Chapter 3

2962 Words
3 Abbracciami Guardandomi nel lungo specchio del piccolo bagno stipato di roba, sospiro alquanto scoraggiata. Non voglio andare contro i vestiti scelti da Vi perché lei ha stile, quindi soprassiedo… ma solo per questo. Dimostro meno dei miei ventidue anni, con i miei occhioni color nocciola e le ciglia lunghe. Di sicuro non aiuta il leggero velo di lentiggini, e comunque mi sono sempre vista carina, ma mai uno schianto o una bomba sexy. Ho un aspetto un po' più presentabile, ma non riesco a cancellare del tutto l'aria di una che non dorme da settimane. E nonostante gli abbondanti strati di mascara, permane un leggero sguardo omicida. Una serata fuori è quello che ci vuole, mi convinco mentre mi piastro i lunghi capelli castani che ricadono sulla schiena. Gli occhi marroni sono coperti di ombretto luccicante grigio scuro e kajal nero, e le ciglia allungate e infoltite dal mascara nerissimo. Un leggero strato di fondotinta copre le lentiggini e un velo di lucidalabbra mi fa sembrare umana, più o meno! Quando si chiuderà questo buco nero che ho nel petto? Non parlo con Harper da quella sera, e mi chiedo se mi stia pensando. Meditando sui bei tempi andati, Harper sapeva quanto mi mancassero i miei amici e la mia famiglia, e mi aveva sorpresa con due biglietti aerei per una breve vacanza a casa, le poche ferie che aveva. Ero felicissima, ma guarda com'è finita. Sì, sono a casa, ma da sola. Mi sono trasferita a Singapore con Harper per essergli di supporto nella sua scalata al successo ma, per fare questo, ho dovuto accantonare i miei sogni e i miei obiettivi di vita. Non mi dispiaceva, però, perché sapevo quanto fosse importante per lui, e le relazioni richiedono sacrificio. Ma quanto sono stata ingenua? Non è mai stato il mio sogno trasferirmi dall'altra parte del mondo. Però lo amavo da morire e lui mi ha portata a credere che i suoi obiettivi di vita fossero di conseguenza anche i miei, perché ci avrebbero portato molti benefici nel nostro futuro insieme. Perciò, ho smesso di sognare di diventare una chef rinomata nel momento in cui ho mollato il Culinary Institute of America a Graystone in St. Helen, California, per seguire Harper a Singapore dove non conoscevo nessuno e non avevo amici. Ma Harper mi aveva fatto credere che avremmo vissuto il nostro sogno. Aveva trovato il perfetto lavoro per sé, un grazioso appartamento nella zona commerciale del centro, e io gli avrei fatto da segretaria. Una volta arrivati, di certo non era come mi aspettavo. L'appartamento in realtà era un monolocale situato sopra una lavanderia automatica aperta ventiquattro ore e frequentatissima durante tutte le maledette ore. Il lavoro che Harper mi aveva trovato era qualcosa che avrebbe potuto benissimo fare una scimmia mentre si incipria e fuma una sigaretta. Archiviavo file e facevo commissioni per tutti, ma non mi dispiaceva, perché così potevo stare sempre con Harper. Stava rincorrendo il suo sogno, che razza di fidanzata sarei stata a non condividerlo con lui? Dopo poco tempo, il rumore costante delle asciugatrici aveva iniziato a cullarmi come una ninna nanna, e anche la monotonia del lavoro iniziava a piacermi. Dopo soli sei mesi, Harper era stato promosso. Era eccellente nel suo lavoro, e l'azienda aveva notato tutte le sue potenzialità. Era sempre impeccabile nei suoi completi stirati e le cravatte abbinate alla perfezione, il suo sorriso sfacciato, i capelli color sabbia lisci all'indietro e la mascella virile, attiravano lo sguardo di gran parte della popolazione femminile. Quei meravigliosi ed enormi occhi blu avrebbero convinto un vegetariano