossisce, poi sospira. «Amico, eravamo talmente sbronzi.»
«Vero» concorda Johnson.
«L’avete fatto ieri notte? Siamo stati assieme tutta la notte, quando cazzo l’avete fatto?»
«Dopo che sei crollato. Ricordi che abbiamo parlato di quanto ti servirebbe una buona scopata? Sei davvero nervoso ultimamente.»
«Non ho detto niente del genere.»
«Sì, l’hai fatto. Ci stavi dicendo che è talmente tanto tempo che non fai sesso da esserti dimenticato la sensazione che dà una fica.»
«Chiudi il becco, Gunderson.»
«Non me lo sto inventando.» Dà un colpetto alla coperta. «Hai detto di aver fatto sesso una volta sola.»
Merda. Forse gliel’ho detto davvero, altrimenti come cazzo farebbero a sapere che l’ho fatto solo una volta?
«Vivo qui soltanto da tre mesi.» Apro i pugni e indico il foglietto spiegazzato nel palmo della mano di Rex. «Come potevate essere abbastanza sobri da usare una fotocopiatrice?»
«Amico, è stato esilarante. Johnson è diventato tutto idiot savant. Siamo andati ai dormitori e lui ha convinto la responsabile al banco a farci usare la fotocopiatrice: hai presente quella col seno grosso?»
Sì.
«Che ore erano?»
«Non lo so, amico, l’una e mezza, forse?»
Eric si gira sul divano per puntare il telecomando verso il televisore, facendo zapping tra tutti i cazzo di canali mentre me ne sto lì furibondo. Alza il volume di tre tacche continuando a raccontare la storia.
«Questo stronzo di Gunderson si siede sulla fotocopiatrice quando la responsabile se ne va e si fa una fotocopia del culo. Pensavo che la macchina si sarebbe spaccata in due. Esilarante, amico. Avresti dovuto vederlo.»
Rex sbadiglia di nuovo. «Sei tu quello che è inciampato nei suoi pantaloni sul prato quando ti sei fermato a pisciare. Ti ho dovuto aiutare ad alzarti.»
Gesù Cristo, questi due.
«Qualcuno vi ha visti?»
«No.» Eric scorre i canali distrattamente. «Be’, sì. Delle ragazze ubriache ci hanno visto appendere un bianco e nero delle palle di Gunderson e ne volevano una copia.»
Il telefono mi vibra in tasca. «Incredibile.»
«Niente di strano. Ha davvero delle belle palle.»
Rex annuisce. «Mi depilo.»
Socchiudo gli occhi. «Come è venuto in mente a voi due idioti di appendere manifesti con la mia foto? Davvero, che cazzo!»
«Hai bisogno di fare sesso amico. Stavamo cercando di aiutarti.»
«Non sono disperato, cazzo! C’è la mia maledetta faccia su quei cosi!»
Rex ha un colpo di singhiozzo. «Ti sei visto ultimamente? Non vincerai nessun concorso di bellezza, mi spiace dirtelo.»
Perché sto discutendo con questi due idioti?
Johnson cinguetta: «Amico, l’unico modo per te di averne un po’ è darlo gratis.»
«Ti serve tutto l’aiuto che puoi ottenere.» La voce di Rex assume un tono tranquillizzante. «Su con la vita, Pivello, sii contento che non li abbiamo attaccati tutti e quarantacinque.» Ride della mia espressione inorridita. «Johnson ne ha stampati quarantacinque! La fotocopiatrice continuava ad andare e andare, da morire dal ridere.»
«Oh, be’, in quel caso, mi sento davvero fortunato!»
Questo gli fa aggrottare la fronte. «Non annodarti l’assorbente, Rabideaux. Hai controllato il telefono? Scommetto che avrai almeno cinquanta messaggi ormai.»
Come agendo a comando, il mio cellulare vibra di nuovo, facendomi stringere le natiche per l’irritazione.
«Concentrati, Gunderson. Quanti volantini avete appeso?» Ho bisogno di trovarli e tirarli giù tutti.
«Solo circa…» Rex dà un’occhiata a Eric in cerca di aiuto. «Quanti erano?»
Johnson guarda il soffitto stringendo gli occhi, contando sulle dita.
«Uno, due, sette… quattordici? No, quindici.»
