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Come febbre

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Blurb

Durante un attacco non riuscito alla fortezza dell’Imperatore Bianco, Selina, combattente della casta delle guerriere, viene sbalzata a chilometri di distanza da una magia dei suoi stessi alleati. Con lei, l’imperatore stesso. Dispersi in un territorio freddo e ostile, infestato da molti pericoli, si rendono conto che sopravvivere potrebbe rivelarsi difficile, se non impossibile. Con la morte che incombe, cercano conforto l’uno nelle braccia dell’altra, pensando di non superare la nottata. Le conseguenze di quella notte diventano evidenti nove mesi più tardi, quando ognuno è tornato alla sua vita. L’imperatore scoprirà che suo figlio, il suo erede, è nato tra i suoi nemici e che la donna con cui ha affrontato la morte è ormai, e di nuovo, a sua volta una nemica. Sa di non poterle dimostrare alcuna pietà, né lei potrà perdonarlo per le sue azioni, ma la particolare febbre sensuale che c’è tra loro non si è mai sopita...

-

"Johan la scosse con la punta di uno stivale. «Non ti addormentare così. Morirai».

«Ho freddo» rispose Selina, con voce debole.

L’altro si stiracchiò. «Sì, anch’io». Si allungò davanti a lei e la tirò verso di sé. Intrecciò le gambe alle sue, mentre Selina gli si accoccolava sul petto.

Per qualche minuto non cambiò nulla, poi iniziò a sentire un vago tepore. Il panciotto di raso di lui iniziò a essere tiepido, come i suoi pantaloni.

«Sei fredda come una rana» disse Johan. Sbuffò e armeggiò con la propria cintura. «Così non basta. Stai ferma. O, anzi, meglio: divincolati».

Selina ci mise mezzo secondo a capire che cosa stesse succedendo, non di più. In quel mezzo secondo l’altro le salì sopra e le allargò le cosce con i fianchi.

«Non ci provare» ringhiò lei."