a divorarsi una bistecca e pure cruda, se era questo che Harper voleva. Non gli interessava che molti favori gli fossero concessi per via del suo aspetto così attraente, perché per ottenere quello che voleva, Harper avrebbe venduto sua madre. Ma lo amavo. Amavo la sua determinazione e ora, guardando indietro, mi rendo conto che era solo un dominatore del cazzo. Almeno lo fosse stato a letto! Sceglieva i posti dove andare a mangiare, i nuovi amici da frequentare e, a volte, anche cosa dovevo indossare. Manipolava le situazioni e poi faceva sembrare che fosse stata una mia idea. Col senno di poi, avrei dovuto parlarne apertamente, ma per lui non esistevano i pareri contrari ai suoi. Se facevo una domanda, si finiva inevitabilmente per litigare, e non era certo quello che volevo. Quindi, per prevenire qualsiasi discussione ed evitare litigi, mi sottomettevo andando contro la mia stessa natura, perché non sono una persona passiva quando si tratta dei miei princìpi. Ma per Harper lasciavo perdere. Certo che l'amore è proprio cieco! «Basta con questi piagnistei e muovi il culo!». Giuro, questa donna ha poteri extrasensoriali! Ne ho abbastanza di pensieri deprimenti, mi guardo un'ultima volta allo specchio e sospiro. «E basta con questi sospiri, che le scarpe ancora non fanno così male», brontola Vi mentre esce. «Che il fallimento abbia inizio, Ava!», mormoro tra me e me. Se solo avessi saputo quanto mi stavo sbagliando. *** «Pensi che sorridere un po' potrebbe ucciderti?», ridacchia Vi non appena usciamo sul marciapiede. Coi tacchi a spillo siamo alte uguali e finalmente posso vedere il mondo come lo vede lei, e vorrei anche vederlo tutto rosa come fa lei, perché forse questa terribile sensazione di disperazione, solitudine e nostalgia sparirebbe. Devo assolutamente uscire da questo mood ed essere felice per la mia amica. Durante i venti minuti di taxi, si muove di qua e di là tutta eccitata, mentre mi spiega che Lucas è ormai ufficialmente "materiale da fidanzamento", per dirla con le sue parole. Faccio del mio meglio per sorridere, tenendo conto che dentro non sono di certo dell'umore giusto. «Ecco, adesso il tuo sguardo sembra mezzo assassino e mezzo da pazza». «Ah, ah. Non credevo ti fossi data al genere comico. Deve essere tutto quello sbaciucchiarsi con Lucas che ti ha cambiata», rispondo mentre voltiamo in una stradina deserta per raggiungere la nostra destinazione. Questa parte della città era fiorente negli anni Sessanta, piena di ninnoli per turisti e negozi particolari. Adesso è stracolma di takeaway cinesi, banchi dei pegni e, grazie al cielo, ancora qualcuno di quei negozi particolari di quegli anni, che io e Vi frequentiamo abitualmente. Quello che la gente considera bizzarro o inaccettabile per la moda, io e Vi lo consideriamo vintage. Osservando il suo strepitoso abito, le chiedo: «Dove l'hai preso questo? È favoloso, voglio andarci anch'io al più presto». Vi fa una piroetta come le modelle, sfoggiando il suo abito leopardato. «L'ho preso in un negozio carinissimo vicino allo studio. Pensa, posso fare tatuaggi e shopping, tutto nello stesso quartiere. La vita di una ragazza non è davvero completa se non può accedere alla moda in qualsiasi momento voglia». Rido e mi appunto mentalmente di andare in quel negozio. Un po' di terapia dello shopping cura tutti i mali, no? Girando l'angolo, vedo la nostra destinazione illuminata da un'insegna al neon ronzante, che raffigura una graziosa marinaretta con un Martini in mano. Questo posto ha cambiato più proprietari di quel che mi ricordi. È passato dal punk, al gotico, al rock, fino a diventare quello