III

2534 Words
III “Novità?”, si sente allegramente domandare Mario al cellulare. Ha visto il numero sul display e non si è stupito. Guarda l’orologio segnare le otto e venti del mattino e intanto preme il tasto dell’ascensore per salire al terzo piano. Dai vetri dell’ingresso un sole sfacciato per la stagione picchia duro sui marmi screziati Rosso di Francia della hall. “Oila! S’è messo in moto il trattore... vero? Il ‘Mastino’ de ‘La Stampa’... fammi pensare... non ricordo se eri un mastino o un segugio?”. “Sai, ne parlavo ancora l’altra sera con Mercedes”, butta lì. “Proprio non capisco la ragione di questo insieme di cose... l’avessero freddato con il solo colpo di pistola, la faccenda non mi avrebbe intrigato così tanto”. “Hum...”, è il mugugno nel ricevitore. “Dici che lo hanno fatto di proposito? Intendo gli assassini... Secondo te, pensi che abbiano voluto inviare un avviso ai naviganti?”. “Quindi ti sei buttato a capofitto?”. “Capirai! Non è roba che trovi al banco del mercato tutti i giorni”. “Ho detto che ne dovresti parlare col capitano Lodetti”, gli risponde, “so che i suoi uomini stanno lavorando duro e che della cosa hanno interessato anche quelli del Comando provinciale... e questi a loro volta hanno inviato due... diciamo due specialisti. È notizia di ieri sera. Dovrebbero già prendere le consegne stamane”. “Specialisti? Ma allora...”, insiste. “Allora vuol dire che hanno già un indirizzo sui cui muoversi, una pista ormai delineata!”. “Ti suggerisco di parlarne con il comandante”, cerca di defilarsi Mario, “io dopo il rapporto presentato all’Arma, come dire... ho terminato il mio lavoro”. Al terzo tentativo a vuoto, il medico decide per una sgambata tonificante salendo per le scale. Anche se le trova ancora bagnate. Chi se ne impippa! Ripasserà, la pagano per quello. “Mi sono limitato a suggerirgli le mie considerazioni sul caso”, prosegue. “Presentate quelle, per me il caso è chiuso”. “Chiuso”. “Sì, nel senso che presentate le mie osservazioni... Il tutto è in mano agli inquirenti”. “Sai meglio di me che il capitano Lodetti è uno molto, ma molto, abbottonato... una persona seria”, gli fa Ferrero. “Francamente non ce lo vedo a farmi da passafogli e cantare come un canarino... giusto per fare un favore all’informazione”. “Non gliene frega niente di giornalisti e informazione”, dice, “quello butta giù il testone e inizia... e meno rompicoglioni ha intorno meglio è!”. “Quindi mi rimani solo tu”. “E questa è la ragione della telefonata, vero?”. “Vero”. “Cosa vuoi sentirti dire?”, gli domanda con un filo di dispnea nella voce. “Dovresti prendere l’ascensore... sai, alla tua età”. Giraudo cerca il mazzo di chiavi in tasca, da tre mandate ed entra nello studio. “Io posso darti lo start, segugio del menga, poi tu devi sciogliere tutti i tuoi neuroni per conto tuo”. “E dammi ’sto start, allora”, sogghigna. “Poi mettiti seduto, tira il fiato e beviti un bicchiere d’acqua”. “Sì ma poi tu non andare a pestare i calli a Lodetti”, si raccomanda. “Non è che gli strombetti che io so questo che io so quello... ti fai i cazzi tuoi, vai avanti per conto tuo”. “Andrò avanti per conto mio”. “E senza infilarti in un continente di guai”. “Starò attento mammina”. “Conoscendoti ne dubito”. “Giurin giuretta”. Mario indugia un attimo gettando la ventiquattrore e il quotidiano sulla poltroncina. La macchinetta del caffè è ancora spenta e gli verrebbe di tirar giù due parenti stretti del padreterno. Ne aveva proprio bisogno. Quelli giù al bar all’angolo ne fanno uno che sembra catrame, mentre questo a cialde, al confronto, è un colombiano autentico. Maledizione alla donna delle pulizie e al suo vizio del risparmio energetico. Che cacchio le viene in mente di spegnere il tasto. Si limitasse a bagnare il ficus. Va’ lì che roba! Sembra che l’ultima acqua l’abbia vista durante il diluvio universale. Apre una bottiglietta di minerale dal frigobar e gliela versa. “Ci sei ancora?”