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2950 Words
3 “A giudicare dal rigonfiamento che ha nei pantaloni, mi porterò questo tipo a casa. Perché dovrei non volere dentro di me un uccello che sembra il palo di una piantagione?” LAUREL «Laurel, ti prego, ti prego, ti prego dimmi che hai visto quei poster appesi in cortile oggi.» Mia cugina Alexandra si sporge verso di me con entrambe le braccia sul tavolo, il vassoio col cibo davanti a sé e un malizioso sorriso allungato sulle scure labbra gotiche. Anche se è lunedì e abbiamo entrambe appena finito i corsi, le labbra di mia cugina sono dipinte di rosso cremisi, come se fosse appena arrivata da una nottata in giro per club. Capelli neri piastrati. Occhi castani bordati di mascara nero. Sopracciglia scolpite. Non ci somigliamo per nulla io e lei, neanche un pochino. Siamo di aspetto del tutto diverso, anche se le nostre madri sono gemelle. In effetti, vedendoci fianco a fianco, non si penserebbe neppure che siamo imparentate. Alexandra ha la pelle olivastra, io sono pallida. Alex è bassa e formosa, io sono alta e snella. I suoi capelli sono neri mentre i miei rossi, e non una qualunque sfumatura di rosso: sono scuri e fiammeggianti come un incendio boschivo, ondulati e selvaggi. Il fatto che frequentiamo la stessa università e abbiamo altri tre semestri di questi piccoli appuntamenti a pranzo che insiste a fare non mi sfugge. Alex prende tutto quello che dico e lo riferisce a sua madre, che poi chiama mia madre, che poi chiama me. È terribilmente seccante, e non manca mai di succedere. Devo badare a ogni cosa che dico o verrà ripetuta. Feste troppo selvagge, notti da ubriaca, ragazzi con cui esco? Ripetuto. Distrattamente affondo il cucchiaio nel mio yogurt ai mirtilli. Guardo la crema bianca a caccia di frutta prima di rialzare lo sguardo. Lecco il cucchiaio. «Che poster?» Potrei averlo visto o no. Alex alza gli occhi al cielo. La sua condiscendenza mi fa ammattire, ma discutere con lei è futile. «Quelli verdi con la foto di un ragazzo. Sono e-si-la-ran-ti.» Faccio spallucce, non mi interessa. «Non ho idea di cosa tu stia parlando.» «Ma vivi sotto un sasso? Ti faccio vedere. Ne ho tirato giù uno.» Si piega di lato, apre la cerniera dello zaino e ne estrae un singolo foglio spiegazzato di carta verde stampata. «È una specie di annuncio per far fare sesso a un ragazzo. Portatevi a letto Rett, vedi? Non è isterico?» «Molto isterico» le dico in tono piatto con espressione neutra. Alex si butta indietro un ciuffo dei capelli corvini. «Il ragazzo è talmente poco carino che ha dovuto mettere un annuncio in giro per il campus per fare sesso.» «Solo perché c’è un volantino in cortile non significa che non riesca a portarsi nessuna a letto. Magari è uno scherzo da confraternita, non ti è venuto in mente?» «Non è periodo. Perché qualcuno dovrebbe farlo?» Oh mio Dio, ma dice sul serio? Perché i ragazzi sono degli imbecilli, ecco perché. Lei continua a parlare, fissando il foglio che ha tra le mani. Scuote la testa. «Non questo tipo, guardalo, è davvero brutto. Dovresti mettergli un cuscino in faccia per farmelo scopare.» «Gesù, Alex» cerco di farla tacere, anche se è in qualche modo divertente. «Abbassa la voce.» «Be’, guardalo, Laurel! Io non me lo scoperei, tu sì?» Inclina la testa ed esamina il foglio, mordendosi il labbro inferiore. Lo fa scivolare sul tavolo, urtando la mia bottiglietta d’acqua. «Dammi torto.» La voce soddisfatta di mia cugina attraversa il ripiano assieme al volantino verde menta. Le mie agili dita lo prendono, lisciano le pieghe. I miei occhi blu studiano l’immagine fotocopiata male che è stata chiaramente maneggiata troppo presto dopo la stampa: ci sono sbavature di inchiostro in tre punti. Anche così, la copia sgranata non toglie niente agli occhi che restituiscono