he giornataccia...!

1635 Words
Che giornataccia...! Oggi sarà una di quelle giornate “no” in cui nessuna me ne andrà giusta, me lo sento. Tanto per cominciare, mi fanno malissimo le articolazioni e a nulla è valso prendere un analgesico. Da ragazzino ho avuto la scarlattina, che mi ha lasciato il segno nelle articolazioni. Solo io so come soffro quando è particolarmente umido o freddo e mi tocca stare accucciato a rimuovere gli scheletri dalle fosse. Ci sono giorni in cui ginocchia e caviglie mi fanno talmente male che devo assumere antidolorifici anche piuttosto forti, per calmare i dolori. Quando sono fortunato, mi fa effetto l’aspirina. Altrimenti, in casi disperati, devo ricorrere “all’artiglieria pesante”, un farmaco a base di oppiacei che mi lascia un po’ stordito. Ma la malattia mi ha anche portato qualcosa di bello. Non avendo potuto giocare per diverso tempo con i miei coetanei, ho iniziato a documentarmi sulla scarlattina, poi su tutte le altre malattie, ed è finita che ho voluto diventare medico. Sono stato il miglior studente del mio corso, mi sono laureato con centodieci e lode. Dopo la specializzazione in Medicina Legale ho lavorato nel reparto del mio ex suocero, quello di Rianimazione e Terapia Intensiva. Come sempre lavoro dalle 7 e si preannuncia un’altra estenuante giornata. Da questa mattina abbiamo svuotato tre tombe a terra e smurato quattro loculi, tant’è che non vedo l’ora di potermi sedere per riprendere fiato. Ho dato a due necrofori il permesso di andare a prendere un caffè e quando torneranno andrò io. Anche se il caffè mi fa venire la tachicardia, oggi sento di averne davvero bisogno... rischio di addormentarmi nel primo loculo vuoto che trovo. Mi avvicino ad Alessandro, intento a scavare. Quando si esuma è preferibile usare la scavatrice soltanto per togliere i primi cinquanta o sessanta centimetri di terra e continuare poi con la pala. «Riposati, lascia che finisca io» gli dico. Noi due ci dividiamo equamente il lavoro, ma la mia esperienza in ambito cimiteriale è di molto superiore alla sua, fatto sta che mi cede sempre volentieri il compito di occuparmi dei resti mortali. Quando la pala urta il legno, rimuovo con le mani la terra residua mettendo a nudo il coperchio e continuando poi a scavare intorno alla bara per riportarla completamente alla luce. Curioso come un bambino che la mattina di Natale apre i pacchi dei regali, mi appresto a vedere cosa sia rimasto della salma. La prima volta che abbiamo esumato quel cadavere, la scheletrizzazione era incompleta e in questi casi la legge impone che la bara sia nuovamente inumata per altri due anni. Ora, sollevato il coperchio, vedo con piacere che il risultato è positivo e che il processo si è completato. “Campo inumazioni, cumulo numero 8. Esumato scheletro di sesso maschile, nudo” annoto. Per nudo, naturalmente, si intende senza più i vestiti addosso. Lo era già dalla scorsa esumazione, dopo dieci anni trascorsi sottoterra è ovvio che siano andati distrutti. «Cassettina» ordino, iniziando a spolverare sommariamente i resti ossei. Uno scheletro appena esumato da una tomba a terra è marrone, anziché bianco come quelli che si vedono nelle università o nello studio del dottore. Le ossa sono ruvide e assorbono qualsiasi materiale. Per diventare bianche, devono essere sottoposte a trattamenti speciali. Sposto le ossa nella cassettina di zinco, che porto poi nel deposito feretri. Concorderò con la famiglia del defunto la loro prossima destinazione. Non che ci sia molto da concordare, o finiranno nell’ossario o verranno