. “Eccomi...”. “Con calma... con calma, tanto la chiamata è a mio carico”. “Una volta ero io il pitocco”. “Lo sei tuttora, McTaccagn!”. “Sai.. c’è una cosa... i sassi non sono quelli della massicciata della ferrovia”. “Vuoi dire che li ha mangiati da un’altra parte?”, gli sbatte lì incredulo. “Una volta estratti, ancora bagnati di saliva erano grigio scuro, praticamente identici a quelli della ferrovia”. “È questo lo start?”. “Una volta asciutti invece si sono schiariti... parecchio”, prosegue. “In più hanno altre striature... sono diversi, e... non sono mica geologo ma ho ancora una buona vista!”. “Quindi il lavoro di macelleria è stato svolto sul posto, visti i segni di accetta sulle traversine, mentre la cena gli è stata offerta altrove”. “Sembrerebbe”, commenta laconico Mario. “Ma che senso ha?”, domanda Giraudo “Probabile che siano dello stesso luogo dove gli hanno sparato”. “Ma continuo a non comprendere la necessità di trasportare il corpo fin sui binari e tranciargli le mani di netto proprio lì”. “Non capisco”. “Neppure io”. “Un pietrisco del genere non saprei dove andarlo a trovare dalle nostre parti”. “Qualche cava nei dintorni?” “Se scavi qui da noi ci trovi sassi. Sassi belli tondi. Mica pietrisco”. “Sassi tondi di golena... roba dello Scrivia”. Dante ci pensa su. Si guarda intorno. Seduto sulla panchina dei giardinetti gli manca la Mercy di due sere prima, gli manca il Cinese, ma c’è un bel sole. Guarda la curva che infila la salita del Peano e picchia in alto. Sui bricchi. Sì. Sui bricchi. Esagerato! Però è roccia. Santiddio, è roccia! Genio! “Non è detto. Mario... non è detto”, conclude soddisfatto di sé. “Torno a casa, indosso la mia divisa da boy scout, scarponcini da rocciatore e picozza... faccio il Mario Tozzi di Geo & Geo”. “La Giovane Marmotta”, si sente dire, “che poi evita le sgambate fin su a Vho con la scusa dell’età”. “Sai... Noi vecchietti...”. “Sta’ attento al cuore, pirla!”. “Grazie dell’incoraggiamento” e chiude la chiamata. La sera, Mercy lo ritrova sotto la doccia. Lui appena rientrato dalla missione geologica. Lei dalla sua stancante giornata trascorsa negli uffici in corso Strada Nuova, angolo Lungoticino Sforza, a Pavia. Segretaria di fiducia del dott. Alessandrini dello Studio notarile Peretti e Associati. Terzo piano e vista mozzafiato su Ponte coperto e fiume. Quasi le viene da svenire a guardare il mucchio di panni sudato e sporco ammassato nell’antibagno. “Dalla puzza sembra che da qui sia passata la carovana di cammelli del circo Orfei”, alza la voce dalla porta vetro. “Un attimo che esco... mi preferisci sexy con un pareo o completamente nudo?”, le risponde frizionandosi la testa con lo shampoo. “Ti preferirei meno scemo”. Dante spunta dalla porta socchiusa con i capelli ancora fradici e sorride. “Ma sono ancora un bello spettacolo oppure no?”, si esibisce muscolare. “Mi profumo solo per te...”. “Meglio così dato che qui sembra di essere in sala mungitura”. “È stata una camminata d’inferno”, le strizza l’occhio. “Hai ripreso a far sport perché ti chiamo Ciccio di fronte agli estranei?”. “No! Oggi sono andato in collina per sassi. Sì hai capito bene. Per pietre. Rocce! Quella roba lì!”