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Quando un action hero incontra una ragazza dalla lingua tagliente, non c’è tecnica di combattimento che possa salvarlo.Il sergente del SAS Ryan Hill è in malattia, dopo essere stato ferito a una gamba. A salvarlo da una noiosa convalescenza ci pensa il suo capo, affidandogli un incarico speciale: proteggere una stand-up comedian finita nel mirino del terrorismo islamico. Darcy Yates non immaginava che fare una battuta sulle barbe dei combattenti dell’ISIS l’avrebbe messa in pericolo, ma è successo e ora deve uscirne in qualche modo. Darcy è pungente, è labourista e odia i militari. Non a caso, dato che è la figlia di un generale, lo stesso generale che le ha appena inflitto una scorta di quattro Rambo dei corpi speciali. Darcy non ha alcuna simpatia per quelli che considera sociopatici dal grilletto facile drogati di adrenalina, ma bisogna ammettere che Ryan, il capo pattuglia, è divertente. E sexy. E molto, molto in forma. Nemmeno la consapevolezza che quel tizio è addestrato a uccidere con qualsiasi oggetto, da una matita a un peluche, riesce a smontare l’attrazione che prova per lui, ma c’è un elemento che rema contro sgraditi coinvolgimenti emotivi: il bel Ryan, lì, rischia la vita su base giornaliera in pericolose missioni nei teatri di guerra di tutto il mondo e Darcy sa fin troppo bene com’è aspettare a casa uno che potrebbe non tornare...

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1.
1. Inizio 2017 Quando il campanello suonò, alla TV una signora dall’aspetto pacioso stava giusto augurando la morte a un’altra concorrente di un reality show culinario. Il sergente Ryan Hill afferrò la stampella appoggiata accanto al divano e la usò per sostenersi fino alla porta. Quasi non gli serviva più. Quasi. Non chiese “chi è?”, era sicuro che fosse la tizia di cui gli aveva parlato il maggiore Sterling. Si limitò ad aprire. Dritta sul primo gradino dell’ingresso, in effetti, c’era una tizia. Signora sulla sessantina, distinta in un tailleur blu piuttosto istituzionale, capelli corti biondo-dorati scolpiti nella forma rassicurante a cespo di insalata che sembrava la soluzione preferita delle donne dopo i cinquanta. Era il taglio che aveva anche la madre di Ryan. Questa qua, però, era il capo del comando antiterrorismo del Met. Che gli ricordasse sua madre era un po’ disturbante. Ryan abbozzò un sorriso e disse: «Lei dev’essere la comandante Ellen Carlson». «Lo confermo. Piacere di conoscerla, sergente Hill». La sua stretta di mano era ferma, il palmo asciutto. «Prego, si accomodi. Sterling mi ha detto che sarebbe passata. Qualcosa da bere?» «Sono a posto, grazie». Ryan saltellò verso l’interno e, mentre procedeva verso il salotto, spense la televisione. Sperò che in casa non ci fossero odori sgradevoli. Era spiaggiato lì da quindici giorni e non si era preoccupato un granché dell’igiene. La donna delle pulizie passava due volte la settimana e Ryan teneva all’ordine, quindi non c’erano in giro piatti sporchi o cartoni del takeaway, ma se l’aria fosse stata viziata, probabilmente non se ne sarebbe accorto. Sperò che Ellen Carlson somigliasse a sua madre solo nei capelli. Le fece segno di accomodarsi su una poltrona, mentre lui si calava sull’altra con un grugnito. «Per quanto ne ha ancora?» chiese Carlson, con un gesto educato in direzione della sua gamba. «A liberarmi della stampella non manca molto, a essere idoneo per il servizio non saprei. Due o tre settimane, suppongo». Se fosse stato per lui, si sarebbe paracadutato in Siria anche in sedia a rotelle. Non perché fosse un esaltato, ma nella sua villetta di Hereford si annoiava a morte. «Veniamo a noi... il maggiore è stato un po’ nebuloso sul motivo della sua visita». «Sì, ho pensato che fosse meglio parlarle di persona. Lei è un fan della stand-up comedy, sergente?» Sul momento Ryan non capì nemmeno la domanda. «Eh?» Carlson sorrise. «Persone su un palcoscenico che cercano di far ridere il pubblico mentre passeggiano su e giù?» «Oh. Ehm. Non saprei». Se gli avessero chiesto il suo parere sulla carabina Colt Canada C7 e successive versioni, Ryan non avrebbe avuto problemi ad articolare una risposta sensata, persino esaustiva, ma che cosa c’era da dire sulla stand-up comedy? «Preferisco