Brooklyn è di fronte a noi con un bloc notes in mano e una penna. Indossa dei pantaloni di jeans neri e una camicia bianca. Ci guarda sorridente mentre attende che qualcuna di noi si decide finalmente a parlare.
In questo caso ci pensa Kylie, lo osservo mentre trascrive le prenotazioni e non posso fare a meno di pensare a quanto sia affascinante con questi vestiti. Alza lo sguardo su di me e prima di andare via mi fa l'occhiolino.
Sbatto le palpebre più volte e riporto lo sguardo sulla ragazza seduta davanti a me che mi guarda con un sorriso compiaciuto.
"Ecco dove scappava, certo che è strano che lavori, non sembra mancargli soldi. Il cameriere per giunta" rifletto parlando ad alta voce.
"Non lo so neanche io, è abbastanza riservato. Ma è grazie a lui se frequentano questo bar sempre più persone, soprattutto ragazze" mi dice ridacchiando.
"Ecco a voi" ritorna, appoggiando i due bicchieri con del the freddo sul tavolo. Corre da un tavolo all'altro, super indaffarato, lanciando sorrisi capaci di far sciogliere, ad ogni ragazza presente.
"Se continui a fissarlo in quel modo se ne accorgerà, ma posso capirti, non conosco ragazza a cui non piaccia" mi dice dandomi un colpetto.
"Cosa? Spero sia una battuta la tua! Ma ti sembra che possa seriamente piacermi un tipo come lui?" le chiedo scoppiando in una falsa risata.
"Perché no?" mi domanda perplessa, inarcando un sopracciglio.
"Perché è insopportabile, santo cielo, ha la capacità di farmi arrabbiare nel giro di due secondi!" sbotto bevendo la bibita in un sorso solo.
"Eppure poco fa te lo stavi mangiando con gli occhi, ti è rimasta un pó di bava qui" mi dice indicando l'angolo della mia bocca, ed io come una stupida mi guardo nel riflesso del mio cellulare.
"Stai delirando, lo guardavo solamente perché ero curiosa. Nulla di più" rispono agitando le mani all'aria. "Fra l'altro è tardissimo, perciò torno a casa!" aggiungo alzandomi di scatto dalla sedia.
"Va bene, ci vediamo domani" mi saluta con la mano. Esco fuori e un venticello fresco mi travolge. Mi guardo attorno e cerco di fare mente locale per ricordare la strada di ritorno.
Venti minuti dopo riesco finalmente ad entrare in casa, appoggio le mie cose sul divano e mi tolgo il cappotto.
"Papà?" lo chiamo, salendo velocemente le scale, ma in risposta ottengo solamente silenzio.
"Sono tornata" aggiungo alzando il tono della voce, apro una porta dopo l'altra, ma di lui sembra non esserci traccia.
L'ultima stanza rimasta è la sua, non ci entro spesso, anche perché come io ho la mia privacy magari anche lui vuole la sua.
Tiro giù la maniglia e silenziosamente infilo la testa all'interno della sua camera, ma ciò che si presenta davanti ai miei occhi è sicuramente qualcosa che da lui non mi sarei aspettata mai.
Sta sul suo letto, addormentato pacificamente con una donna che non ho mai visto prima, fra le sue braccia.
Stringo labbra e con un tonfo chiudo la porta dietro di me, percorro velocemente le scale ed esco di casa, sentendo un urgente bisogno di avere aria e di stare sola, lontana da chiunque.
Ciò che mi fa più male è il fatto che sembra non volesse farmi sapere di questa persona, che abbia fatto tutto ciò di nascosto da me senza preoccuparsi di parlarne con me.
Cammino senza una metà e senza nemmeno sapere esattamente in che parte della città sto andando, ormai è buio e per la fretta ho dimenticato il cappotto.
Mi guardo attorno e il mio corpo si ricopre di brividi, è devastante rendersi conto di non avere nessuno con te. Qualcuno a cui importi di te, qualcuno che si preoccupi di te, semplicemente qualcuno che ti ami.
Lui mi raccontava spesso che l'amore che aveva legato lui e la mamma non si poteva dimenticare, mi diceva che ogni giorno si innamorava di lei come se fosse sempre la prima volta, e ora mi chiedo se tutto ciò lo prova ancora.
Un fischio mi interrompe e quando mi volto, noto un gruppo di ragazzi poco distanti da me. A causa della poca luce non riesco a vedere i loro visi, aumento il passo impaurita, sentendomi spaesata.
Mi brucia la gola, le mani mi tremano e il mio viso ormai bagnato completamente dalle lacrime è come si stesse congelandoe lentamente per il freddo.
"Dove scappi?" mi urlano, seguiti da una risata.
Non sembrano essere delle persone apposto. Mi guardo un'ultima volta attorno e con le ultime forze che mi sono rimaste decido di correre via.
Percorro strade deserte, finché non arrivo in un quartiere un po' più vivo di Los Angeles. Le macchine sfrecciano veloci e mi è davvero difficile attraversare la strada senza essere messa sotto.
Le loro voci sono sempre più vicine e le immagini di mio padre a letto con quella sconosciuta appaiono senza pietà nella mia mente, solo quando sento un forte rumore di clacson le mie gambe si immobilizzano.
Mi metto le mani davanti alla faccia pronta al peggio, quando sento una voce a me familiare.
"Abby! Si può sapere che ti prende?" mi grida contro, accosta accanto al marciapiede e scende infuriato.
"Dio, stavo per metterti sotto. Ho capito che non ti vado a genio ma ti rendi conto che ho rischiato di finire in galera?" continua a rimproverarmi, eppure non sono stata più felice di ora nel vederlo.