cremate. Le ossa, a differenza delle ceneri, non si possono portare a casa. Esco per recarmi in Comune e, siccome in questa cittadina la segnaletica è un optional, un cretino ignora le strisce pedonali e ci manca poco che mi investa. Frena di colpo, facendo stridere i pneumatici e suona rabbiosamente il clacson. «Ahò, a imbecille, che cazzo fai!», urla sporgendosi dal finestrino un uomo non più giovanissimo e molto tamarro. Capito che roba...? Questo non solo per poco mi investe, ma pretende pure di avere ragione. «Che fai tu, deficiente!», gli rispondo per le rime. «Non vedi che sono sulle strisce? Magari il prossimo viaggio in macchina te lo fai in orizzontale!» Il tizio capisce l’augurio e mi risponde con un gestaccio, ripartendo con una sgasata prepotente. Ma i miei problemi non sono finiti. Durante la posa, una bella lapide di marmo si rompe e mi tocca avvertire i parenti del defunto. Quelli naturalmente se la prendono con me per la poca perizia dei miei sottoposti, pretendendo il risarcimento del danno. Ho appena finito di sorbirmi le loro urla al telefono, che un uomo viene a cercarmi con un diavolo per capello. «Come mai mio padre non è più dove dovrebbe essere?!», vuole sapere. «Vi divertite a spostare i morti durante la notte?» Mi faccio dire il nome e l’anno di morte di suo padre e consultando il registro delle sepolture risolvo l’arcano. «Campo inumazioni, cippo numero 7 della quarta fila? È nella camera mortuaria, lo abbiamo esumato qualche giorno fa!» Diventa paonazzo e inizia a sbraitare: come abbiamo osato esumarlo senza il suo permesso? Ecco che succede di nuovo... i familiari dei defunti si arrabbiano con noi per aver tolto i loro cari dalla tomba. Controbatto subito di avere affisso diversi avvisi in cui si comunicava che la concessione stava per scadere e ha avuto ben sei mesi di tempo per mettersi d’accordo con noi sulla prossima sistemazione dei resti mortali del padre. «Se non lo ha fatto, non è colpa mia. Il Regolamento di Polizia Cimiteriale impone che dopo un determinato numero di anni le salme siano disseppellite salvo diverse disposizioni degli aventi diritto. Quant’è che non viene al cimitero?» Non se lo ricorda, ammette. Saranno tre mesi, forse quattro. Dov’erano, per l’esattezza, questi avvisi? «Ovunque. Sia nelle bacheche agli ingressi che sparsi per il cimitero. Abbiamo persino attaccato degli adesivi sulle lapidi. Posso capire che lei non si fermi a leggere ogni avviso che affiggiamo, ma se afferma di essere venuto per l’ultima volta tre o quattro mesi fa, quello sulla lapide deve averlo visto per forza! Magari è passato più tempo di quanto ricorda...» Evito di aggiungere “oppure se n’è infischiato”. Nei negozi il cliente ha sempre ragione, ma siamo al cimitero, la legge è dalla nostra parte e me ne sbatto altamente di dare ragione a questi pazzi vivi, perciò continuiamo a discutere. «No» dico con fermezza, respingendo la sua assurda pretesa di rimettere il morto dov’era. «Non è possibile. La tomba ora accoglie una nuova salma, se voleva rinnovare la concessione doveva pensarci prima! Mi spiace, ma la legge è legge.» Sbuffa, ma è già più calmo. Forse ha capito di avere torto. «E allora cosa si deve fare?» Consulto di nuovo il registro, sul quale ho appuntato a matita “trovati resti ossei”. «Lo scheletro di suo padre verrà smontato, le ossa lunghe saranno legate tutte insieme...» «Scusi, non potrebbe risparmiarmi i dettagli?» mi ferma. Peccato. Perché nessuno vuole mai ascoltare queste cose? «Che fine fanno le ossa?» «Andranno nell’ossario dell’ampliamento... non