CONTIENE SCENE ESPLICITE - CONSIGLIATO A UN PUBBLICO ADULTO

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1.
1. Nella cella di nuda pietra Selina viveva in un tempo sospeso in cui il presente era annullato. Pensare al futuro era futile e faceva paura, pensare al passato non aiutava. Ma era al passato che ritornavano i suoi pensieri, per quanto inutile fosse. Ricordava la mattina in cui l’eco di un incanto di dimensioni ciclopiche aveva scosso le fondamenta stesse della Rocca di Mart Olden, nella capitale dell’Alleanza. Selene era saltata giù dal letto, si era coperta con una veste da camera e si era affrettata verso la sala del Concilio così com’era, scalza. «Che cos’è stato?» aveva gridato alle guardie alla porta. «Che cosa è successo? Fatemi entrare!». Era uscito Lord Eren, invece, con la lunga barba grigia sul panciotto ricamato. «Selina, che cosa ci fai qua?». Lei gli aveva rivolto uno sguardo ironico. «Forse pensavate che mi sfuggisse il boato magico di pochi minuti fa?». Eren aveva assunto un’espressione cauta. «No, certo. Ti convocheremo nel primo pomeriggio, non temere». Selina era stata costretta ad andarsene. Quei vecchi caproni non l’avrebbero fatta entrare... e per di più si stava congelando i piedi. Era tornata nelle sue stanze e aveva mandato via il suo amante, che era ancora steso a pancia in su sul letto con la bocca semi-aperta. Si era lavata, profumata, pettinata. Aveva indossato i suoi abiti migliori della casta delle guerriere di cui faceva parte: pantaloni di pelle sottile come la pellicina di un uovo e altrettanto morbida, alti stivali dalla punta e dal tacco rinforzato, camicia coperta dalla cotta leggera, le cui maglie di ferro erano il prodotto dell’arte della forgia più raffinata. Si era intrecciata i lunghi capelli neri in una pesante treccia e si era guardata nell’alto specchio ovale. A Mart Olden l’aspetto era importante, l’aveva imparato poco dopo essere arrivata. A volte l’aspetto era più importante della sostanza. Il Concilio era composto di uomini e donne anziane. I primi amavano confrontarsi con una guerriera ben tornita, le seconde con una donna sufficientemente forte. Selina cercava di dar loro tutto il necessario per essere presa sul serio. Era stata convocata nel pomeriggio come le aveva anticipato Eren. Non era una seduta del Concilio, solo una riunione. La grande sala dalle pareti di scisto era illuminata come sempre da lucerne giallastre, le finestre erano schermate da tende di velluto cremisi, il tavolo era di legno lucido e scuro, intarsiato. Ma le sedie dagli alti schienali e dai braccioli dorati non erano disposte rigidamente lungo il bordo del tavolo, bensì sparpagliate per la sala, con i consiglieri seduti informalmente su questa o su quella. «Ah, Selina» disse Lady Prior, la decana. «Grazie per essere venuta. Senza dubbio avrai notato... l’intensa attività magica, questa mattina». «Per usare un eufemismo. È un miracolo se non è crollato un torrione» ribatté lei. Sul volto rugoso dell’altra comparve un sorrisino soddisfatto. «I maghi, quegli inutili cialtroni, sono finalmente riusciti a fare qualcosa di sensato. Hanno portato qua Renana O’Dell del Corno, che era tenuta prigioniera in una fortezza del nord». Si voltò e rivolse un lieve inchino, solo con la testa, a Gardner d’Atten. «Grazie anche all’ottimo lavoro svolto dai servizi segreti del signor d’Atten» aggiunse. Era soddisfatta come un gatto al sole e Selina doveva ammettere che, se quanto diceva era vero, ne aveva ogni motivo. «Renana O’Dell la prima moglie di Johan Augustus?» chiese. Il sorrisino dell’altra si allargò. «Esatto. Abbiamo messo le mani sulla prima moglie dell’Imperatore Bianco... e sembra che lei sia ansiosa di parlare con noi». +++ Nella stanza furono fatti entrare solo tre membri del Concilio, oltre a Selina, Mallus Kova e Gardner d’Atten. Scegliere quali tre membri del Concilio potessero assistere probabilmente aveva occupato tutta la seduta mattutina del Concilio stesso. La presenza di Kova e d’Atten era scontata, ma quella di Selina era un po’ insolita. Kova era il capo di stato maggiore dell’Alleanza, d’Atten il capo dei servizi segreti... data l’importanza della loro “preda” era normale che fossero lì per interrogarla. Selina comandava una specie di forza d’élite, la casta delle guerriere, a cui venivano affidate missioni particolari o strategiche. Questo non la rendeva automaticamente partecipe dei segreti del Concilio, anzi... Eppure era lì anche lei, in quella stanza piccola ed elegante, senza finestre, ad ascoltare quella donna dal viso bello e un po’ sciupato: Renana O’Dell, la prima moglie dell’Imperatore Bianco. «Lady Renana, ci scusiamo per l’attesa» esordì Lady Prior. «Vogliamo evitarvi troppe ripetizioni...» un piccolo sorriso indulgente «...anche se temo che alla fine saranno comunque necessarie. Ci è stato detto che siete... ansiosa di parlare con noi, in cambio della vostra, ehm, liberazione». Renana spostò gli occhi chiari dalla decana al resto dei presenti, per poi riportarli su di lei. «Parlerei con chiunque, se aiutasse a fermare Johan. È un mostro». L’aveva detto in tono quasi educato, ma Selina vide la furia e il rancore che bruciavano in fondo allo sguardo pallido di lei. La sua bocca aveva una piega dura, accentuata dalle due rughe precoci che le scorrevano accanto a essa. «Dal nostro punto di vista lo è senz’altro» concordò Lady Prior, lisciandosi una piega sul vestito di broccato. Era seduta su una delle poltrone in una posa che voleva essere informale e che strideva con la posizione rigida e contegnosa di Renana. In quanto al punto di vista, era anche quello di Selina, dato che apparteneva all’Alleanza, ma era in grado di capire che se fosse nata nell’Impero del Nord avrebbe probabilmente considerato l’imperatore un eroe. Sotto la guida di Johan Augustus Tertiano, quinto del nome, l’impero si era espanso fuori dai propri confini ormai asfittici, confini entro i quali stava languendo. Fino a un certo punto gli stati dell’Alleanza avevano capito le sue necessità: sul ghiaccio non cresce grano. Ma era stato presto chiaro che Johan non aveva alcuna intenzione di fermarsi agli stati confinanti. La sua avanzata era stata come una febbre, una febbre sanguinosa che aveva incendiato tutto il settentrione, fino