Rex ride, gettando le mani in aria. «Ecco, visto? Solo quindici. Non è che ne abbiamo appesi centinaia.»
«Dove sono? Fin dove siete arrivati?»
«Non lo so, amico, a chi importa?»
«A me, cazzo!»
«Eravamo ubriachi.» Gira il corpo, inclinandosi verso il succo d’arancia poggiato sul tavolino da caffè. «In giro per il campus. Il cortile. Gli alloggi delle matricole. Cazzo, non lo so, eravamo ubriachi!»
Johnson ride. «Siamo così geniali, cazzo, così geniali. Sono quasi invidioso di noi stessi.»
Altre tre notifiche di messaggio mi partono in tasca. Vorrei prendere il telefono e lanciarlo fuori dalla finestra del soggiorno. Mi fa partire una tirata collerica che non sapevo mi stesse montando dentro. «Non riesco a credere alle stronzate che sto sentendo. Perché fare una cosa del genere? È un’invasione della mia cazzo di privacy!»
«Pivello, ti ho detto di calmarti. Abbiamo pensato bene a tutta questa cosa… abbiamo un piano! Per prima cosa, in aggiunta ai messaggi ti apriremo un account di SnapChat. Poi faremo…»
«Smetti di chiamarmi Pivello!» Gli tolgo il foglio dalle mani e glielo lancio di nuovo contro, sventolandoglielo davanti agli occhi. «C’è la mia faccia qui sopra, testa di cazzo! E non hai neanche scritto bene il mio nome. Ma che cazzo?»
«Ehi. Calmati le tette. Se avessi saputo che ti saresti arrabbiato tanto per questa cosa, avrei scelto la nostra prima idea di mettere uno stato di f*******: sulla pagina Campus Love Connection.»
Non riesco a decidere cosa sarebbe stato peggio: il mio numero di telefono in bella vista in tutto il campus per chiunque voglia mandarmi un messaggio o questi due imbecilli che cercano di trovarmi un appuntamento trollando ogni social network esistente.
Migliaia di studenti sbirciano la pagina CLC in cerca di legami e appuntamenti, relazioni e sesso senza pensieri, cotte e uscite di merda con altri studenti dell’Iowa.
«È una tale stronzata che non riesco a credere che l’abbiate fatta.» Appallottolo il foglio di carta verde e lo lancio per terra. «Dove li avete ficcati? Voi due venite con me a staccarli.»
I miei coinquilini si guardano l’un l’altro.
«Ha detto ficcati» sussurra Johnson nello sgradevole silenzio.
Entrambi ridono.
«Sono quindici poster, perché sei incazzato? Hai bisogno di conoscere gente. Hai bisogno di fare sesso, e non lo farai standotene seduto in casa.» Sfila il telefono da sotto la coperta, sblocca lo schermo e clicca sull’icona di un’app familiare. «Dovresti davvero controllare i messaggi. Scommetto che ne hai una vagonata.»
«Ditemi solo dove sono, così posso andare a strapparli.»
Avrei dovuto stare a sentire quando il capitano della nostra squadra, Sebastian “Oz” Osborne, ha tentato di farmi cambiare idea sul venire a vivere con questi due: «Rabideaux, fa’ un favore a te stesso e trovati qualcun altro con cui andare ad abitare. Questi due ti faranno diventare matto.»
Tutti mi avevano avvisato, ma non conoscevo nessuno prima di trasferirmi, neanche un’anima, e avevo poco tempo per trovare un posto se non volevo andare a vivere nel dormitorio. Ho pensato che avrei potuto passarci su.
Sapevo che sarebbero stati seccanti, solo che non immaginavo che sarebbero stati così stronzi.
Avevo torto.
Il telefono vibra due volte prima che raggiunga la porta d’ingresso, lasciando che sbatta alle mie spalle. Controllo la mia lista di messaggi in rapida crescita.
Ti succhierò l’uccello [allegato: foto delle piccole tette di una qualche ragazza]
Ehilà, di solito non faccio cose come questa ma sembri carino…
Amico, non sono una ragazza ma sei un cazzo di dio! Vuoi farmi da spalla? Prendi tutti i nuovi numeri dal tuo telefono e passameli…
Rett VIENI A LETTO. Stanza 314, Wimbly Hall