Parla TOMMASO CERVI

1179 Words
Parla TOMMASO CERVI Se la domenica sono di turno in obitorio, il sabato sera non devo fare tardi. È il mantra che recito mentalmente sul 105, il bus che dal mio quartiere, Tor Pignattara, mi porta fino alla stazione Termini. Da lì prenderò la metro “B” per due fermate e, una volta sceso alla stazione Policlinico, me la farò di buon passo fino a piazzale del Verano. Sono stanco e assonnato, ho persino le occhiaie. Ma perché ieri sera ho accettato di partecipare a quella maledetta serata karaoke?! Arrivo miracolosamente in orario e trovo tre miei colleghi in fermento. Sorpresa! Dobbiamo accompagnare il dottor Battaglia a un sopralluogo e stavano aspettando solo me per muoversi. Durante la notte, mi raccontano, una baracca situata nel canneto che costeggia il Tevere, più o meno all’altezza di Ponte Marconi, è bruciata, e un’intera famiglia di zingari è morta nell’incendio. Be’... non è propriamente ciò che definirei un buon inizio di giornata, ma almeno i cadaveri non sono putrefatti, non sopporto il tanfo della morte. Strano per uno specializzando in Medicina Legale, ma è così. Pigiati come sardine ci mettiamo in viaggio sulla macchina del dottor Battaglia, che coglie al volo l’occasione di farci ripassare la lesività da calore. Ogni sopralluogo si trasforma in un vero e proprio esame per noi specializzandi. Quando interpella me, io mi irrigidisco in attesa di una domanda alla quale non saprò rispondere. «Cervi, hai ascoltato bene?» «Sì, dottore» rispondo, sollevato all’idea di aver scampato l’interrogazione. Arriviamo ai resti della baracca distrutta dall’incendio. I Vigili del Fuoco sono ancora qui, tra i resti fumanti. «Erano cinque, due adulti e tre bambini, tra cui un neonato», spiega il più anziano al dottor Battaglia. «Abbiamo domato le fiamme e rimosso con cautela gran parte della struttura, facendo attenzione a non toccare i corpi.» «Molto bene. Si conoscono le cause dell’incendio?» «Probabilmente un braciere acceso, come al solito!» Siamo a novembre e la notte fa già terribilmente freddo. È ovvio, quindi, che questa povera gente tenti di scaldarsi il più possibile. «Guardatevi intorno, studiate il quadro d’insieme, ma ricordatevi di non toccare niente» si raccomanda Battaglia, lanciandosi in una esaustiva – ed estenuante – lezione sui morti negli incendi. I miei compagni ascoltano interessati, facendo ogni tanto qualche domanda azzeccata, ma io rimpiango la comodità e il calduccio del mio letto. «Dottor Cervi!» mi riprende all’improvviso Battaglia, vedendomi disattento e vagamente annoiato. «Non le interessa? Si ricordi che poi sarete voi specializzandi a dover compilare il rapporto!» Ops! Mi stavo addormentando in piedi e a momenti iniziavo anche a russare. Balbetto delle scuse poco convincenti, che accoglie con malcelato fastidio. Ma cavolo, oggi è domenica, permette che possa essere stanco? Di solito a quest’ora non mi sono nemmeno ancora alzato! «... Dottore, lei ritiene che queste persone fossero già decedute, quando le fiamme le hanno avvolte?» «Questo ce lo dirà soltanto l’autopsia, dottoressa Carli. Ma tenga presente che spesso le vittime degli incendi muoiono prima per avvelenamento da ossido di carbonio, emesso in grandi quantità. È quindi probabile che non se ne siano neanche accorte. Il dottor Cervi», guarda me, «che oggi è così attivo e pimpante, preparerà una relazione dettagliata sull’intossicazione da ossido di carbonio. Da consegnare domani mattina!» Ecco, lo sapevo. E io pago! Mi sono giocato la domenica. Meglio fumarci sopra... mi accendo una sigaretta. I miei colleghi si appartano a qualche metro da me e cominciano a parlottare. La secchiona e inguardabile Martina si lancia in un monologo lungo una quaresima su quanto deve essere terribile e doloroso bruciare vivi. «Mi auguro per quei poveracci che siano davvero morti per avvelenamento da ossido di carbonio!» Blablabla... secchiona e racchia. Ma perché non la fa lei che sa tutto, la relazione? «Cervi!» ruggisce la voce del dottor Battaglia alle mie spalle «Cosa diavolo sta facendo?!» «Il dottor Cervi è qui che aspetta di essere