1 – MARCO E WANDA
1 – MARCO E WANDANella parte vecchia della città le strade diventano vicoli. I vicoli, angusti e tortuosi passaggi che serpeggiano lungo cadenti costruzioni cariche di ricordi.
Ti verrà voglia di camminare lungo i marciapiedi del viale centrale che, in ogni stagione, gode dell’ombra e della protezione di filari di secolari alberi sempreverdi.
Continuando a passeggiare, proprio dietro un angolo, scoprirai il bellissimo parco cittadino.
Nel mezzo del prato, tra arrugginite panchine, si erge maestoso un salice che sembra fatto apposta per riparare le anziane signore sedute sotto di esso. Con i loro vestiti fiorati e le ampie falde dei cappelli color glicine le vedi intente a chiacchierare di amabili frivolezze.
Nessun rumore turba la quiete di questo luogo ameno. Qui non arriva nemmeno lo strepito del traffico tanto che puoi tranquillamente bearti dei suoni della natura: il fruscio delle foglie mosse da un vento gentile, il mormorio dell’acqua della grossa fontana decorata da puttini, il melodioso canto dei numerosi uccelli che volteggiano indisturbati tra le fronde di ospitali rami.
Mentre attraversi il parco, osservi innamorati sdraiati sull’erba che si sussurrano parole d’amore, mamme che spingono passeggini con sguardo fiero e soddisfatto, ragazze che fanno jogging a ritmo di musica.
Quindi vedi venirti incontro i tuoi amici. Sono tutti eccitati, pare ci sia un artista americano che disegna con i gessi colorati. Ed è proprio nel parco, nella pista dove di solito si fa skateboard.
Sembra anche che le opere di questo misterioso pittore d’oltreoceano abbiano poteri magici: se le fissi intensamente puoi entrarci dentro e vivere quello di cui l’artista è stato testimone.
E adesso sta allestendo una mostra tutta per voi.
Allora corri insieme ai tuoi amici e ridi tra te e te. Possibile che siano ancora così creduloni? Sarà divertente vedere le loro facce deluse nel rendersi conto che è solo una trovata per rimediare qualche spicciolo.
Il pittore è un ragazzo biondo con un’incolta barbetta ispida, porta un piercing sul naso e ha una bandana rossa che gli tiene raccolti in una coda i lunghi capelli arruffati.
È concentrato a finire un disegno. È davvero molto bravo, lo devi ammettere. Le sue opere sono disposte come una specie di percorso. Non sono solo dipinte: ognuna contiene degli oggetti posti sopra di esse e un titolo che le contraddistingue.
I tuoi compagni si sparpagliano, mentre tu vieni attirato da un disegno che ti dà uno strano senso di disagio, anche se non sai spiegarti il perché.
Si vede raffigurato un lungo viale grigio pieno zeppo di foglie morte, in un angolo c’è una ciocca di capelli bianca e ti viene istintivo chinarti. Allora la raccogli e…
* * *
Marco era un ragazzino grazioso, lineamenti delicati, corporatura longilinea, folti capelli color grano e due grandi occhi verde smeraldo.
Tutti in famiglia erano orgogliosi di lui. Frequentava la seconda media con ottimi profitti, aveva molti amici e in casa era educato e servizievole con sua madre che stravedeva per lui.
Ma la signora Graziella ignorava che il suo adorato gioiellino avesse un piccolo vizietto. In effetti, considerati i tempi, poteva essere ritenuto un peccato veniale quello di cui si macchiava il ragazzino perfetto.
Marco e la sua famiglia vivevano in un quartiere residenziale, poco trafficato, di conseguenza tranquillo e silenzioso. Le costruzioni che dominavano le lunghe strade alberate erano colorate villette a un piano, ognuna con un piccolo giardino recintato da una bassa staccionata.
In una di queste abitazioni, qualche metro dopo la casa di Marco, proprio vicino alla fermata dello scuolabus, viveva una dolce e tenera vecchietta. Questa esile signora dai capelli canuti e dalle sottili sopracciglia brizzolate parlava in uno stretto dialetto sardo, tanto che il biondo ragazzino faticava spesso a capire cosa dicesse.
