«Tre, in realtà. Uno via terra, uno via mare e uno via aria. Un trasporto di emergenza è in standby se dovesse averne bisogno. Non appena incontrerà la risorsa – voglio dire, Leo – riceverà un tablet sicuro con tutte le informazioni di cui avrà bisogno per svolgere i suoi compiti. Se qualcuno dovesse sospettare il suo coinvolgimento, il che è improbabile visto che il suo nome non è in alcun modo collegato con questa operazione, l’FBI ha opportunamente semplificato le nostre vite fornendo appropriate tracce digitali e cartacee che mostrano che lei non ha mai lasciato l’Inghilterra ed è lì in vacanza. Non si preoccupi, il resto di quel caso è rimasto sigillato.»
Per quanto ne sapeva il mondo, King era ancora all’estero. Su sua insistenza, gli unici a conoscenza del suo rientro erano Ace, Red, Lucky, Jack e Joker. Ma quello era tutto ciò che sapevano riguardo alla faccenda. Meno ne erano a parte, più risultavano al sicuro. King non si illudeva che tutta quella storia non potesse andare storta da un momento all’altro, considerando le parti coinvolte. Le misure di sicurezza prese con Leo gli fornivano tutte le prove di cui aveva bisogno per capire quanto quel progetto fosse importante per il loro governo.
La porta si aprì e loro entrarono in quello che sembrava un centro di comando, sebbene segreto, collocato in un enorme bunker sotterraneo. Prima che King avesse la possibilità di osservare ciò che lo circondava, si bloccarono per non essere investiti da una mezza dozzina di soldati che li superarono di corsa.
«Ma che diavolo? Cristo, rimanga qui. Torno subito.» Bowers scappò via, e King restò dov’era. Incrociò le braccia sul petto e premette le labbra insieme per osservare ciò che poteva essere descritto solo come un disastro di proporzioni epiche. Il personale militare, sia in uniforme che in borghese, si precipitava da un posto all’altro, alcuni al cellulare, altri alla radio. Un piccolo gruppo di quelli che erano chiaramente degli analisti se ne stava in piedi a discutere. Non era proprio il tipo di situazione nella quale aveva sperato di andare a finire.
Un soldato corse nella sua direzione, e King lo afferrò prima che potesse schizzare via.
«Che sta succedendo?»
Il soldato lo squadrò, e King sollevò il suo ID attaccato al laccetto che portava appeso al collo. «Ward Kingston. Sono stato chiamato dal Generale de Loughrey. Potrebbe condurmi dalla risorsa?»
«Temo di non poterlo fare al momento, signore.»
King imprecò sottovoce. «Mi faccia indovinare. Leo è andato a farsi un altro giro.»
Il soldato annuì prima di scusarsi e andarsene.
Ogni incarico relativo alla sicurezza aveva delle sfide uniche, ma poteva affermare con assoluta certezza che nessuno dei suoi compiti precedenti era mai ruotato attorno a qualcuno che giocava a fare Houdini, sparendo varie volte al giorno. Leo doveva conoscere il pericolo in cui si trovava, quindi perché correre un tale rischio? Per chiunque, quel tipo di ambiente sarebbe stato spaventoso e piuttosto terrificante, ma Leo era il figlio di un generale e King ricordava che l’uomo aveva fatto cenno parecchie volte al fatto che suo figlio aveva vissuto con lui.
Dopo la perdita della moglie, sarebbe stato semplice per il Generale de Loughrey lasciare il figlio e la figlia con qualcuno mentre lui era lontano a fare il proprio dovere per il suo Paese, eppure l’uomo li aveva tenuti al proprio fianco ogni volta che gli era stato possibile. Se non potevano stare nella stessa stanza del padre, erano comunque da qualche parte all’interno dell’edificio o nascosti al sicuro nelle vicinanze. Come il Generale ci riuscisse, data la sua posizione, andava oltre la comprensione di King, ma lo aveva fatto, smuovendo mari e monti per prendersi cura dei suoi figli in lutto. Fin dall’inizio, però, gli era stato chiaro che il Generale fosse molto più protettivo nei confronti nei confronti del figlio che della figlia, non perché volesse bene più a uno rispetto che all’altra, ma perché, secondo quanto diceva l’uomo, Leo era diverso.
