La sera, quando torno a casa, le luci sono tutte accese e sento un rumore di pentole che si muovono, segno che mio padre è in cucina.
Decido di evitarlo, afferro le buste che ho appoggiato nel pomeriggio sul divano e mi avvio verso cameria mia.
"Abby" la voce adirata di mio padre mi blocca, facendomi voltare nella sua direzione. "Sto aspettando una spiegazione, dove sei stata fin'ora?" mi domanda, incrociando le braccia.
"Forse quella che si merita una spiegazione fra i due sono io, chi era quella donna che stava sul tuo letto, abbracciata a te?" gli chiedo, imitando la sua posizione.
Per un momento sbianca ed apre la bocca più volte alla ricerca di qualcosa da dire. "Mi sembra di averti detto più volte che non devi entrare in camera mia, ti piacerebbe se io entrassi nella tua?" mi dice alzando il tono della voce.
"Beh anche se tu lo facessi, non mi troveresti nuda, a letto con qualcuno! Sto cominciando a pensare che non hai mai voluto, perché mi hai sempre nascosto delle cose" grido anche io, stringendo i pugni.
"Io.. Pensavo che tu amassi ancora la mamma, pensavo anche che tu ti fidassi di me. Avrei voluto saperlo da te anziché scoprirlo per puro caso, se non fossi tornata così presto, non me lo avresti mai detto. Giusto?" gli chiedo, sentendo gli occhi pizzicare.
"Abby se non te l'ho detto non è perché non mi fido di te, ma perché avevo appunto paura della tua reazione. Sapevo che non l'avresti presa bene" mi dice abbassando il tono della voce.
"Non importa quale sarebbe stata la mia reazione, avevo comunque il diritto di saperlo. Tu ami quella donna?" gli domando, sedendomi sulla scala.
"Ascoltami, se c'è una cosa che non devi pensare mai è che io voglia sostituire tua madre con un'altra donna. Lo so che lo stavi pensando. Il mio amore per lei non cambierà mai e poi mai, e ogni volta che ti guardo negli occhi può crescere soltanto di più. Non posso dirti se la amo, perché questo posso saperlo soltanto con il tempo. Si chiama Sheryl, l'ho conosciuta a lavoro. Sembra una donna apposto" mi dice accarezzando delicatamente i miei capelli.
"Ti voglio bene, papà" gli dico appoggiando la mia testa sul suo petto.
"Anche io bambina mia, e ora vai a dormire che è tardi. Devo chiamarti ogni volta dalle cinque, per far sì che tu mi senta" aggiunge baciandomi sulla fronte, annuisco e raggiungo la mia stanza.
La mattina seguente, mi ritrovo a correre per il terribile ritardo in cui mi ritrovo, non credo potrò cambiare mai. Ma ad aspettarmi sullo stipite della porta d'entrata c'è il bidello più antipatico che io abbia mai conosciuto.
Di solito gli uomini anziani sono dolci, teneri, che vedono ogni ragazza della mia età come una loro seconda nipote. Ma non per lui, tiene sempre il broncio e una scopa in mano.
"Ormai entri alla seconda ora signorina" mi dice con arroganza, lanciandomi un'occhiata. Sbuffo e con molta lentenza percorro il lungo corridoio.
"Eccola qui, l'acidona permalosa" sento dire da l'ultima persona che avrei voluto incontrare in questo momento.
"Brooklyn non rompere, oggi non sono di buon umore" gli rispondo con tono scocciato, proseguendo per la mia strada.
"E quando mai sei di buon umore?" mi chiede ridendo con gusto, come se la sua battuta fosse così divertente.
"Ma perché ogni volta che mi trovo fuori dalla mia aula incontro sempre e solo te? Sono proprio sfigata" borbotto.
"Sfigata non direi, non capita a tutti di incontrarsi con un figo come me, bambolina. Magari è destino" mi dice aprendosi in un sorriso.
"Presuntuoso" lo accuso, puntandogli il dito contro al petto. "Non credo nel destino, sono solo stupide coincidenze" aggiungo, scrollando le spalle.
"E io non credo nelle coincidenze, nulla accade per caso, c'è sempre un motivo a tutto" ribatte, guardandomi in modo strano. Fa un passo avanti, ed uno ancora, e ad ognuno di questi, io indietreggio. Finché la mia schiena non va a sbattere contro agli armadietti.
"Brookl-" non faccio neanche a tempo a finire di parlare, che mi afferra il viso e mi bacia con prepotenza, in un modo che nessuno ha mai fatto. Mi bacia come se non aspettasse altro, aggiungendo la sua lingua. Esplora ogni centimetro della mia bocca, lasciandomi senza fiato.
Si stacca da me il tanto giusto da farmi respirare, il suo naso si sfiora il mio e la sua mano scivola lungo al mio corpo fin al mio sedere, che stringe.
"Dio, se non ti sopporto" mi lamento, solo quando realizzo tutto ciò che è successo, ma non ho scuse valide dato che avrei potuto reagire.
"Si, non ti sopporto neanche io" mi dice passandosi una mano fra i capelli, mentre distoglie lo sguardo dal mio.
La campanella suona e in poco tempo si crea scompiglio fra gli studenti che escono, entrano, corrono, urlano.
"Bene, forse è meglio se vado a lezione" esclamo ridendo per l'imbarazzo, scappo letteralmente da lui finché non arrivo nella mia classe. Lascio cadere la mia borsa sul banco in un tonfo, e mi siedo respirando a fondo.
"Abby, come stai?" mi saluta Chesley sedendosi accanto a me, sempre con quel suo solito sorriso luminoso.
"Dovrei essere io a chiedertelo non tu! Come va con il livido?" gli chiedo, ora che lo osservo meglio posso notare che pian piano sta sparendo ma comunque è ancora ben visibile.
"Bene, ormai neanche ci faccio più caso" mi risponde, tirando fuori l'occorrente per la lezione.
"Che fai sta sera? Hai impegni?" mi domanda, guardandomi.
"Emh si, no! Cioé non lo so, perché mi chiedi se ho impegni?" esclamo con il tono della voce fin troppo alto.
"Sta tranquilla, volevo solamente chiederti se ti andava di uscire con me questa sera" mi risponde con tale calma, più lo guardo, e più so per certo che non riuscirò mai a dirgli di no.
"Emh.. Questa sera? Va bene" sospiro, distogliendo lo sguardo.
"Non vedo l'ora, fatti trovare pronta per le otto, ceniamo fuori se non ti scoccia" mi dice senza staccare il suo sguardo dal mio.
"Già anche io, sarò puntuale" rispondo forzando un sorriso, prendo una penna a caso dal astuccio e pasticcio il foglio del mio quaderno. Dovrei seriamente concentrarmi sulla lezione, eppure in questo momento nella mia mente c'è ben altro.