il mio sguardo. Mi si agita lo stomaco. Porca miseria, conosco questo tipo. La mia attenzione devia sulle parole che qualcuno ha scritto malamente con uno Sharpie nero: Sei tu la donna fortunata che sverginerà il nostro coinquilino? Lui: un uomo socialmente impedito con un pene di medie dimensioni che cerca una partner sessuale consenziente. Tu: basta che respiri. Riccambierrà con sesso orale. Messaggiatelo al: 555-254-5551 Porca puttana: Portatevi a letto Rett è quello dello scherzo Mordi e Fuggi. Prima che possa rileggerlo, Alexandra me lo sfila maleducatamente dalle mani con uno scatto del polso. Getta i capelli all’indietro. Fa un sorrisino compiaciuto. «Be’?» La domanda è pregna di quell’impazienza che solo lei si può permettere. «Tu te lo faresti?» No, non me lo farei. Arriccio le labbra. «Uh, cazzo, no.» «Sì! Vedi cosa intendo? Però non sarebbe divertente,» commenta, «se una di noi gli mandasse un messaggio e gli facesse credere che ce lo scoperemmo?» Punto il cucchiaio nella sua direzione, affermando l’ovvio: «Sai quanti messaggi ha ricevuto probabilmente? Un mucchio. A quest’ora avrà cambiato numero di telefono.» So che io lo farei se i miei amici mi facessero una stronzata simile. Una delle sue sopracciglia nere si inarca. «C’è solo un modo per scoprirlo.» «Alex, l’ultima cosa che voglio è un lottatore di wrestling incazzato che si masturba guardando i miei selfie.» Alex si raddrizza, è una vera cacciatrice di atleti e ha un debole per gli sportivi di ogni genere, carini o meno. «Come fai a sapere che è un lottatore di wrestling?» Faccio una scrollatina di spalle. «Credo di riconoscerlo. L’ho visto lo scorso fine settimana quando i suoi amici gli hanno fatto uno scherzo. Indossavano tutti felpe e roba del wrestling, ho solo fatto due più due.» Alex si sporge in avanti, intrigata. «Gli hanno fatto uno scherzo? Di che tipo?» «Mordi e fuggi.» «Cazzo.» Il suo nasino si alza. «Quanti ragazzi c’erano?» «Non lo so.» Faccio un conto a mente. «Quindici?» «Oh merda.» Resta in silenzio per qualche secondo. «Mi chiedo se sia nuovo di qui.» «Cosa te lo fa pensare?» «Mordi e fuggi, questi volantini… sembrano atti di nonnismo.» Annuisco lentamente. «Già, lo pensava anche Donovan.» «Dovresti davvero scrivergli. Dargli un benvenuto appropriato alla U dell’I.» Fa l’occhiolino. «Ehi, no. Alex, non ho intenzione di scrivergli.» Perché poi avrebbe il mio numero e Dio non voglia che mi risponda. «Perché no? Sarebbe divertente.» «So che lo sarebbe, ma l’ultima cosa che voglio è far avere il mio numero a qualche porco pervertito. E se diventasse ossessionato da me?» Getto i capelli all’indietro. «Dio, riesci a immaginartelo?» La mia mente vaga verso il ragazzo nel parcheggio, grosso e arrabbiato, che imprecava al cielo. Con quel cappuccio tirato sulla testa era la perfetta reclame della psicosi. No, grazie, passo. «Chiediamo alla Magica Palla Otto.» Mia cugina ridacchia. «Non puoi dire di no.» Faccio fatica a non alzare gli occhi al cielo, ma ci riesco. «Ti prego, non dirmi che ti porti dietro quella stupida cosa nello zaino.» «Cavolo, sì, ce l’ho in borsa.» Strizza di nuovo l’occhio. «Per momenti come questo.» Va bene, allora... Quando eravamo in terza media, Alex ha avuto una Magica Palla Otto per il compleanno, e da allora la usa per prendere quasi tutte le decisioni importanti della sua vita. Dovrei uscire con Spencer Doyle? Tutti i segni indicano di sì. Dovrei andare all’Università del Wisconsin? Non ci contare. Dovrei andare a fare bungee jumping con sei sconosciuti qualsiasi che ho conosciuto nelle vacanze di primavera? Le prospettive sono buone. Quella dannata palla ci ha messe nei guai più volte di quante riesca a contarne. Quando avevamo diciassette anni, ci ha fatte intrufolare in una discoteca per minorenni, senza pagare, e siamo