Dalle loro conversazioni amichevoli di qualche anno prima, King aveva appreso che Leo era un ragazzo dal cuore tenero, e la sua grande intelligenza lo rendeva vulnerabile. Aveva difficoltà a socializzare e a comunicare con gli altri, e anche se riusciva a fare cose a un livello che la maggior parte degli adulti non avrebbe neanche potuto capire, aveva problemi con compiti minori e banali, cosa che lo aveva portato a studiare a casa sotto la guida degli insegnanti privati più bravi, in modo che potesse apprendere con il proprio ritmo. E soprattutto, per tenerlo al sicuro. La cosa che King ricordava più di tutte era l’amore e l’orgoglio che fuoriuscivano dal Generale quando parlava dei suoi figli. Non vedeva l’ora di interagire con quel misterioso e accattivante giovane uomo. Ma prima, avrebbero dovuto trovarlo.
«Ehi.»
Girandosi, King guardò il suo nuovo ospite con un cipiglio. Da dove era arrivato? «Ehi.»
«Un cracker Goldfish a forma di pesce rosso?»
King fissò il tizio e il piccolo pacchetto di… aveva detto cracker Goldfish a forma di pesce rosso?
«Non sono stantii, il che suppongo sia il massimo che si possa sperare visto quanto spesso riforniscono il distributore automatico. Non ci sono molte persone a cui piacciono i cracker Goldfish ma, ehi, ne restano di più per me, quindi non posso lamentarmi.» Lo sconosciuto scosse il pacchetto nella sua direzione. «Un cracker Goldfish?»
King scosse la testa, le sopracciglia aggrottate mentre cercava di capire con cosa avesse a che fare. Quello poteva essere Leo? In quel caso Bowers sarebbe di certo già tornato e il caos attorno a loro sarebbe terminato. A giudicare dall’aspetto del giovane uomo che aveva davanti, King suppose che fosse uno degli analisti. Era carino, alto circa un metro e ottanta, con disordinati capelli marroni che spuntavano da sotto il berretto blu sulla sua testa. Aveva grandi occhi marroni, ciglia lunghe, sopracciglia spesse, la bocca ampia e rosa. Il piccolo neo alla destra delle sue labbra attirò l’attenzione di King. Aveva venticinque anni al massimo, indossava degli occhiali alla moda dalla montatura nera, jeans grigi attillati, Chucks nere e una T-shirt gialla sotto a un cardigan blu scuro, con i soli due bottoni centrali allacciati. Era snello, con un corpo muscoloso. Stranamente, quel tipo non aveva addosso nessun tipo di ID.
«Ti va un cracker Goldfish?»
«Scusa, cosa?»
L’analista sembrava incredibilmente tranquillo, considerando tutto il caos che lo circondava. «Cracker Goldfish.»
«No. Grazie.»
Il tizio fece spallucce. Si tirò un cracker in bocca e con quel gesto attirò l’attenzione di King sulle sue labbra rosa.
«Fammi indovinare. Sei un SEAL?»
Quella parola gli fece distogliere di colpo l’attenzione da quelle labbra carnose per portarla sui suoi begli occhi. Lo sguardo con cui il giovane uomo lo stava valutando gli fece raddrizzare le spalle. Che diavolo stava succedendo? Chi era quel tipo? Quello non era né il momento né il posto per farsi distrarre da un bel faccino. Senza contare che lui non si faceva mai distrarre da un bel faccino. Non era una cosa da lui. King aprì la bocca per rispondere, ma l’altro sollevò una mano per fermarlo.
«No. Non dirmelo.» Schioccò le dita. «Berretto Verde. Forze Speciali, ho ragione?»
Interessante. D’altra parte King immaginava che gli analisti passassero un sacco di tempo attorno ai soldati e al personale dell’esercito. «Lo ero. Sì.»
«Lo sapevo. Emani quella vibrazione da Berretto Verde.» Agitò le dita verso King e la sua persona in generale.
Lui inarcò un sopracciglio. «Vibrazione da Berretto Verde?»
«Già. Inoltre, si capisce dal tuo scopo.»
«Scusa?» Anche gli altri analisti erano così… singolari?
Il sorriso del tizio era ampio e dolce. «Il tuo scopo. Tu hai uno scopo. Non stai per spostarti, quindi chiunque ti si avvicina lo percepisce e ti gira intorno. Chiunque intralci quello scopo deve biasimare solo se stesso quando finirà a terra. È meraviglioso. A me non succederebbe mai. La maggior parte delle persone neanche mi nota. Potrei stare in piedi accanto a loro, e non se ne accorgerebbero.»
King lo dubitava. «Scusa, chi sei?»