i programmi di cucina» provò a tagliare corto. Carlson, purtroppo, rispose esattamente come avrebbe fatto sua madre, con lo stesso tono di educato interesse. «Davvero?» «Ehm. Guardarli. Perché comunque non sono un gran cuoco». Avrebbe potuto spingersi a dire di non saper proprio cucinare, ma non sarebbe stato esatto, visto che era in grado di preparare qualche semplice piatto per sé e per sua figlia, quando andava a trovarlo. Ma, come tutti i membri dello Special Air Service, Ryan non credeva nel fornire spontaneamente informazioni su di sé, specie quando lo avrebbero fatto sembrare stupido. Carlson sospirò e sembrò decidere di mettere da parte i convenevoli. «Be’, in ogni caso la minaccia terroristica non è contro un partecipante di Bake Off. Suppongo che non abbia mai sentito parlare di Darcy Yates?» «No» rispose Ryan, che aveva ormai deciso di limitarsi al minimo indispensabile, come durante un interrogatorio. Carlson sospirò di nuovo, più o meno con la stessa espressione della madre di Ryan quando si trovava di fronte a un’incombenza sgradevole, ma che non si poteva evitare. «È una promessa della stand-up comedy. Badi, ha già ventotto anni, ma a quanto pare nel mondo dello spettacolo ci si può definire promesse finché non si sfonda». «Questo signore ha subito minacce da parte di chi, per l’esattezza?» «Questa signora» corresse Carlson. «E non ha subito minacce, hanno cercato di accoltellarla. Lasci che le racconti dall’inizio». Finalmente. «Prego». Carlson tirò fuori un taccuino. «Nell’autunno dell’anno appena trascorso ms. Yates ha iniziato una tournée nel circuito dei locali e dei teatri. È un nome conosciuto nell’ambiente, ma non era famosa presso il grande pubblico, anche se è stata alla TV diverse volte come ospite. Finché a inizio novembre non è apparsa tra i tre comici del Live at the Apollo, dove c’è stato il problema». Ryan aveva presente il programma, anche se non l’aveva visto molte volte. Andava in onda da anni, puntate di circa mezz’ora con comici che facevano sketch di una decina di minuti a testa. Roba di sinistra, ovviamente: i comici erano tutti di sinistra. «Durante il suo segmento, Yates ha fatto due battute sull’Isis». Carlson sfogliò il taccuino e Ryan capì che adesso le avrebbe ascoltate. «La prima: “Che tutti abbiano paura dell’Isis è perfettamente comprensibile, davvero. Ma non hanno mai incontrato mia suocera. Al confronto l’Isis è adorabile”. La seconda, pochi istanti più tardi: “Gente davvero cattiva. Figuratevi un gruppo di persone armate e immaginate che ognuno di loro sia mia suocera, però con la barba. O, insomma, con una barba peggio tenuta. Sono cattivi a questo livello”». «E non è stata la suocera ad accoltellarla?» considerò Ryan. Carlson gli rivolse un sorriso sottile e per nulla divertito. «Non sappiamo chi sia stato, ma si trattava di un uomo asiatico con la barba». Ryan restò in silenzio, nel suo lavoro sapersi controllare era importante ed era chiaro che Carlson non avrebbe apprezzato ulteriori battute sulla suocera e sulla barba. In realtà neppure le battute di questa Yates gli sembravano così offensive, ma sapeva per esperienza personale che i fondamentalisti religiosi non avevano senso dell’umorismo e che essere presi in giro da una donna, che per di più li aveva paragonati a un’altra donna, doveva averli irritati a non finire. «Yates è stata attaccata all’uscita di uno spettacolo, una settimana più tardi. Era notte e l’aggressione è avvenuta mentre lei andava verso la macchina, circa mezz’ora dopo la fine dello show. Non ha visto bene il colpevole e non è stata in grado di descriverlo, se non come un uomo asiatico, forse pakistano, tra i venti e i quarant’anni, capelli scuri, barba cespugliosa, fisionomia più o meno normale. Abbiamo un sospetto che corrisponde alla sua descrizione su due filmati di videocamere di sicurezza lungo la strada, ma l’uomo tiene la testa bassa e il cappuccio alzato. Non è stato possibile identificarlo». «La ragazza è stata ferita?» «Di striscio. Per fortuna indossava un cappotto voluminoso. Ha gridato, ha spinto via l’aggressore ed è riuscita a raggiungere la sua macchina. L’uomo è scappato». «In quanto alla matrice terrorista...» «Il solito takbīr mentre alzava il coltello». Takbīr era il nome dell’espressione araba