che è oggi: un posto affollato di band locali che fanno concerti, bevono a poco prezzo e mangiano cibo abbondante. Dall’ultima volta che ci sono stata, l'esterno è stato pitturato di nero, ha cambiato il nome e, incredibile ma vero, anche il proprietario. Amo questo posto. Ho tanti ricordi di me e Vi che, appena sedicenni, sgattaiolavamo dentro per goderci la scena gotica. Eravamo davvero hardcore. Al piccolo ingresso ci sono due enormi buttafuori, e ringrazio che questi energumeni non ci fossero quando eravamo ragazzine. Non ce l'avremmo mai fatta a entrare. Ora, a ventidue anni suonati non ho nulla da nascondere, anche se controllano i documenti a entrambe. Quando usciamo accade spesso, ed è una bella sensazione sembrare ancora minorenne. Con un secco cenno del capo, il buttafuori ci fa entrare e sorrido mentre mi guardo intorno. Il posto non è cambiato affatto e anche l'odore è lo stesso, forse con una sfumatura in più di sudore, dovuta con tutta probabilità all'estate afosa. Che schifo! L'enorme pista da ballo è sempre la stessa, tutta consumata dalla miriade di piedi che negli anni ci ha saltato sopra. Il palco ora è su un piccolo podio contro il muro in fondo e, da una parte, alla sinistra del palco, ci sono le silhouette di una donna con un ombrello e un uomo con una mazza da golf che indicano i bagni. A destra, il bar gigantesco illuminato al neon è affollato di habitué assetati, che aspettano impazienti di essere serviti mentre ballano Arms di Christina Perri, sparata a palla dalle casse. Gli alcolici sono in mostra sulle mensole dietro al bancone. Tavoli e sgabelli sono sparsi qua e là per il resto del locale. È piccolo ma accogliente e, con tutta quella gente accalcata, sembra troppo pieno. C'è qualcos'altro di diverso al Little Sisters, oltre al proprietario. Il personale del bar è cambiato, e ora capisco il nuovo nome, che è più che azzeccato. In pratica, i proprietari hanno assunto tutte le sorelline che potevano trovare, le quali, a loro volta, hanno fatto razzia dei vestiti più succinti delle loro sorelline! Non ho mai visto tanta carne esposta al bancone di un bar. Immagino le mance! Vi mi distoglie all'improvviso dai miei pensieri scandalizzati con uno strillo che mi spacca i timpani. «Ma cosa…?», chiedo girandomi verso di lei, che però è già scomparsa. Intravedo la sua schiena mentre salta addosso a un tipo alto con l'aria da palestrato. E chi cazzo è questo, mi domando, mentre Mr X è tutto elettrizzato nel vederla. Indossa pantaloni larghi da skater e una canotta da basket, con stampato su un enorme numero dodici, che mostra i suoi bicipiti minacciosi. Ha i capelli un po’ lunghi, cioè ha un taglio spettinato – credo si dica così – e sono di un castano scuro con riflessi ramati. Di nuovo mi domando chi sia questo tizio misterioso, perché Vi gli si è appena avvinghiata alla vita. Non può essere lui. È lui? Noo… Lucas? A giudicare da come si baciano credo proprio che sia lui. Non avrei mai immaginato che la mia amica, che si ispira a Bettie Page, definisse uno così il suo tipo. Be', Ava, sarebbe meglio pensassi per te, visto che non sei proprio la migliore in quanto a scelte. Quando Vi gli morde il collo teso, distolgo lo sguardo, a disagio per le loro eccessive manifestazioni di affetto. «Ava!». Sento che mi chiama, ma magari, se rimango a fissare il muro come se fosse la risposta a tutti i miei problemi, mi lascia in pace. «Ava!». Cazzo, questa donna è come un pittbull. Mi giro e la vedo che mi fa cenno con la mano di unirmi a lei e Lucas… Dio, fa' che sia Lucas! Sospiro e mi avvio verso di loro, sperando che per un po' se ne stiano