"Puoi portarmi via?" gli chiedo con voce tremante, pregandolo con lo sguardo che non mi lasci sola.
"Forza, sali" mi dice in un sospiro, apro la portiera e mi siedo accanto a lui. Si sentono solo i miei singhiozzi che mi smorzano il respiro.
"Perché stai piangendo in questo modo? Che ti è successo?" mi domanda mentre prende una sigaretta dal suo pacchetto e la porta fra le labbra.
"Io.. Stavo solo facendo una passeggiata ma delle persone che non conosco hanno iniziato a seguirmi, ho tanta paura"
"Non dovresti spostarti cosí tanto e sola per giunta, soprattutto se non conosci la città. In giro è pieno di persone idiote Abby" mi dice lasciandosi andare contro al sedile.
Indossa ancora i vestiti che gli ho visto addosso questo pomeriggio, solamente che ora la camicia è sbottonata fino a metà petto, lasciando intravedere i suoi pettorali.
Arrivati a destinazione scendiamo entrambi senza emettere alcun suono, le luci di casa mia sono accese, segno che mio padre ha deciso di alzarsi da quel letto.
"Che fai lì impalata? Stai morendo di freddo, vai a casa" mi dice osservandomi dal suo giardino, mentre espelle via il fumo.
"Non voglio entrare in casa, rimarrò qui" rispondo sedendomi sul marciapiede, mi circondo le spalle con le braccia cercando di scaldarmi un po'.
"Non ti lascio lì sola, se entri in casa mia però dovrai spiegarmi del perché non vuoi tornare" mi dice da furbo.
Lo guardo per qualche secondo e al solo pensiero di stare al caldo su qualcosa di comodo mi fa alzare subito.
Ignoro le sue occhiate e non appena metto piede dentro, mi butto a peso morto sul suo divano bordeaux.
"Allora?"
"..ho trovato mio padre a letto con un'altra donna, sembrava così sereno. Ti rendi conto che non si è neanche preoccupato di avvisarmi?"
"Oh, tuo padre in fondo è giovane e non c'è da stupirsi se vuole andare avanti con la sua vita. Magari non te l'ha detto perché non ha trovato il tempo"
"No, non me l'ha detto perché non si fida abbastanza di me, come biasimarlo. Gli ho sempre procurato tanti problemi, ha solo voluto evitare l'argomento perché sapeva già che non l'avrei presa bene" ribatto abbassando lo sguardo.
"Che dici? Tuo padre ti adora Abby, sono sicuro che se non te ne ha parlato prima c'è un motivo" mi dice scuotendo la testa.
"No Brooklyn, io lo capisco. Da quando è morta mia madre gli ho sempre messo addosso il doppio dell'angoscia, diceva sempre di stare bene ma so che non è così. Sono un terribile disatro, dove ci sono io ci sono sempre anche i guai" gli dico asciugando velocemente le lacrime.
"Pensala così, le persone troppo perfette finiscono per essere noiose e monotone. Tuo padre ti ama per quello che sei, in tutta la tua imperfezione"
"Sicuramente si farà una nuova famiglia, avrà un figlio con questa donna e si dimenticherà di me, come fanno tutti" dico nel panico.
"Se la storia di Pinocchio fosse vera il tuo nasino sarebbe già dall'altra parte dell'America" mi dice toccandomi il naso con il dito.
"Secondo me si conoscono da poco, è per questo che ancora non ti ha parlato di lei. É comunque un argomento difficile da trattare" aggiunge.
"Eh da quando conosci una persona con il sesso?" gli chiedo incrociando le braccia, nervosa per ciò che ha detto.
"Beh che c'è di male? Magari è stato amore a prima vista" dice scrollando le spalle. "Senti, credo di aver capito il motivo principale per cui stai male. Tuo padre non vuole in alcun modo sostituire quella donna con tua madre, di questo ne sono più che certo. Semplicemente si merita di essere ancora felice, anche lui come te ha bisogno di ricevere attenzioni. Di sentirsi amato, ma ciò non significa che ti metterà in disparte. Tu cerca solo di stargli accanto, anche lui ha bisogno di te come tu ne hai di lui" mi dice con un mezzo sorriso.
"Mi sento una bambina capricciosa" gli dico tirando su col naso. La verità è che riesce sempre in qualche modo a sorprendermi con il suo modo di pensare e di dire le cose.
"Hai voglia di mangiare?" mi domanda alzandosi dal divano, e proprio in quel momento il mio stomaco si lamenta per la fame. Ridacchia e sparisce nella sua cucina spaziosa.
"Perché lavori come cameriere?" gli domando seguendolo come fanno i bambini con le loro mamme, la sua altezza mi fa sentire ancora più bassa di quello che sono.
"Ecco tornata la Abby rompi scatole" borbotta mentre rimane con gli occhi concentrato sui fornelli.
"Tu prima mi hai detto che vado bene nella mia imperfezione, quindi" gli ricordo ripensando a qualche minuto fa.
"Per tuo padre, perché ti deve sopportare comunque. Non ci può fare niente se si è trovato una figlia buffa e impacciata come te" mi dice con nonchalance.
"Stavi iniziando ad essermi simpatico, invece sei il solito stronzo insopportabile di sempre" esclamo con un verso di rabbia.
"Non volevo abituarti ad un me quasi dolce, lo sono solo con le persone che se lo meritano, non con le ragazze arroganti come te" mi accusa, buttando l'acqua nella pasta.
"Bene, sai che ti dico? Io qui dentro con te non ci rimango un secondo di più, me ne torno a casa!" gli grido infuriata, camminando a passo svelto. Mi volto un'ultima volta per lanciargli un'occhiata di fuoco prima di sbattergli la porta in faccia.