state scoperte. Ci ha fatto prendere in prestito la Buick di nostra nonna per fare un giro senza il suo permesso prima che prendessimo la patente. Ci ha fatto fare il bagno nude con quel fallito di Tommy Martin dopo una festa in campagna al liceo e siamo state scoperte dal proprietario del terreno. Tutti i segni indicavano di sì. Tutte le idee mi hanno fatta finire in punizione. «Alex, smetti di usare la Magica Palla Otto per prendere le decisioni importanti al posto tuo.» Nostro. «Non sei più una bambina.» Ora siamo giovani adulte. «Ma è divertente.» Mi ignora, scavando a fondo nel suo zaino e rovistandoci dentro. Ne estrae la sfera nera che è diventata una costante della sua vita. Alzo gli occhi al cielo quando inizia ad accarezzarla come una zingara con la sua palla di cristallo. «Magica Palla Otto, Laurel dovrebbe mandare un messaggio a questo Rett che ha così tanto bisogno di fare sesso?» Rovescia la palla, aspettando con pazienza che il triangolo all’interno si fermi, a galleggiare nell’acqua blu o in qualunque cosa mettano in quello stupido affare. Galleggia oscillando da un lato all’altro, e infine si ferma a faccia in su. Mi sporgo, curiosa di conoscere il mio destino. «Vediamo.» «Sì.» Alex sorride a trentadue denti e mi piazza la finestrella in faccia. «Sarà meglio che tu prenda il telefono, perdente.» «Ugh» mugugno, rassegnata al mio destino. «Va bene.» Prendo il volantino per la seconda volta e passo il dito lungo le parole. Mi concentro sul numero di dieci cifre in calce. Lo inserisco nel mio telefono. Alzo lo sguardo. «Solo perché tu lo sappia, non andrò a letto con uno sconosciuto.» Mia cugina ride. «Sei improvvisamente diventata una vergine rinata?» «Alex, ho degli standard, e questo tipo…» Gli rivolgo un’occhiata veloce mentre finisco di digitare il suo numero. La foto, molto probabilmente presa dal sito della squadra di wrestling, lo mostra seduto rigido col naso all’aria. Capelli spettinati. Occhi semichiusi. Collo robusto. Non il mio tipo. Neanche ci si avvicina. «Questo tipo è talmente al di sotto dei miei standard da non essere neanche divertente.» Mi getto la coda di cavallo dietro una spalla. «E poi, ho smesso di fare sesso occasionale.» Alex ride. «Mi stai giudicando perché ho mandato Dylan fuori da casa sua a prendere delle pepite di pollo per poter fare sesso col suo coinquilino, Johnathan?» «Non mi dire.» Inarco le sopracciglia. «L’hai fatto?» «Duh. Erano secoli che cercavo di rimorchiare Johnathan. Lo sai.» Se alza gli occhi un’altra volta le resteranno bloccati all’indietro. «Alla fine ha ceduto al potere delle pepite di pollo.» «Perché non rompi con Dylan e basta?» Sembrerebbe la soluzione più semplice. «Perché Johnathan non è ancora pronto per una relazione.» «Allora perché perdi tempo a cercare di rimorchiarlo?» «Perché, Laurel,» ride con sdegno, «Johnathan è il presidente della sua confraternita e i suoi genitori hanno i soldi che gli escono dalle orecchie.» Se non si fosse ancora capito, Alexandra frequenta il college per la sua laurea da signora e non per l’istruzione: il suo unico scopo nella vita è diventare una moglie trofeo e apparire in Real Housewives. Davvero. «Comunque,» continua imperterrita, «siamo andate completamente fuori argomento. Dovresti star scrivendo un messaggio a questo fallito di Rett. Lo dice la Magica Palla Otto.» «D’accordo, d’accordo, d’accordo… ma se inizia a stalkerarmi o si innamora di me o non mi lascia più in pace o qualunque altra cosa, darò la colpa a te.» «Sei così piena di te» mi prende in giro lei. «Anche tu» le rimpallo, scrivendo velocemente un messaggio a questo lottatore di wrestling sconosciuto. Ehi Rett, è vero che hai bisogno di fare sesso? Premo invia. Non passano neanche trenta secondi prima di ricevere una risposta. Rett: Vaffanculo. Saltello un po’ sulla