buoni, essendosi scambiati talmente tanta saliva da avere le bocche prosciugate. Con i tacchi così alti fatico ad andare spedita e mi ci vuole un po' per raggiungerli. Perché ho la sensazione che questa sia la camminata della vergogna? Lo so che Vi ha detto tutto di me a Lucas, e all'improvviso mi vorrei sotterrare. Tuttavia, prima che possa concepire un nuovo pensiero, mi si ferma il cuore in gola quando intravedo, dietro i fidanzatini, un paio di occhi cerulei – i più belli che abbia mai visto – che mi guardano incuriositi. Il tizio, con la mascella squadrata ricoperta da una leggera barba, mi osserva divertito con la testa inclinata da una parte. Mamma mia! Su quel viso, che non è di questo mondo, cadono disordinati i capelli bruni. Sono lunghi dietro e corti ai lati, e sta passando le dita tra quella frangetta scomposta, arruffandola ancora di più. A momenti muoio soffocata dalla mia stessa saliva. Porca puttana! E chi è questo tizio che mi fa sbavare così? Mentre cerco di non fissarlo in modo troppo evidente, inciampo – maledettissimi tacchi – e per fortuna mi aggrappo al bancone e non cado. Oddio! Vi prego, uccidetemi adesso! Alzo lo sguardo e noto che fa uno scatto per venirmi ad aiutare. Per fortuna, Vi è lì che mi offre la spalla prima che possa cadere a bocca in avanti e fare una figura di merda colossale. «Lucas, posso presentarti la mia migliore amica nell'universo, che sa di certo come fare un'entrata trionfale? Lei è Ava», dice ridendo. Faccio un vago cenno con la testa in segno di saluto, mentre ancora sono abbarbicata al bancone. Mi guardo intorno. So di essere molto scortese nei confronti di Lucas, ma non riesco a focalizzare l'attenzione su di lui. Dov'è andato Testa Arruffata? Vi si schiarisce la voce. Sono fuori di testa, non riesco a dire una parola, tanto ho la gola secca. Cala un silenzio imbarazzante dovuto alla mia reazione, o meglio, alla mia non reazione di fronte al nuovo ragazzo della mia migliore amica. Vi si schiarisce di nuovo la gola, questa volta in maniera abbastanza eloquente. Mi schiaffeggio mentalmente e mi riprendo. «Ehi, Lucas, è davvero un piacere conoscerti». Allungo la mano per salutalo. Ma la sua, enorme, inghiotte la mia e mi tira verso di sé intrappolandomi in un caloroso abbraccio. Barcollo e quasi soffoco mentre, a disagio, gli faccio pat pat sulla schiena. Sono una frana nelle presentazioni. Può esserci una situazione più imbarazzante di questa? Dopo avermi tenuta in ostaggio tra le sue braccia di acciaio, Lucas molla la presa. Mi riguardo intorno furtiva, alla ricerca dell'uomo misterioso… che ora è in piedi proprio di fianco a Vi. Non riesco a non fissarlo con la faccia da ebete, ma che cazzo mi succede? Vi si gira verso il punto che catalizza la mia attenzione e sogghigna. Oh no! Conosco quello sguardo. «Ehi Jasper, come butta?». Dirigo lo sguardo dalla mia amica a Jasper (il fantasma ceruleo ha un nome!). Jasper mi fa un mezzo sorriso e risponde con una scrollata di spalle: «Tutto okay, mi sto un po' rilassando prima dello spettacolo. Chi è lei?», domanda facendo un cenno verso di me con la testa, mentre una ciocca di capelli gli cade sugli occhi. Cioè, sta chiedendo chi sono io. Pavimento, ti prego inghiottimi prima che io muoia di imbarazzo! Vi ghigna di nuovo e credo che la ucciderò! «Jasper, questa è la mia migliore amica. È da poco ritornata da Singapore a vivere qui, dopo una brutta rottura col suo ragazzo, e ora è single. Si chiama Ava». Bene, andrò in galera per omicidio. Guardandola malissimo mentre lei sorride beata, mi riprometto di fargliela pagare presto. Riesco a fare mezzo sorrido, mentre