Non riusciva neppure a comprendere se si rivolgesse a qualcuno in particolare o semplicemente lasciasse cadere le parole al vento, come spesso fanno le persone anziane quando ormai nessuno ha più tempo e pazienza per ascoltare ciò che hanno da dire.
Ed è uno sbaglio, perché se prestassimo maggiore attenzione a ciò che ci viene detto, a volte non ci troveremmo in situazioni sconvenienti.
Spinto da chissà quale tipo d’idea malsana, Marco aveva deciso di tormentare la povera e indifesa vecchina. Ogni giorno, andando e tornando da scuola, suonava al suo citofono, costringendo la poveretta ad alzarsi, pur sapendo quanta fatica le costasse muoversi.
A volte, in qualche apice di meschinità, strappava le belle rose rampicanti che la donna con tanto amore aveva fatto crescere in un angolo del suo curato giardino. In altre occasioni buttava sul prato della villetta carta straccia, bucce di banana, avanzi di merendine. Per questo motivo il cortile dell’anziana si riempì di antipatiche formiche.
Durante le operazioni di vandalismo, Marco era sempre stato convinto che la signora Wanda non si fosse mai accorta che era proprio lui l’artefice di tali dispetti.
Se i suoi genitori lo avessero scoperto, oltre a essere colpiti da una grossa delusione, di certo gli avrebbero inflitto una punizione. E in quanto a punizioni i suoi sapevano essere davvero duri. Bastava vedere come si comportavano con sua sorella maggiore, la ribelle.
Marco non voleva correre il rischio di finire per settimane chiuso in camera senza Playstation e televisione, bandito da ogni attività ricreativa con i suoi amici.
* * *
Passarono i mesi e le rosse foglie autunnali si trasformarono in secco fogliame invernale, adagiato pigramente ai lati della lunga strada alberata.
Una notte fredda e senza stelle, Marco, steso nel letto, sentì raspare alla finestra.
All’inizio fu un rumore sommesso che però crebbe d’intensità dopo alcuni secondi. Incuriosito ma anche seccato di doversi alzare dal caldo piumone, il ragazzino si avvicinò agli infissi per cercare di capire l’origine del suono fastidioso.
Scostò la tenda, aprì i vetri e si sporse per guardare. Ciò che vide gli fece fare un balzo indietro dallo spavento: la signora Wanda era accovacciata sotto la finestra.
Quando vide l’ovale grinzoso della vecchietta fissarlo, capì subito che la donna aveva scoperto le sue marachelle. L’anziana si alzò a fatica, aiutandosi con un vecchio bastone di legno.
Marco, rimasto a bocca aperta, tentò di dire qualcosa alla donna ma fu preceduto dalla litania che lei cominciò a cantilenare:
«Vieni vieni a vedere
cosa sta per accadere,
sensi acuti da destare
ossa forti per ballare,
la vecchietta vuol giocare.
Vieni vieni a vedere
cosa sta per accadere.»
Fu la prima volta che il ragazzino capì ogni singola parola soffiata dalla canuta signora dagli occhi di ghiaccio. Wanda gli voltò le spalle e con flemma se ne tornò in direzione di casa sua.
Lui seguì per qualche istante ancora la schiena curva della vecchina, prima di sbattere la finestra e andarsi a rintanare sotto le coperte con il cervello che turbinava come un aspirapolvere alla massima potenza.
Per un attimo aveva temuto che la donna sarebbe andata dritta al campanello e avrebbe avvisato i suoi genitori dei dispetti subiti negli ultimi mesi. Allora sarebbero stati guai. Eppure non l’aveva fatto, si era limitata a rifilargli chissà quale strana nenia, di cui al momento non rammentava il contenuto.
Che lo avesse voluto spaventare a modo suo per vendicarsi? Un sistema teatrale, ma era pur sempre una solitaria e anziana signora. Forse le era sembrato il modo più consono per punirlo.