ricevuto!» annuncia nell’interfono la snob e spocchiosa segretaria del professor Morandini, il responsabile degli specializzandi, mentre sono in piedi davanti a lei e struscio i piedi sulla moquette, a disagio. «Sto compilando il referto di un’autopsia, Marisa» dice seccamente Morandini «e non so quanto mi ci vorrà. Lo faccia attendere in anticamera, lo riceverò appena avrò finito.» Ciò significa che dovrò rassegnarmi a passare la mattinata qui, senza poter fumare o uscire a bere un caffè. «Il professor Morandini ha detto di farla aspettare» mi viene annunciato, come se io non avessi le orecchie. «Si accomodi pure, ma non tocchi niente, mi raccomando.» Non mi rimane che obbedire e accomodarmi su una poltrona. Guardo fisso davanti a me, tamburellando nervosamente con la mano sul bracciolo, e smetto soltanto quando la segretaria mi scocca uno sguardo gelido e infastidito. Vogliono farmi impazzire. Sicuro. A questo penso, controllando per l’ennesima volta l’orologio che ho al polso. I minuti trascorrono con una lentezza snervante, mi pare di essere qui da un’eternità. Finalmente, non so dire quanto tempo sia passato, il professor Morandini si decide a chiamarmi. Temevo che sarei morto di vecchiaia qui dentro. «Venga» mi ordina soltanto, affacciandosi sulla soglia del suo ufficio. Ansioso come uno scolaro convocato dal Preside perché sorpreso a fumare in bagno, entro. In tutta onestà so che non mi ha convocato per una chiacchierata in amicizia... anzi, credo addirittura di conoscere il motivo per cui ha voluto vedermi: il sopralluogo dell’altro giorno. Per darmi un contegno, ostento un esagerato interesse verso lo scheletro a grandezza naturale in un angolo della stanza. La voce di Morandini mi fa trasalire. «Sieda pure, dottor Corvi.» «Ehm... Cervi!», lo correggo meccanicamente. Possibile che debba ogni volta sbagliare il mio cognome?! Lo fa apposta? «Non ha importanza» dice, secco. «Posso cominciare o no?» Come pensavo: mi ha chiamato per farmi una ramanzina in piena regola, per giunta dietro ordine del professor Cioffi, il direttore. Sono tutti e due insoddisfatti di me, a detta loro sono meno che mediocre e combino un pasticcio dopo l’altro. Il che non è vero, volendo escludere... «... La settimana scorsa, in sala autopsie, ha vomitato su un cadavere. L’altra ancora ha invertito distrattamente le targhette dei risultati tossicologici per poi comunicare ai genitori di un giovane irreprensibile che il figlio si drogava. Quei poveretti erano sconvolti e il ragazzo voleva denunciare l’Istituto. Ma le pare il modo? Si rende conto della situazione spiacevole in cui ci ha messo? Per fortuna il professor Cioffi è riuscito a convincerlo a non sporgere denuncia, giustificando il suo errore come inesperienza.» «Io...», deglutisco, «mi sono sbagliato, dottore. Non volevo, non era nelle mie intenzioni arrecare danno all’Istituto.» «Si era capito che avesse sbagliato, ma in questa professione non si può sbagliare.» A quest’affermazione non ribatto. D’altra parte lo scopo della convocazione non contempla che dica qualcosa, o quantomeno che mi giustifichi. Semplicemente, lui parla, io ascolto. «Lei non dimostra la minima attitudine per la disciplina medico-legale, è troppo distratto e approssimativo. Quali sono le sue intenzioni? Vuol cominciare ad applicarsi seriamente, o frequenta il corso di specializzazione solo per passatempo? Vogliamo dei risultati quantomeno decenti, invece lei combina un pasticcio dopo l’altro!» Ascolto la sgridata sentendomi sempre più umiliato, senza poter dire una parola per difendermi. Ma con Morandini, ormai l’ho imparato a mie spese, ogni replica è inutile. «Guardi, dottor Cervi, glielo dico chiaramente: la nostra pazienza con lei si è esaurita!» mi comunica a brutto muso, guardandomi come se fossi il bacillo della lebbra sul vetrino del microscopio. «E siccome purtroppo non la possiamo cacciare, le assegno un nuovo incarico...» Un nuovo incarico a me? Ma come, non sono un “mediocre pasticcione”? Quale incarico può volermi affidare, a parte pulire i bagni? Il nuovo obitorio
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