Allāhu akbar, “Dio è grande”, che a sua volta era una contrazione della frase Allāhu akbar min kulli shayʾ, “Allah è più grande di ogni cosa”. «L’ipotesi è che fosse un lupo solitario. Non sono seguite rivendicazioni, anche perché l’agguato è fallito e nessuno vuole attribuirsi un fallimento». «Vero». Quello che Ryan non capiva era perché Carlson ne stesse parlando con lui. Perché avesse mosso le chiappe da Londra per andare a parlare di una questione di polizia a un soldato zoppicante nella sua villetta di Hereford. Anche se un sospetto lo aveva e non gli piaceva nemmeno un po’. «Ora, dopo il fallito agguato, Yates ha annullato l’ultima data della tournée e se n’è stata buona. Il suo indirizzo non figura in nessun elenco pubblico e non è abbastanza famosa da essere nel mirino dei paparazzi. Ha tenuto riservata tutta la vicenda». Ryan annuì. Probabilmente quella linea d’azione le era stata consigliata dall’SO15, il comando antiterrorismo guidato da Carlson, ma che Yates non avesse deciso di sfruttare comunque l’episodio per farsi pubblicità deponeva a suo favore. Doveva essersi spaventata parecchio. E forse aveva paura che ci riprovassero. «Nel frattempo le nostre indagini sono continuate, perché capirà che l’idea di avere un terrorista a piede libero e pronto a nuove azioni non ci riempiva di gioia. Abbiamo dell’intelligence molto generica su Yates come possibile target di nuovi attentati, ma fra tre settimane ricomincerà la tournée ed è possibile che venga di nuovo presa di mira. Le abbiamo parlato e ha accettato di esporsi per fare da esca». Ryan inarcò le sopracciglia. «Mi sembra pericoloso per la ragazza». «Anche dare per scontato di essere al sicuro potrebbe essere pericoloso» ribatté Carlson. «E Yates ne sembra ben consapevole. Non sta sottovalutando i rischi dell’operazione, ma è disposta ad assumerseli, piuttosto di restare nel dubbio». I sospetti di Ryan si facevano più fondati di minuto in minuto. Decise che era inutile continuare a girare attorno alla questione: «Qual è il suo rapporto di parentela con il generale Yates?» Carlson non sembrò sorpresa che ci fosse arrivato. «È la figlia. Quando il generale ha saputo dell’operazione, ha chiesto il coinvolgimento del SAS». Così il cerchio era completo. Tutto aveva un senso. Carlson doveva essere andata fino a Hereford per parlare con Sterling e Sterling aveva passato la patata bollente a lui. Un operativo con un ottimo stato di servizio, ma momentaneamente escluso dalle operazioni sul campo a causa di una fucilata a una gamba. Uno con esperienza nella protezione di target sensibili. Era possibile che Sterling pensasse di avergli fatto un favore. Sapeva di sicuro quanto Ryan si stesse annoiando. Ed era possibile, certo, ma Ryan non se la beveva. Se avesse pensato di fargli un favore, non gli avrebbe spedito a casa un pezzo grosso del Met. Avrebbe fatto quello che faceva sempre: convocare lui e la sua pattuglia a Credenhill, il quartier generale SAS. «Capito. L’operazione sarà gestita dall’SO15?» Carlson annuì. «Abbiamo una squadra di sorveglianza pronta a mettersi al lavoro e un team CTSFO di cinque elementi. L’operazione sarà coordinata dal DS Craig Pemberton, con cui la invito a mettersi in contatto». I team CTSFO erano anche detti “berretti blu”. La sigla stava per Counter Terrorist Specialist Firearms Officer ed erano squadre di agenti armati addestrati a intervenire in situazioni di emergenza. Addestrati dai SAS, per lo più, quindi Ryan in vita sua ne aveva incontrati diversi. «Bene» disse. Peraltro non era previsto che potesse rifiutarsi. Darcy si legò i capelli dietro la nuca e tornò a guardarsi nello specchio. Aveva delle occhiaie scure e dubitava che sarebbero scomparse di lì all’inizio della tournée. Miranda, la sua agente, era molto scettica riguardo l’intera operazione. Secondo lei, l’antiterrorismo avrebbe dovuto proteggerla, punto e a capo. Non avrebbe dovuto usarla come esca per far uscire allo scoperto lo schizzato che aveva provato ad accoltellarla. «Non si tratta di fare il tuo dovere di buona cittadina, questo è ben di più. Vogliono che tu salga sul palco con la consapevolezza che qualcuno potrebbe spararti dal pubblico» le aveva ripetuto anche quella mattina, come se stesse declamando chissà quale perla di