ha visto che bello, con quei vetri colorati?» «Hai letto il giornale di oggi?», mi chiede Marcello. «C’è una notizia che...» «Chi ne ha avuto il tempo? Forse tu, sulla tua ruspa, tra uno scavo e l’altro... cosa diceva?» Meglio fingersi interessati, soprattutto perché non desidero che Marcello fraintenda la mia frase e si metta in testa che sminuisca il suo ruolo o alluda che non fa mai nulla. Cosa, tra l’altro, non vera. «Dai un’occhiata!» dice, passandomi il giornale. «È una notizia che devi assolutamente leggere!» Be’, a questo punto sono davvero curioso. I miei uomini sanno quanto io sia restio nel trovare “strepitosa” qualsiasi idiozia scritta sui giornali, perciò evitano sempre di coinvolgermi. Ma se stavolta Marcello ha infranto la regola, significa che la notizia è degna di essere letta. È successo l’altro ieri nel piccolo cimitero di un paesino della Calabria: andando a deporre un mazzo di fiori sulla tomba del marito recentemente scomparso, un’anziana ha visto un braccio emergere da una tomba limitrofa e annaspare in cerca di aiuto. «Attirato dalle grida, il custode è corso immediatamente a vedere cosa stesse succedendo e, afferrata una pala, ha cominciato a scavare...» Alzo gli occhi dal giornale. «E poi gli ha dato la pala in testa per finirlo?» «No, lo ha liberato: era un uomo ancora vivo, ma pesto e sanguinante. Vittima di un’aggressione, è stato erroneamente creduto morto e gettato in una fossa. Che storia!» Scrollo le spalle. La notizia effettivamente è degna di essere letta, ma io lo avrei lasciato dentro. Già che era lì...! Nel pomeriggio mi si presenta un uomo che dice di essere il nuovo necroforo, presentandomi una lettera di assunzione del Comune. Finalmente! Accidenti, però, quanto puzza. Arriccio il naso, nonostante ormai sia abituato a ben altri odori. Ma questo è diverso: è una cipolla ambulante, mica un essere umano. Mi fa sentire male soltanto a stargli vicino. Se puzza così adesso, figuriamoci quando sarà morto. Gli assegnerò esclusivamente lavoretti leggeri, così non appesterà l’aria sudando. Si chiama Armando, ma da adesso in avanti – almeno per me – sarà il “Cipolla”. Gli auguro il benvenuto e gli stringo la mano umidiccia di sudore, nonostante la repulsione che mi ispira toccarlo. Senza farmi accorgere, asciugo con disgusto la mia sui pantaloni. Sta diventando rapidamente buio, la cosa migliore da fare è iniziare il solito giro di ispezione per controllare che sia tutto in ordine prima della chiusura. Girando tra viali e vialetti, noto un certo trambusto vicino il campo a terra. «Chi c’è, ancora?» grido con voce alterata. «È ora di chiusura, dovete uscire immediatamente!» Niente. Nessuno sembra fare caso a quello che dico. «Siete sordi? Ho detto che è ora di chiusura!» Adesso li lascio qui, penso mentre mi avvicino per dare ai ritardatari un ultimo avvertimento. Mi aspetta una sorpresa sgradita: moglie e amante di un recente defunto sono venute a sapere l’una dell’esistenza dell’altra, arrivando in contemporanea a posare i fiori sulla tomba dell’uomo. Hanno dato il via a una furiosa lite, insultandosi e scaraventandosi vicendevolmente addosso tutti gli oggetti rimovibili dalle tombe limitrofe. Questo è troppo. Ne ho piene le scatole delle liti dei vivi! «Signore, insomma!!! Cosa diavolo state facendo?!» mi intrometto a mio rischio e pericolo tra le due iene. Sedo la lite buttandole fuori e ingiungo loro di andare a discutere altrove le loro beghe private, rispettando il silenzio e la pace di questo luogo sacro.
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