CAPITOLO IV-4

1345 Words
Dovette scegliere fra dieci qualità di senape. Assaggiò daspachio, curry e zenzero, naselli che venivan dalla Corsica, lasagne romane; bevve vini straordinari, Liebfrauenmilch e tokay. In effetti, Arnoux si piccava di essere un buon anfitrione. Faceva la corte, sempre alla ricerca di cibi rari, a tutti i conducenti di vetture postali, e intratteneva rapporti con i cuochi delle grandi case, che gli comunicavano ricette di salse. Ma era la conversazione, soprattutto, che divertiva Federico, la sua passione per i viaggi fu accarezzata da Dittmer, che parlò dell'Oriente; soddisfece la sua curiosità per le cose del teatro ascoltando i discorsi di Rosenwald sull'Opéra; e l'atroce esistenza dei bohémiens gli parve divertente attraverso la gaiezza di Hussonnet che raccontò, in tono pittoresco, di aver passato tutto un inverno senza avere, per nutrirsi, che del formaggio olandese. Infine, una discussione sulla scuola fiorentina, che si svolse tra Lovarias e Burrieu, gli rivelò l'esistenza di alcuni capolavori, aprendogli nuovi orizzonti; e dovette sforzarsi per trattenere il suo entusiasmo quando Pellerin sbottò: «Ma lasciatemi in pace con la vostra schifosa realtà! E cosa vuoi dire, poi, la realtà? C'è chi vede nero, chi vede blu; la maggioranza vede stupido. Niente è meno naturale di Michelangelo, e niente è più forte! La mania della verità esteriore denota la bassezza contemporanea; se si continua così, l'arte diventerà qualcosa di ibrido, un sottoprodotto, al disotto della religione quanto a poesia, al disotto della politica quanto a interesse. Con delle piccole opere, e malgrado tutti i vostri accorgimenti tecnici, non arriverete mai al suo scopo - sissignori, al suo scopo! - che è quello di provocare in noi un'esaltazione impersonale. Guardate i quadri di Bassolier, per esempio: sono graziosi, carini, pulitini, e per niente pesanti! Si possono mettere in tasca, portarseli dietro in un viaggio. I notai comprano questa roba per ventimila franchi; ci sarà dentro per un tre soldi di idee. Ma, senza idee, niente di grande; e senza grandezza, niente di bello! L'Olimpo è una montagna, e il monumento più ardito resteranno sempre le Piramidi. L'esuberanza val più del gusto, il deserto più di un marciapiede, un selvaggio più d'un parrucchiere!» Ascoltando queste cose, Federico guardava Madame Arnoux. Cadevano nel suo animo come metalli in una fornace, alimentavano la sua passione, producevano amore. Era seduto dalla sua stessa parte, a tre posti di distanza. Ogni tanto lei si chinava un poco, voltando la testa per rivolgere una parola alla bambina; e allora, mentre sorrideva, le si scavava una fossetta nella guancia, portando sul suo viso la traccia di una bontà delicata. Furono serviti i liquori, e la signora scomparve. La conversazione si fece assai libera; Arnoux vi brillava, e Federico fu colpito dal cinismo di quegli uomini. Tuttavia, il fatto che si preoccupassero tanto delle donne metteva lui e loro quasi su uno stesso piano, aumentando la sua stima per se stesso. Rientrato nel salotto, prese, per darsi un contegno, uno degli album che erano posati sul tavolo. I grandi artisti dell'epoca l'avevano illustrato con disegni, vi avevan messo delle prose, dei versi, o semplicemente la firma; in mezzo ai nomi famosi ce n'eran molti di sconosciuti, e i pensieri singolari affioravano da un mare di banalità. Tutti contenevano, più o meno diretto, un omaggio a Madame Arnoux. Federico non avrebbe avuto l'ardire di scriverci una sola riga. La signora era andata a prendere nel boudoir il cofanetto a fermagli d'argento che Federico aveva notato sulla mensola del camino. Era un regalo del marito, un lavoro del Rinascimento. Gli amici gli fecero dei complimenti, lei lo ringraziava: commosso, Arnoux le diede un bacio davanti a tutti. Dopo, s'erano sparsi tutti qua e là, in gruppi, a chiacchierare; l'ottimo Meinsius stava con Madame Arnoux, in poltrona, accanto al fuoco; la signora si chinava verso il suo orecchio, le loro teste si sfioravano; e Federico avrebbe accettato d'esser sordo, brutto e infermo pur d'avere un nome famoso e i capelli bianchi, qualcosa, insomma, che lo innalzasse a una tale intimità. Si struggeva, rabbioso contro la propria giovinezza. Ma lei venne dove era lui, in un angolo del salotto, e gli chiese se conosceva qualcuno degli invitati, se gli piaceva la pittura, da quanto tempo era a Parigi per studiare. Ogni parola, per il fatto di uscire dalla bocca di lei, sembrava a Federico