buonsenso. «L’ultima volta non aveva una pistola» aveva dribblato Darcy. Miranda si era incazzata. Ma il punto che la sua agente sembrava non afferrare era un altro: che alternative aveva? Non salire mai più su un palcoscenico? Perché la sola ipotesi le dava un senso di soffocamento. Come diceva Montgomery Cliff, la recitazione era una forma d’arte e una professione di merda. Senza quella professione di merda Darcy non sapeva starci. Gli spettacoli erano tutta la sua vita. Il contatto con gli spettatori. La sensazione di portarli dove voleva lei, di essere così brava da farli ridere e commuovere usando solo le parole. E la sensazione catartica che poteva dare metterti a nudo davanti a un’audience. Era diversa da qualsiasi altra sensazione. Più potente. Così potente da causare dipendenza. Secondo Miranda, il tizio che aveva cercato di accoltellarla era un pazzoide e si era già dimenticato di lei. Per completa sicurezza, avrebbero dovuto proteggerla durante la prossima tournée, in cui lei si sarebbe guardata bene da fare battute sull’ISIS, e tutto sarebbe rientrato. «Non è gente che si dimentica le cose» aveva ribattuto Darcy. Miranda l’aveva assecondata, ma Darcy sapeva di non averla convinta. Era una liberal di sinistra e in fondo pensava che il governo insistesse così tanto sul pericolo terrorismo solo per poter controllare meglio i propri cittadini. Anche Darcy era una liberal di sinistra ed era d’accordo con Miranda quasi su tutto, ma non dimenticava che il livello di allerta per minacce terroristiche in UK era “severo” dal 2014, ossia da quando una nuova organizzazione fondamentalista, l’ISIS, aveva iniziato a diffondersi tra Siria e Iraq. Erano passati quasi tre anni e non c’erano stati attentati clamorosi, ma l’allerta restava alta e Darcy non era sicura che il motivo fosse davvero “il governo vuole controllarci”. O non solo, insomma. Quando iniziavano discussioni come quella, purtroppo, finiva sempre con Miranda che la accusava velatamente di aver introiettato i valori reazionari della sua famiglia di origine, un’accusa che Darcy non poteva rigettare del tutto. Era vero, Darcy veniva da una famiglia di militari e il risultato era che detestava i militari. Ad ascoltare i suoi parenti, qualcosa era andato storto in lei. Ad ascoltare lei, qualcosa non tornava in loro. Fin da quando, a sette-otto anni, le avevano fatto vedere Da qui all’eternità e durante l’attacco di Pearl Harbour si era messa a piangere, mentre suo fratello, in piedi sul divano, gridava incoraggiamenti ai soldati americani. Fin da quel momento, forse anche da prima, era stato chiaro che in lei c’era qualcosa di diverso. Malgrado ciò, il suo punto di vista sulla pubblica sicurezza era senza dubbio influenzato dall’ambiente in cui era cresciuta, non poteva negarlo. Anche a quello le serviva la stand-up: metabolizzare le scorie, riflettere sui propri automatismi. Ed era disposta a tutto per poter continuare a farlo. Con i ragazzi si videro al pub. Visto che Ryan era ancora un disabile, Mike passò a prenderlo in macchina e, quando arrivarono, George e Harry li stavano già aspettando con le birre sul tavolo. La rotazione nel Reggimento si articolava in quattro momenti: operazioni, riposo, ri-addestramento e attesa. Ryan era stato ferito durante un’operazione e dopo la convalescenza, in teoria, gli sarebbe toccato un periodo di riposo e uno di riaddestramento. Il resto della pattuglia era in stand-by e, sempre in teoria, i ragazzi avrebbero potuto essere impiegati in un’operazione da soli, o avrebbero potuto essere uniti a un’altra pattuglia per la durata di un’operazione. Nei SAS ogni pattuglia era un’unità stabile, le differenze di grado non contavano quasi nulla e i componenti erano fratelli, più che commilitoni. Nel resto delle forze armate poteva succedere di cambiare compagni d’armi a ogni missione, nei SAS no. Le pattuglie restavano così com’erano, a meno che un componente non morisse o che avesse diverbi inconciliabili con gli altri componenti. In quel caso era come un divorzio, ma non succedeva quasi mai. Ryan saltellò fino al tavolo e ci fu un giro di strette alte con le mani. «Quindi, spiega, Sterling ci ha vaporizzato le vacanze?» andò al sodo Harry. Tra loro era il più anziano, trentacinque anni, con la tipica costituzione