In fin dei conti era riuscita nel suo intento, quella visita notturna aveva lasciato addosso a Marco un profondo senso d’inquietudine.
* * *
La mattina seguente il ragazzino si guardò bene dal passare davanti alla casa di Wanda. Preferì uscire qualche minuto prima e fare il giro dal retro, allungando di parecchio il tragitto per arrivare alla fermata dello scuolabus.
Non era riuscito più a chiudere occhio, attento a ogni rumore capace di segnalare la presenza della bizzarra vecchia. Temeva ancora avrebbe raccontato ai suoi genitori i danni che le aveva causato.
Si sentì molto stupido. Se poteva essere considerato di poco conto suonare il citofono e scappare, deturpare le rose e sporcare il giardino, era stato un gesto eccessivo. Prese in considerazione l’idea di fare un salto quel pomeriggio a casa della donna per chiederle scusa, ma la scartò subito. Considerata la stranezza della signora Wanda, avrebbe potuto persino peggiorare le cose. Era meglio mantenere un profilo basso e lasciar calmare le acque.
Presto lei se ne sarebbe dimenticata e la faccenda si sarebbe risolta.
A cena mangiò con appetito, sua madre era un’ottima cuoca. Guardò il DVD che avevano noleggiato nel pomeriggio con la famiglia al completo e, finito il film, si sorprese a pregare il padre di fargliene vedere un altro. Tutto pur di ritardare il momento di andare a dormire.
Il signor Filippo inarcò un folto sopracciglio biondiccio, lanciando un’occhiata perplessa al figlio, che di solito preferiva rintanarsi in camera sua a giocare con quella dannata Playstation o chattare con i suoi amici.
«È tardi, è il caso che tu vada a dormire o domani mattina non ti sveglierai per andare a scuola.»
Rassegnato, Marco filò in camera sua, si spogliò, si mise il pigiama e decise che per quella notte avrebbe lasciato la luce accesa. Non di certo perché lui fosse un fifone, ma magari avrebbe potuto scoraggiare un altro blitz notturno della sua vendicativa vicina.
Cercò di rimanere sveglio, si mise perfino a leggere, ma dopo poco la stanchezza prese il sopravvento.
* * *
Aprì gli occhi di scatto, qualcosa l’aveva svegliato. Guardò l’orologio: le 23:49. Un raspare sommesso si fece sentire fuori dalla finestra. Poi, come la volta precedente, il suono crebbe d’intensità.
Marco si alzò, terrorizzato dal fatto che quel rumore avrebbe potuto destare i suoi genitori. Aveva deciso: avrebbe affrontato quella vecchia pazza, gliene avrebbe dette quattro, l’avrebbe anche minacciata se si fosse rivelato necessario.
Determinato, si diresse alla finestra. L’aprì con impeto e guardò in basso, convinto di trovarsi faccia a faccia con la signora Wanda.
La sorpresa fu maggiore nel vedere, seduto di fronte a lui, un grosso gatto nero che, come vide la finestra aperta, fece un balzo agile e approdò sul davanzale.
Due enormi occhi color giada lo fissarono, interrogativi.
Marco notò che il gattone aveva un vistoso collare rosso dal quale penzolava, attaccato a uno spago, un foglietto arrotolato.
Gli venne naturale sfilarlo e aprirlo.
Il contenuto gli gelò il sangue e gli paralizzò la lingua. Una tremolante scrittura riportava delle parole che Marco non poté non ricordare:
“Vieni vieni a vedere
cosa sta per accadere,
sensi acuti da destare
ossa forti per ballare,
la vecchietta vuol giocare.
Vieni vieni a vedere
cosa sta per accadere.”
Gli sembrò quasi di udire l’eco malvagia della voce di Wanda. Fu il miagolio del gatto a smuoverlo dal torpore che aveva agguantato ogni fibra del suo corpo. Quei freddi occhi gli trapanavano il cervello, così con un gesto brusco diede una spinta al felino, facendolo cadere dal cornicione.