sedia, sorpresa. Ehi. Deve fare lo stronzo sulla difensiva fin dalla prima battuta? Gesù, fottiti. Io: Non c’è bisogno di essere volgare. Lo dico sapendo che è stato tormentato dai suoi compagni di squadra. Mi domando che altro gli abbiano fatto nelle ultime settimane di cui non posso sapere nulla, mi chiedo quante ragazze possano averlo messaggiato da quando sono stati appesi i volantini. Dopo tre minuti di attesa, Rett deve ancora offrirmi una risposta. Irritata dal fatto che mi stia ignorando, gli mando un altro messaggio. Io: Quanti messaggi ti sono arrivati nelle ultime 24 ore? Rett: Non ti ho appena detto di andare a fanculo? Io: È così difficile rispondere a una semplice domanda? Rett: Chi cazzo sei? Io: Ti preeeeego, come se avessi intenzione di dirti il mio nome. Sì. Lo scrivo proprio così. Rett: Allora fammi un favore e dimenticati questo numero. Io: Non ti è venuto in mente che potrei aver sentito un legame con te quando ho visto la tua foto su quel foglio di carta verde? Rett: Bel sarcasmo, troia. Ehi. Qualcuno non è felice. Io: Come fai a sapere che sono una donna? Rett: Non lo so, ma in ogni caso sei un gran coglione. Va bene così? Contento? Io: Chiamarmi troia non era necessario. Rett: Neanche scrivermi lo era. Fatti una cazzo di vita. Io: Strano, è quello che ho detto di te. Rett: Oh, mi serve una vita? Io: Se ne avessi una, non attaccheresti volantini in tutto il campus implorando attenzione. Lo sto dicendo per ottenere una reazione da lui, sapendo che niente di tutto ciò è vero. Un fastidioso fremito mi prende al ventre, un fremito che somiglia tanto al senso di colpa, e si fa strada fin dentro il mio subconscio. So qualcosa di questo tipo che mia cugina non sa: viene bullizzato dai suoi amici e quasi certamente non ha appeso lui questi orribili volantini. Ma comunque. Non è mica necessario che faccia l’idiota. Se sapesse che aspetto ho, il suo tono sarebbe del tutto diverso, ne sono sicura. Mi bacerebbe il culo. Getto all’indietro con arroganza la mia coda di cavallo rossa. Quando non risponde alla mia esca, sbuffo, sentendo la faccia che mi si riscalda, e sono convinta che stia diventando di una tonalità di rosa che non mi dona. «Perché sembri così seccata?» Alex alza lo sguardo dal suo telefono quando sospiro. «Hai la faccia rossa come un peperone.» «Perché questo ragazzo si comporta da testa di cazzo.» «Stronzo.» Lei annuisce consapevole. «Figurarsi.» Smetti di ignorarmi, scrivo. Come fai a sapere che non ti ho scritto perché mi dispiaceva che ci fosse la tua faccia in giro per tutto il campus? Il suo commento successivo è caustico. Rett: Ho detto vaffanculo. Merda. E se pensasse che lo sto insultando per il suo aspetto? Insomma, sono una bella stronza alle volte, ma non sto cercando di essere cattiva di proposito. Io: Non intendeva essere un insulto. Rett: Chissenefrega. Chiunque tu sia, vai a farti un cazzo di giro. Io: Magari stanno iniziando a piacermi i ragazzi che fanno i difficili. Rett: Gesù Cristo, ma vuoi capire o no? Io: Vedi, è questo il punto. Se davvero volessi che la finissi, avresti smesso di rispondere ormai, o avresti bloccato il mio numero. So di aver ragione su una cosa: è abbastanza interessato da continuare a scrivermi. Passano parecchi lunghi secondi e ancora non mi ha risposto. Mia cugina mi guarda intensamente dall’altro lato del tavolo della caffetteria, braccia incrociate, espressione serena, Magica Palla Otto al centro del tavolo come se fosse una chiromante. Svitata. Impaziente, scrivo: Ehi, Rett, che genere di messaggi ti sono arrivati? Rett: Usa l’immaginazione. Io: Spinti? Rett: Sì. Io: TANTI messaggi spinti? Davvero, perché cazzo sto flirtando con questo tipo? Rett: Sì. Ovviamente. Io: Di che genere, fammi un esempio. Rett: No. Io: Oh, andiamo, non fare il guastafeste. Rett: Accetti