. “Vestiti mentre ti preparo un primo”, taglia corto Mercy. “A cena mi racconti”. Le mezze penne sono senza pretese, così smorte nel loro guazzetto di crudo olio d’oliva, tracce di peperoncino sparse come macchie di scarlattina e una leggera nevicata di grana. L’insalatona mista ancora meno, coi suoi cubetti di Philadelphia anemico ribaltati tra le sottili fettine di rapanello alla julienne, rucola e mais. L’estremo tentativo della Mercy di fargli perdere quei due o tre accenni di salvagente che si ritrova al girovita, che a saperlo si imbucava a cena al convento dei frati cappuccini su alla Salita. Almeno quelli un piatto di minestra con la cudega... Sospira. La cotenna. E dicono che giù in cantina hanno un lardo che a Colonnata se lo sognano di notte. Solo il vino si salva. Anzi eccelle. La Romba c’è scritto sull’etichetta. Il croatina profumato della Colombera. Buono che quasi si schifa di accompagnarsi con quei piatti miserabili. “Com’è stata la gita?”. “Sfiancante”. “Intendevo dire... cosa sei andato a fare, che dai vestiti sembra che hai scavato il Frejus”. “Sono andato per rocce... sai c’è chi va per funghi, chi a lumache...”, le sorride e ruota il bicchiere rosso rubino alla luce. “Fai bene a coltivare un hobby”. “È che mi è venuta l’idea di scoprire l’origine delle pietre che si è ritrovato in bocca quel povero ragazzo”. “Per fare che?”, gli domanda invitandolo ad un brindisi. “Farsi venire un’idea di dove è stato ammazzato... magari anche perché?”. La guarda intenerito pensando che è proprio bella e che un po’ gli è scappata la voglia di star sempre lì con la testa su quel Baroni prima che diventi un’ossessione. Mercy resta in aspettativa. “Mario sostiene che non sono pietre delle nostre zone, ma pensava solo ai sassi di qualche scavo giù in pianura, così a me è venuta in mente una gita su qui per le colline, giusto per vedere se la tipologia di materiale poteva assomigliare a quelle che gli hanno trovato in gola”. “Trovato qualcosa?” “Mah sì... domani cerco di farle avere al nostro cavabudella di fiducia... vedere se gli somigliano”. “E se fosse?” “Non so... vediamo, non è che ho un piano preciso... ma almeno questa può essere una traccia, da qualche parte dovrò pure iniziare”. “Altre fonti...?”, si lascia scappare. “Ma va’... Figurati se dal comando si lasciano scappare una notizia”. “E quel tuo amico?”, gli chiede candida. “Mister Ics?”. “Ah... il Gaeta! Mister Sotuttoio... Veramente è il capitano Ipsilon”, inforca un quadrotto di formaggio al gusto di bicarbonato, “di solito è lui che si fa vivo appena ha qualche dritta, se non si fa sentire vuol dire che stavolta dalle finestre della stazione dei caramba non escono neppure gli spifferi”. Scosta schifato da un lato il piatto tricolore e finisce il vino. Due righe di televisione a gambe stese e piedi sul tavolino. La luce azzurrina del monitor riflette nell’oscurità sulle palpebre che faticano a restare aperte dopo la scalata agli Appennini dietro le mura del castello. Ha lasciato nel bicchiere anche due dita di Lagavulin prezioso come un conto alle Bahamas. Mercedes ordina in silenzio i piatti nel cestello e si concentra sul programma della lavastoviglie. Non le va di disturbarlo. Poi ci ripensa. “Stai dormendo?” “No... ho solo una stanchezza infinita”. Sbadiglia, tasta alla ricerca del telecomando e gira su una tv locale. “Sai... stavo pensando a quando si terranno i funerali di Baroni?”