quasi soffoco per la vergogna e, a giudicare dal sorrisetto stampato sul viso di Jasper, sembra che vedermi imbarazzata lo diverta molto. Non riesco a non guardare i suoi occhi. Sono dell'azzurro più intenso che abbia mai visto. Azzurro. Oddio no, no, no! Anche Harper ha gli occhi azzurri Ecco Ava l'isterica. Non basta la figura di merda che ho già fatto quasi stramazzando ai suoi piedi a faccia in avanti, ma ora vedrebbe pure il mio viso in completo sfacelo se cedessi all’emozione. Sarebbe perfetto, penserebbe che a Singapore sono fuggita da un manicomio, rubando un passaggio a una barca per la pesca dei gamberetti! Respiro per calmarmi – meglio delle lacrime sicuro – e provo a fare un mezzo sorriso. Chi se ne frega cosa pensa di me Grandi Occhi Blu. Io ho chiuso con gli uomini. Soprattutto con gli occhi blu, che per esperienza posso dire portano solo rogne. Provo a convincermi mentalmente, ma appena riguardo quelle orbite colme di bellezza infinita, desisto. «È un vero piacere conoscerti, Ava, io sono Jasper. Ne ho sentite su di te!». Annuisce educato mentre la punta della lingua sbuca per inumidirsi il labbro superiore. Respira e calmati, cazzo! Ripeto a me stessa, mentre la sua voce mi risuona dentro e muoio di desiderio. Ma come cazzo fa un perfetto sconosciuto a farmi sentire come se avessi dodici anni? «Piacere, sono Ava», rispondo un po' troppo ad alta voce e rabbrividisco quando mi rendo conto della mia risposta. Sì, Ava, tranquilla, ora abbiamo stabilito esattamente chi è chi. Mi piacevo di più quando credeva che fossi muta. Jasper sorride. Un sorriso sincero, a trentadue denti, con le fossette accentuate ai lati della bocca, insomma un sorrisone vero. Mi sciolgo come neve al sole e mi rimprovero per questo. Mentre il silenzio fra di noi si fa sempre più imbarazzante, Jasper mi guarda con attenzione, senza lasciare un centimetro di me inesplorato. Il suo sguardo intenso mi fa arrossire, ma non riesco a smettere di fissarlo e ho sensazioni così contrastanti. Il feeling tra di noi è istantaneo, palese, e l'aria è carica di una chimica sessuale che non ha senso. «Be'… chi vuole da bere?», chiede Lucas notando la tensione tra di noi. Jasper continua a osservarmi con quel sorrisetto ammaliatore, mentre io lotto per non andare in iperventilazione. Vi risponde, mentre io e Jasper continuiamo con la nostra sfida all'ultimo sguardo. «Amore, io sì, un Gin tonic, per piacere. Ava?». Sentendo il mio nome, mi stacco dagli occhi di Jasper e dico: «Mmm, no, grazie, sono a posto». Cosa tutt'altro che vera, per giunta. «J?». Il suo sguardo sensuale è ancora su di me. Finalmente risponde: «No, fratello, grazie, sono a posto anch'io. Mi devo scaldare un po' prima del concerto. Comunque è stato un piacere conoscerti, Ava. Spero di vederti presto in giro». Jasper mi fissa e il tempo si ferma. Riesco solo ad annuire, emettere suoni non se ne parla. Lo seguo con lo sguardo mentre si gira e mi lancia un'ultima occhiata prima di sparire sul retro. Bene, ora posso concentrarmi su di me e deglutire. C'è qualcosa che non va, non mi sento bene. Devo avere un po' di febbre, perché all’improvviso sento salire un calore enorme dalla testa ai piedi. Almeno riesco di nuovo a respirare, la mia mente è meno offuscata e ho ripreso l'uso della parola. «Perché Jasper è andato nel retro?», squittisco. «Perché è il cantante della band, scemotta», risponde Vi, e quando mi giro verso di lei noto l'espressione di chi ha in mente qualcosa, ma nulla di buono. Ce l'ha scritto in faccia. A questo giro la uccido, la piccola stronzetta.
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