mai un no come risposta? Io: Raramente. Rett: Sei davvero seccante. Io: Forse, ma davvero sono al livello delle altre ragazze che ti stanno scrivendo adesso? Rett: In effetti sì. Io: COSA?! Bugiardo, non lo sono! Rett: Sì, lo sei davvero. Ci sono dieci cazzo di ragazze che mi stanno scrivendo nello stesso momento, proprio ora, e non riesco a liberarmi di nessuna di voi. Io: Hai mai sentito parlare di quella cosetta chiamata bloccare qualcuno? Rett: Anche saccente, vedo. Io: Un po’, e sono colpita dal fatto che tu abbia usato le parole corrette e metta le virgole al posto giusto… Io: Ma sul serio, dovresti bloccare queste persone. L’hai fatto? Rett: No. Io: Be’, dovresti… l’ultima cosa di cui hai bisogno è un mucchio di cacciatrici di atleti che ti scrivono. Rett: Come sai che sono un atleta? Io: Non lo so, dicevo per dire, in caso lo fossi. Rett: Se bloccassi la gente saresti la prima ad andare. Sei davvero seccante. Io: Questo l’hai già detto. E poi, in che modo sarei seccante?! Rett: Mi stai baciando in questo momento? Io: LOL baciando. Che idea buffa, Rett. Rett: Cazzo. Sai cosa intendevo… sei seccante. Continui a fare domande stupide e non mi lasci in pace. Per la cronaca, il mio nome si scrive RHETT. Con l’H. Io: Allora perché c’è scritto RETT sui poster? Non so perché mi importi avercelo corretto, ma aggiungo la H al suo nome nel telefono. Rhett: I miei coinquilini sono dei cazzo di idioti, ecco perché. Io: Ha senso. Sono stati loro ad attaccare i volantini verdi? Rhett: Ovviamente. Pensi davvero che avrei fatto una stronzata del genere da solo? Io: Forse. Alcuni ragazzi farebbero qualunque cosa per il sesso. Rhett: Be’, non io. Non lo farei mai. Sono in un periodo in cui vado in bianco, ma non sono disperato. Io: Ahh, allora HAI bisogno di sesso… Rhett: Stai davvero passando il segno, te ne rendi conto? Io: Sì, ma sono protetta da una cappa di anonimato. Rhett: Come ti chiami? Io: Non posso dirtelo… cappa di anonimato, ricordi? Rhett: Va bene, gioca pure. È stato bello conoscerti. Mi mordo il labbro inferiore e guardo Alexandra con la coda dell’occhio. «Che sta succedendo adesso? Dimmelo» mi sollecita. «Sembra che tu abbia ingoiato un uccello sporco e puzzolente.» «Vuole sapere il mio nome.» «E allora? Qual è il problema?» «Hai mai sentito dire che gli sconosciuti possono essere pericolosi?» Alex alza le spalle minute. «Inventatene uno.» «Buona idea. Non ci avevo pensato.» «Non hai mai dato un nome falso a un ragazzo? Cazzo, io lo faccio quasi ogni fine settimana.» Mi chiamo… Faccio una pausa, sentendomi un tantino in colpa. Questo ragazzo è stato trattato davvero di merda dai suoi amici, e ora sono sul punto di mentirgli… di nuovo. «Perché stai esitando?» mi chiede Alex. «Buttalo lì. Dagli un nome.» Ghignando, digito A-l-e-x, premo invio. Io: Mi chiamo Alex. Rhett: Bene, Alex, c’était amusant, ma ho da fare Mi raddrizzo sulla sedia. Che cazzo era quello? Francese? Io: Che significa??? Cetait amusant o quel che è. Rhett: Googlalo. Me ne sto seduta lì a fissare le parole scritte in francese, e rabbrividisco un po’. Premo il dito sulla frase per evidenziarla, la copio e la incollo in una ricerca di traduzioni, premo invio: Bene, Alex, è stato divertente, ma ho da fare. Fisso la frase. Francese. Il tipo parla francese. Rhett Comecavolofadicognome parla francese. È… Davvero piuttosto sexy, se devo essere onesta. Mi agito sulla sedia, trattenendo il sorriso causato da questa nuova affascinante informazione. «Perché stai sorridendo? Cosa dice adesso?» Alzo la testa per incrociare lo sguardo curioso e calcolatore di Alex. «Mi ha detto di andare a fanculo e lasciarlo in pace.» «Cielo, che testa di cazzo.» «Già.» Ma le mie rotelle stanno girando, adesso. A una velocità allarmante.
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