L’animale atterrò sull’erba, producendo un rumore sordo, gli lanciò un miagolio di disappunto e veloce sparì nel buio della notte.
Era davvero troppo, quella vecchia era una psicopatica e lui doveva trovare una soluzione per porre rimedio a queste sgradite visite notturne.
Nemmeno a dirlo, non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte. La mattina si trascinò come uno zombie in cucina per fare colazione. Sentì lo sguardo indagatore del padre da sopra il giornale che fingeva di leggere. Per fortuna non gli fece nessuna domanda scomoda.
La giornata passò tranquilla. Marco ebbe anche un momento di ottimismo quando pensò che forse la vecchietta avrebbe desistito e quella notte non si sarebbe presentata.
Tuttavia gli tornò in mente una frase della macabra filastrocca: la vecchietta vuol giocare. La cosa gli diede i brividi.
Dopo cena decise di barricarsi dentro. Per prima cosa prese tutti i lacci delle scarpe da ginnastica e li avvolse intorno alla maniglia degli infissi, stringendoli con nodi quadrupli. Poi, cercando di fare meno rumore possibile, spostò la scrivania davanti alla finestra.
L’idea era quella di restare sveglio per vigilare, ma due notti consecutive passate in bianco non gli permisero di attuare il suo piano. Il sonno però non fu affatto ristoratore ma tormentato da incubi orrendi, uno dei quali lo fece svegliare zuppo di sudore. Stava sognando una specie di gatto gigantesco e ricoperto di frammenti di interiora che lo inseguiva. L’animale non miagolava ma cantilenava in tono minaccioso la filastrocca di Wanda la pazza.
Con un senso di angoscia, il ragazzino gettò uno sguardo verso la finestra, ma tutto era come lo aveva lasciato. Nessun rumore si udiva nel silenzio, rotto solo da qualche ululato in lontananza.
Controllò l’ora. Era mezzanotte passata, forse aveva scampato il pericolo. Come aveva immaginato, la signora si era stufata di fare giochetti tetri.
Fu allora che colse un movimento con la coda dell’occhio. Vide una sagoma in fondo alla stanza, vicino al grosso armadio a muro. Mise a fuoco la figura che incedeva claudicante verso di lui: Wanda.
Marco aprì la bocca per gridare e richiamare l’attenzione dei genitori, non gli importava più nulla della punizione. Tuttavia non fece in tempo a emettere alcun suono, quell’essere gli si avventò addosso con una velocità che non aveva nulla di umano.
Dita d’acciaio strinsero la gola di Marco.
«Vieni vieni a vedere, cosa sta per accadere», cominciò la vecchia. «Sensi acuti da destare…» Con un lungo pugnale estrasse gli occhi del monello fuori dalle orbite, poi si dedicò alle orecchie e alla lingua. «Ossa forti per ballare», continuò, infierendo con ferocia sul corpo del ragazzino. La voce lamentosa di Wanda echeggiò nella casa: «La vecchietta vuol giocare.»
* * *
Ti senti scivolare all’indietro. Sei senza peso, senza volontà, non riesci a percepire nessun suono e nessun odore. Vorresti gridare dopo aver visto ciò che è accaduto a Marco ma la tua bocca si apre muta come quella di un pesce.
Di colpo ti ritrovi nel parco, la ciocca canuta fra le dita. La getti in terra con un colpo secco, ti guardi intorno, smarrito, battendo le palpebre.
Il clima è cambiato repentinamente, ti viene da chiederti quanto tempo sia passato da quando sei entrato nell’opera.
Potrebbe essere un secondo come un’ora.
Sta cadendo una pioggia leggera che si fa sempre più fitta e insistente, quasi a creare una cortina di nebbia. Osservi il tuo respiro trasformarsi in nuvolette di vapore.
L’acqua sta cancellando le opere dell’artista misterioso e pensi che in fondo sia un bene. Quest’esperienza ti ha insegnato che a volte è meglio farsi i fatti propri, essere persone discrete, rispettare le anziane signore… soprattutto se sono delle streghe affamate di sangue.