L’analista aprì la bocca per parlare, ma King si mosse di colpo, gettandogli un braccio attorno e indietreggiando di due passi assieme a lui proprio nel momento in cui un soldato barcollò in avanti, andò a sbattere contro il pavimento e scivolò parecchi metri dietro a loro.
«Sembra doloroso,» borbottò l’analista, anche se sarebbe stato più doloroso se il soldato gli fosse inciampato addosso e lo avesse portato a terra con sé. In ogni caso sorrise raggiante a King. «Vedi? Berretto Verde.» Agitò di nuovo il pacchetto verso di lui. «Sicuro che non vuoi un cracker Goldfish?»
«Sono sicuro.» Il cipiglio di King si accentuò. Il sorriso di quel tipo era luminoso, aperto e amichevole. «Perché non mi dici come ti chiami?»
«Non ho mai detto che non l’avrei fatto. Qual è il tuo nome?»
«Ward Kingston, ma tutti mi chiamano King.»
Il tipo piegò la testa di lato. «Perché King?»
«È una lunga storia.» Una in cui di certo non si sarebbe addentrato con uno sconosciuto, e non lì, tra tutti i posti. Però rimase sorpreso di scoprire che voleva saperne di più del suo strano interlocutore.
«Scommetto che è avvincente.»
«Perché continui a distrarmi dal sapere il tuo nome?» Tutta quella situazione era bizzarra. Perché ancora non sapeva il nome di quel tipo, il suo ruolo e il livello di autorizzazione? Non avrebbe dovuto essere troppo duro con se stesso; si trovava in un luogo sicuro e non era ancora ufficialmente in servizio, dato che la persona con cui avrebbe dovuto lavorare era scomparsa. Normalmente si sarebbe unito alle ricerche non appena venuto a conoscenza della sparizione di Leo, ma non aveva idea di che aspetto avesse l’altro. Il Generale – e King era certo c’entrassero anche varie agenzie di Intelligence americane – aveva fatto un lavoro straordinario nel cancellare qualsiasi traccia del figlio da internet. Erano rimasti dettagli sufficienti per non destare sospetti, ma non c’erano foto di Leo, nessuna descrizione. A causa della natura riservata dell’operazione e del coinvolgimento di Leo, a King erano state fornite pochissime informazioni su di lui. Le avrebbe ricevute dopo averlo conosciuto.
«Ti sto distraendo?»
Le parole stupefatte del tizio lo distolsero dai suoi pensieri. Perché suonava tanto sorpreso?
Come se gli avesse letto nel pensiero, l’analista si spiegò. «Non ho mai distratto nessuno, prima. Come ho detto, la maggior parte delle persone neanche si rende conto della mia presenza, meno che mai si ritrova distratta da me.» Il suo ampio sorriso gli illuminò la faccia, e King risucchiò un respiro brusco. Qualsiasi cosa stesse succedendo doveva finire. Subito. Stava per pretendere di avere delle risposte quando comparve Bowers. Si diresse verso di loro con passo pesante e uno scopo ben preciso nello sguardo, gli occhi puntati sull’analista, il cipiglio torvo e omicida. King non aveva idea di cosa esattamente stesse per fare l’agente, ma non avrebbe permesso che succedesse. Si frappose istintivamente tra Bowers e il giovane uomo, ignorando le dita dell’altro che si piegavano attorno al suo braccio o il calore rovente del suo tocco.
«Leo!»
«Merda,» borbottò il tizio alle spalle di King.
«Merda,» ripeté lui, lanciando uno sguardo da sopra la spalla a Leo, che adesso esibiva un sorriso imbarazzato. «Leopold de Loughrey?»
Leo si tormentò il labbro inferiore tra i denti e salutò con la mano. «Ciao.»
Vaffanculo. Ovviamente era Leo. Avrebbe dovuto saperlo.
«Per l’amore del cielo, Leo! Quante volte dobbiamo fare questa cosa?» ringhiò Bowers, cercando di aggirare King per arrivare all’altro, ma lui si tenne tra i due.
Doveva fare in modo che la situazione non degenerasse, e doveva farlo rapidamente, così sollevò le mani in segno di pace, nella speranza di calmare Bowers. «Va tutto bene. Lui sta bene. Faccia un bel respiro.»
Bowers dilatò le narici, ma si controllò e inspirò a fondo come gli aveva suggerito lui. Quando parlò a Leo, la rabbia era ancora lì, ma sotto controllo.
Leggermente.
«Dove diavolo eri?»
Leo sollevò il pacchetto di cracker Goldfish, e gli occhi di Bowers per poco non uscirono dalle orbite.