SAS: altezza media, all’apparenza non troppo muscoloso. La parte superiore della faccia mostrava ancora una certa abbronzatura, mentre quella inferiore era troppo chiara. Mike aveva ovviato allo stesso problema evitando di rasarsi la barba. L’aveva accorciata e lasciata lì, sicuro che gli sarebbe di nuovo servita presto in un’altra operazione in Medio Oriente, quando avrebbe avuto bisogno di confondersi con la popolazione locale. «Ha vaporizzato le vostre vacanze e almeno una parte della mia convalescenza» confermò Ryan. «Anche se ammetto che poltrire a casa è una tale rottura di palle che stavo quasi accarezzando l’idea di andare a scuola con Maggie nella giornata genitori-figli. Invece, grazie a Sterling, potrò continuare a essere un padre di merda come al solito». «Oh Cristo, ma sul serio?» fece George. Era il più giovane della pattuglia, ventiquattro anni. Prima di passare la Selezione era stato per un triennio nei parà. «Già, con precisione millimetrica. Era, tipo, il mio unico impegno nel prossimo mese. Maggie ha detto che non importa, ma so che ci teneva». «Karen?» Karen era la sua ex moglie. Erano stati sposati cinque anni, se contavi anche i periodi in cui Ryan era in missione. Se non li contavi, erano stati sposati poco più di due. «Ha detto che comunque con le equazioni è molto più brava di me, almeno Maggie non farà brutta figura». «Karen è una perla» ridacchiò Harry. Sotto molti aspetti lo era davvero. Quando era nata Maggie erano poco più che ragazzi e Ryan aveva appena passato la Selezione. Si erano messi insieme e si erano sposati che lei era già incinta, ma non era stato un matrimonio per riparare a una svista. Volevano un figlio e volevano sposarsi, era solo successo nell’ordine sbagliato. A ventun anni Ryan si sentiva già pronto a prendersi tutte le responsabilità del caso: aveva un buon lavoro, aveva superato la (durissima) selezione per entrare nell’élite dei corpi speciali, aveva di fronte una carriera piena di soddisfazioni e di responsabilità. Poi era venuto fuori che far funzionare un matrimonio era parecchio più difficile che tirar fuori ostaggi da un’ambasciata assediata dalle milizie sanguinarie di un dittatore africano. «Venendo a noi: Darcy Yates». Harry si guardò attorno, ma si erano trovati apposta un angolino appartato. Nessuno stava facendo caso a loro. «Mi ricordo suo padre. Te lo ricordi, Ryan?» «Hai voglia». «Quanto tempo fa è stato?» chiese George, che invece all’epoca non era ancora arruolato. «Sette, otto anni» rispose Ryan. «Non è stato il migliore, ma nemmeno il peggiore. Famiglia con lunga tradizione militare, hai presente. Accento snob e tutto. Ciò nonostante, non era un completo imbecille». Gli ufficiali non restavano mai a lungo nel SAS. In parte perché il regolamento lo vietava, in parte perché puntavano tutti verso pascoli più verdi. «E la figlia fa la cabarettista» sogghignò Mike. «La stand-up comedian. Ho deciso che preferisco non sapere che cosa dice durante i suoi spettacoli, potrei scoprire che in fondo tengo per l’ISIS». Risero tutti. «Bene. Il nostro compito sarà seguirla nella prossima tournée. Ogni sera un nuovo locale. Una squadra di sorveglianza dell’SO15 terrà d’occhio con discrezione entrate, uscite e strade limitrofe, sempre l’antiterrorismo si occuperà dell’indagine in quanto tale, ma sta a noi non far ammazzare la figlia di Yates. Saremo in abiti civili e passeremo per membri del suo entourage. Equipaggiamento: credo che ci basteranno delle semiautomatiche di vostra scelta, qualche flashbang per sicurezza. Giubbotti di teflon leggeri. L’attentato precedente è stato portato all’arma bianca da un non-professionista. A meno di non ricevere nuove informazioni, non dovrebbe essere coinvolta una cellula terrorista. Niente esplosivi, niente armi pesanti». «In pratica non serviamo a nulla» disse Mike. Ryan si strinse nelle spalle. «Però vediamo di non sottovalutare la minaccia. Ci sono fin troppe cose che non sappiamo. E saremo in mezzo ai civili, questa è un’altra possibile difficoltà. Appena Pemberton mi manda le planimetrie dei vari locali, inizieremo a definire l’operazione con l’SO15». «Oh, gioia» borbottò Harry. Ryan la pensava più o meno come lui, ma non lo disse ad alta voce.

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