. “Tra due giorni”, le risponde. Afferra il bicchiere e butta giù in un fiato. “Mario ha terminato l’autopsia e gli inquirenti, letto il referto, sembra abbiano già dato il nullaosta”. “Ok”. E dalla cucina non arriva più nessun altro segnale. Solo il leggero ticchettio della sveglia mentre la speaker nel riquadro della TV muove le labbra. “Perché me lo chiedi?”. “Ci dovresti andare”. “Ma dove cacchio mi vuoi cacciare?”. “Al suo funerale”. “Ma se neanche lo conoscevo? Che ci vado a fare?”. “A curiosare... discretamente, con la delicatezza della farfalla che ti contraddistingue”. “Ecco! Non bastava quel rompicoglioni a prendermi per il culo! Adesso arriva anche la farfalla!”. “Dai scherzo”, fa la finta imbronciata. E per farsi perdonare si fa avanti con la camminata da passerella e gli si siede sulle ginocchia. Poi lo abbraccia e gli schiocca un bacio all’orecchio che gli fischia. “A curiosare, eh?...”. “A curiosare”, conferma con un sussurro. “Immagino ci saranno suoi amici, gente che frequentava... Magari ti fai un’idea muovendoti sul posto. Guardi facce. Scambi due chiacchiere con qualcuno”. “Scopro le sue abitudini, il suo giro, dove bazzicava, con chi”. “Ecco!”, dice mentre gli gira con l’indice un ricciolo tra i capelli. “Sarebbe un bel colpo di cu... di fortuna se riuscissi a mettere le mani su qualche suo amico intimo, una mezza morosa, qualcuno del suo partito”. “Del suo partito?”. “Ma sì, insomma, sembra che fosse simpatizzante per una certa sinistra... sai roba da centri sociali, come diceva Mario”. “E lui come lo ha saputo?”. “Due verbi e due aggettivi sfuggiti, chissà come, dalle labbra blindate del capitano Lodetti”. Le posa una mano sulla coscia. “Che se poi il capitano ha avuto già modo di interrogare qualcuno di questi, o se campanano di avere i fari puntati addosso mi sa che al funerale non trovo neanche la loro ombra”. “Ma tu invece ci vai lo stesso e inizi a curiosare”. “Agli ordini capo! Mahhh... invece non ci sarebbe niente da curiosare qui? Adesso?”. Pontecurone è livida. Sembra aver indossato l’abito da cerimonia. Il cielo è un piombo di quelli che se cade in testa fa danni, e piove un’acquerugiola di quelle fastidiose che non ti sai decidere se è meglio aprire l’ombrello o far finta di niente. Però intristisce. È arrivato tatticamente in ritardo a funzione già quasi terminata. Davanti al corteo, il carro funebre muove lento sul sagrato alla volta del cimitero. E dietro alla corona in roselline bianche sfilano i parenti stretti, seguiti da una marea di gente. Sarà perché era giovane. Sarà perché qui ci si conosce un po’ tutti. Di giovani della sua età una trentina almeno. Ma tutti in abiti seriosi, giacca e cravatta. Niente che porti Dante a pensare di poterli catalogare alla voce “estrema sinistra”. “Figurati se qui se ne faceva vivo uno!”, borbotta tra sé, sbirciando l’angolo tra via Roma e Santa Maria delle Grazie. “Sei nel posto giusto ma stai guardando nella direzione sbagliata”, gli fa eco alle spalle la voce inconfondibile del miglior agente segreto ultrasettantenne. Si volta mostrando un muso da sorpresa e saluta il Gaeta portandosi due dita al sopracciglio e quello gli fa un cenno interrogativo semplicemente con uno scatto della testa. Non muove un altro muscolo. “Seguo il funerale”, sembra giustificarsi Dante. “Ma se neanche lo conoscevi”. “Invece tu scommetto che ci giocavi a briscola tutti i giorni”. “Non sono qui per il funerale, io”, replica spazientito. “Sei qui perché hai la fidanzatina a Pontecurone”. “Dante, cerca di farla finita!”, replica. “Sono qui perché sapevo che ti avrei trovato”. “Quindi hai novità”. “Ne ho quanto te”, guarda di sguincio