a minacciare direttamente l’Alleanza. A quel punto era iniziata la guerra vera e propria, ancora in corso. «Non mi riferisco alle sue sventate azioni politiche» disse Renana, tuttavia. «Johan è un mostro come uomo». Probabilmente qualcuno che Selina aveva di spalle si permise un’espressione scettica, perché Renana aggiunse: «Non mi riferisco neppure al suo aspetto, è evidente. Immagino che conosciate la mia storia, ma sono convinta che ne ignoriate alcuni risvolti». «Prego» disse Lady Prior, lanciando una generica occhiataccia alle proprie spalle. «Mio padre era Kantel Terzo, re di Lesia. Fu una delle prime annessioni dell’Impero Bianco e avvenne in modo quasi indolore. Quasi. Johan trucidò comunque l’intera guardigione di Schlon, dopo che si era arresa». Selina notò che l’ex-imperatrice aveva assunto un tono incolore, come a distanziarsi da quanto raccontava. «Chiese la mia mano per interposta persona, mentre il suo esercito proseguiva già verso sud. Mio padre accettò. Non aveva altra scelta. Per sei mesi non ne seppi più nulla. Avevo vent’anni, Johan appena diciannove, ma era già un mostro come ora. Tornò dalla campagna che aveva reso l’impero quattro volte più grande delle sue dimensioni iniziali e mi sposò. Dovete capire che, all’epoca, la gente della Lesia non ne aveva un’idea troppo negativa. Immagino che a molti non dispiacesse pensare di avere la figlia del re accanto al trono imperiale. Come se non fossimo in mano nemica, ma ci fosse stato un accordo di qualche tipo. Sposarsi con me, naturalmente, legittimava Johan. Se la figlia del re accettava di legarsi a lui voleva dire che per la Lesia l’annessione era, in fondo... una buona cosa?». Renana fece una piccola pausa, aggrottando appena le sopracciglia bionde. «Johan tornò, si tenne il matrimonio e tutto sembrava sistemato. Tre mesi dopo uccise mio padre». Selina ne serbava un vago ricordo. Erano cose accadute più di quindici anni prima, quando lei era ancora una ragazzina in cui era stato scoperto il Dono che si addestrava per diventare una guerriera. «Con me non fece parola della cosa. D’altronde non si può dire che parlassimo. Né che ci vedessimo, tranne in alcuni momenti. Non provò nemmeno a giustificare l’ennesimo assassinio a sangue freddo di un regnante che gli si era arreso... che gli aveva addirittura concesso sua figlia. Non disse niente». Renana sollevò una mano e per un attimo sembrò che si sarebbe asciugata gli occhi, ma alla fine si astenne, dato che non c’erano lacrime. Selina pensò che dovesse essere abituata a ricacciare indietro il pianto quasi al punto di essere una professionista. «Ebbi la prima figlia due anni più tardi... Eria. La secondogenita sei anni dopo. Non pensiate che questo lungo iato sia dipeso da me. Se mi fossi opposta Johan mi avrebbe semplicemente ammazzata, persino allora me ne rendevo conto. Come ho già detto più volte, è un mostro». Prese fiato, per poi ricominciare. «No, era lui a non essere interessato. È sempre stato... perverso. Le sue abitudini personali dimostrano senza ombra di dubbio che non ha alcun timore degli dèi, per non parlare di rispetto. Ha avuto decine di amanti, ovviamente... io non ero neppure una di esse. Dopo la nascita della seconda bambina, tuttavia, iniziò a irritarsi. Voleva un erede maschio, vedete. Pochi mesi dopo la nascita di Lera restai nuovamente incinta, ma questa volta la gravidanza non andò a buon fine». Scosse appena la testa, un’espressione quasi tenera nello sguardo. «Era un’altra bambina, oltretutto. Quasi morii, in quell’occasione. Quando mi ripresi Johan mi comunicò che si stava disfacendo di me. Da allora sono stata chiusa nella fortezza di Ookenbur, nell’estremo nord. Non ho più visto le mie figlie e probabilmente non le vedrò più. Come sapete, Johan ha contratto un secondo matrimonio con Lerere di Siltan, ma per il momento non hanno avuto figli, quindi non credo che lei durerà ancora molto». Renana scosse di nuovo la testa, come se l’idea la rendesse moderatamente infelice. Poi tornò ad abbracciare con lo sguardo la piccola platea dei suoi ascoltatori. «Questo per dire, signori, che non perdonerò mai quell’uomo e che potete fidarvi in completa tranquillità di qualsiasi informazione vi fornisca. Sono stata rinchiusa a Ookenbur per gli ultimi otto anni, ma ricordo ancora perfettamente le piantine del castello di Nora, i passaggi segreti e le abitudini di Johan. E sono a vostra disposizione». In quel momento Selina ebbe la certezza che la sua presenza lì era stata richiesta per un motivo molto semplice: volevano che organizzasse una spedizione segreta per eliminare Johan Augustus Tertiano. +++ A questo ripensava, stesa a terra nella cella di nuda pietra nelle segrete di Nora. La sua coscienza andava e veniva. Il suo corpo non era più scosso dai brividi e dai conati, ormai. Quasi non lo percepiva più. Ripensava a come, quella sera, aveva scherzato con Freja, la sua seconda in comando, e a come più tardi aveva fatto l’amore con Pars senza pensare a nulla. Non preoccupata. Non spaventata. Sicura di se stessa e fiduciosa nel Fato. Dopo essere stata catturata, aveva potuto sentire le grida delle sue compagne torturate. Aveva potuto sentirle piangere e confessare. Dov’era il Fato, allora? Quando i soldati erano entrati nella sua cella, Selina era pronta a subire lo stesso trattamento. Non poteva sapere quali sarebbero state le torture, ma sapeva che alla fine, comunque, sarebbe morta. Non sarebbe stato veloce, sarebbe stato doloroso e questo, ora, era il suo Fato. Ma non era andata così. I soldati dell’impero l’avevano spogliata e l’avevano picchiata. No, anzi, l’avevano pestata a sangue, forte come Selina non era mai stata pestata. Le avevano rotto a calci ogni osso, le avevano spappolato ogni organo interno, senza mai colpirla in faccia. La loro violenza era stata rivolta a uno scopo, controllata. Colpi duri, secchi, con i pugni fasciati e con gli scarponi. A distruggere. Selina aveva gridato. Si era rannicchiata. Poi si era limitata a gemere, senza più la forza neppure di provare a proteggersi. Aveva subito passivamente il pestaggio, che era continuato e continuato. Nessuno le aveva chiesto niente. Solo botte. Era rimasta sul pavimento della cella. Aspettando di morire.

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