qualcosa di nuovo, dì esclusivamente dipendente dalla sua persona. Guardava con attenzione le frange della sua pettinatura, che le accarezzavano appena la spalla nuda; non riusciva a distaccarne gli occhi, sprofondava con l'anima nella bianchezza di quella carne; eppure non osava sollevar le palpebre per guardarla più su, faccia a faccia. Rosenwald venne a interromperli pregando Madame Arnoux di cantare qualcosa. Durante il preludio, ella attendeva; poi le sue labbra si schiusero e un suono puro, lungo, filato si levò nell'aria. Erano parole italiane, che Federico non capiva. All'inizio, era un ritmo grave, simile a un canto di chiesa; quindi, animandosi nel crescendo, gli effetti sonori si moltiplicavano, per calmarsi poi all'improvviso; e la melodia riappariva amorosamente, con un'oscillazione larga e indolente. Era ritta accanto allo strumento, le braccia abbandonate lungo il corpo, lo sguardo perduto. A volte, per leggere la musica, stringeva un istante le palpebre, abbassando la fronte. Nelle note basse la sua voce di contralto prendeva un'intonazione lugubre che dava i brividi, e allora il suo bel viso dai lunghi sopraccigli si reclinava su una spalla; il petto si sollevava, le braccia accennavano ad aprirsi, il collo si rovesciava mollemente allo sgorgare dei trilli come per offrirsi ad aerei baci. Emise tre note acute, ridiscese, ne lanciò una ancor più alta; dopo una pausa, terminò su una nota tenuta. Rosenwald restò al piano, continuando a suonare per conto suo. Di tanto in tanto, uno degli invitati scompariva. Alle undici, mentre gli ultimi si ritiravano, Arnoux, col pretesto d'accompagnarlo, uscì con Pellerin. Era una di quelle persone che si sentono male se non fanno i loro “quattro passi” dopo cena. Madame Arnoux, ch'era venuta fino in anticamera, tese la mano a Dittmer e a Hussonnet che la salutavano; h tese anche a Federico; ed egli avverti una sorta di penetrazione in tutti gli atomi della pelle. Lasciò gli amici; aveva bisogno di esser solo. Il cuore gli traboccava. Perché, quella mano offerta? Era un gesto irriflesso o un incoraggiamento? “Ma che diamine! Sto diventando matto.” E poi cosa importava, dal momento che poteva frequentarla, ormai, senza difficoltà, vivere nella sua atmosfera. Le strade eran deserte. Ogni tanto passava, pesante, una carretta, facendo sussultare il selciato. Si succedevano case dalle facciate grigie, dalle finestre serrate; ed egli pensava con disprezzo a tutti gli esseri umani coricati dietro quei muri, che vivevano senza vederla, senza dubitare, neppure uno di loro, ch'ella esistesse! Non aveva più coscienza dei luoghi in cui si trovava, dello spazio, di nulla; e battendo il suolo col tacco, facendo scorrere il bastone contro le saracinesche, andava diritto davanti a sé, a caso, ebbro, travolto. Un'aria umida l'avviluppò; s'accorse d'essere sulla riva dei quais. I fanali brillavano in due righe dritte, all'infinito, e lunghe fiamme rossastre vacillavano nel profondo dell'acqua. L'acqua era color ardesia, mentre il cielo, più chiaro, sembrava sostenuto dalle grandi ombre che s'alzavano massicce dall'una e dall'altra parte del fiume. Gli edifici, ch'era impossibile distinguere, rendevano più densa l'oscurità. Dietro, al di sopra dei tetti, vagava una bruma luminosa; rumori diversi si fondevano in un confuso ronzio; spirava un vento leggero. S'era fermato a metà del Ponte Nuovo, a capo scoperto, e aspirava l'aria avidamente. Sentiva salire dal fondo di se stesso qualcosa di inesauribile, un flusso di tenerezza che lo snervava, simile al movimento che facevan le onde sotto i suoi occhi. All'orologio di una chiesa suonavano le ore, lentamente, e gli parve che una voce l'avesse chiamato. Fu preso, allora, da uno di quei soprassalti dell'anima, quando sembra d'esser trasportati in un mondo più alto. Si sentiva investito d'una capacità straordinaria, di cui non conosceva l'oggetto. Si domandava, seriamente, se doveva diventare un grande pittore o un grande poeta; alla fine, decise per la pittura, pensando che le esigenze del mestiere lo avrebbero avvicinato a Madame Arnoux. E così, aveva trovato la vocazione! Lo scopo della sua vita era chiaro, ormai, l'avvenire infallibile. Quand'ebbe richiuso la porta, sentì qualcuno che russava nello sgabuzzino buio, accanto alla sua camera. Era quell'altro. Non ci aveva più pensato. Nello specchio, gli si offriva il proprio volto. Si trovò bello; e rimase un minuto a contemplarsi.
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