Dante da sotto la coppola, “so che stai seguendo il caso per tuo conto, che te ne stai alla larga dall’inchiesta ufficiale, e so pure che della cosa non hai scritto più di due righe per il tuo giornale”. “Mi piacerebbe vederci chiaro... ho preso interesse per questa storia”, risponde. “Ci sono tante di quelle curiosità che nemmeno immagini, ma intendo scriverci a storia finita”. “Immagino... immagino... intanto giochi a fare il detective”. Ferrero si ripara appoggiando la schiena alle mura in cotto della chiesa e si tira su il colletto del giaccone. “Cosa vuol dire che guardo nella direzione sbagliata, vecio?”. “Che ti ho trovato qui perché stai cercando di capire chi era Fabio Baroni”. “E te lo sai?” “No, ma magari troviamo qualcuno che lo conosceva bene. Vieni ti offro un caffè”, lo invita spingendolo per un gomito indicandogli un’insegna poco più avanti. “Non so come lo fanno qui al bar della Soams, ma può darsi che ci trovi informazioni utili”. Il capitano Ipsilon si ferma al bancone del bar e ordina un caffè ristretto e un marocco senza spolverata. Appoggia un gomito sul banco e col fare dell’esperto agente del Mossad rigira appena gli occhi indicando l’angolo del biliardo. quattro giovani stanno seduti su una panca. Una ragazza dai capelli rossi e ricci è in piedi a fianco di un biondo dalla barba incolta alla Che Guevara e altri due stanno seduti a gambe accavallate sulla sponda del tavolo da gioco. Il portalampada in bachelite verde con la scritta gotica Hermelin spruzza appena una luce soffusa sui loro musi scuri. Nessuno parla. “È gente che non si fa vedere alle cerimonie”. “Conosci gli amici di Baroni? Da quando in qua giochi all’estero e conosci il giro dei ragazzi di Pontecurone? Tu, poi, che hai l’età di una tartaruga in pensione”. “Non è gente di Pontecurone. Forse l’unico di Ponte era proprio Baroni. Sono di Tortona... quasi tutti almeno... Tranne il moretto, quello magro con i capelli a spazzola seduto sul biliardo... quello dev’essere di Sale”. “Ma come cazzo fai a sapere tutte queste cose?”, gli chiede a denti stretti. “Soffro d’insonnia, di notte non chiudo occhio”, resta a riflettere. “E nemmeno di giorno”. “Vaffanculo Gaeta!”. “Allora me lo ha detto l’uccellino... va meglio così?”, sbuffa spazientito, buttando giù il marocco. “E comunque non te ne deve fregare niente da dove mi arrivano le info”. “Mi costerà il supplemento di un centone almeno, vero Ipsilon?” “Non ti costerà niente. Solo che dovresti imparare ad essere più agile nelle indagini”. “Dovrei farci due chiacchiere con quei bulli”. “Non credo sia il momento”. “Quelli sono gli amici della sinistra extra?...”, gli domanda a mezza bocca Ferrero cercando di non incrociare i loro sguardi. “È un gruppetto che, per quanto ne so, si ritrova ogni tanto ai giardini di fronte alla stazione. altre volte li incontro in piazza Allende... non credo abbiano una loro sede, un ritrovo fisso”, rilancia evasivo. “Una cellula marxista-leninista a Tortona... pensa te!”, ci scherza il Dante. “Ma non dire stronzate, Ferrero”, ribatte cercando la moneta nel borsellino. “No Tav, questi sono organizzati come un gruppo No Tav... Hai presente i tizi a cui non va giù che qualcuno speculi sull’ambiente e sulla salute della gente solo per farsi i propri porci comodi e potersi arricchire da far schifo? Ecco! Quelli!”. “Ohi, Gaeta”, ride, “stai parlando anche te come un No Tav! Te ne sei accorto?”. “Può essere, Ferrero... Può essere. Sai la gente ne ha un po’ pieni i coglioni”.
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