Capitolo 1

1327 Words
Capitolo 1“Bisogna proprio che mi decida...”. L’esordio mattutino in casa Vitale da un po’ di tempo cominciava all’incirca allo stesso modo. Erano infatti queste le prime parole che Sebastiano Vitale – maresciallo aiutante cinquantenne alla soglia di una meritata pensione dopo onorato servizio nei Carabinieri – rivolgeva alla moglie. Pure scontata la risposta da parte di lei: “Lo dici sempre e non lo fai mai...”. Dopo un decennio di matrimonio con una donna più giovane d’una quindicina d’anni, le abitudini familiari potevano dirsi consolidate. Di figli neanche a parlarne, trantran tutto sommato invidiabile in una località a due passi da Alba e Bra, nel cuneese. Vitale comandava la Stazione dell’Arma di Cherasco e di sicuro non poteva lamentarsene; come del resto sua moglie. Con Marisa s’erano conosciuti ai tempi in cui lui prestava servizio al Nucleo Investigativo di Torino e nel corso di una indagine la cui brillante soluzione ebbe come conseguenza la promozione da brigadiere a maresciallo. Dopo avere frequentato il corso per Aiutante, Sebastiano aveva toccato il massimo della carriera. Ciò lo portava a immaginare una meritata pensione: meta che tanti dopo i cinquant’anni cominciano a porsi con sempre maggiore frequenza. Nel caso di Vitale c’era inoltre il coronamento di un ideale da sempre sognato: una casetta nelle vigne, il ciabot ereditato dalla moglie e ristrutturato con non pochi sacrifici economici dato il non florido monoreddito che entrava in famiglia. La casa era in pratica finita. Sebastiano e Marisa avevano cominciato a portarvi i mobili antichi d’un certo pregio ereditati dalle innumerevoli magne (zie) e custoditi nel granaio d’un amico di famiglia. Gran dormiglione, Sebastiano non lo era mai stato, neanche da giovane. Passava le nottate a rimuginare; contrariamente a Marisa che, appena coricata, cadeva in un sonno profondo. I suoi sonni erano il più delle volte prolungati dormiveglia. La sua mente andava continuamente a certe decisioni che doveva – oppure no – prendere. Nelle ore notturne ripassava come in un film i suoi sopralluoghi, gli interrogatori e la gente incontrata. Al buio della stanza da letto nell’alloggio del maresciallo al primo piano della palazzina sede dei Carabinieri gli capitava di assolvere e condannare, di immedesimarsi in processi nei quali si vedeva nella duplice veste di spietato persecutore e strenuo difensore. Prima di addormentarsi amava guardare la televisione, soprattutto i film americani con polizie scientifiche che maneggiano marchingegni da fantascienza e prodigiose sostanze rivelatrici. Rimaneva affascinato dai personaggi maschili tutti d’un pezzo, allo stesso modo delle fredde e quasi asessuate protagoniste. Il battere delle ore al campanile lo faceva ritornare alla realtà; non si trovava a Miami, New York o Las Vegas, e l’indomani se la doveva vedere con denunce da quattro soldi e dispetti fra vicini. Negli ultimi tempi, a dire il vero, qualcosa di consistente per le mani gli era capitato. Girava voce che in una cascina veniva impiegata manodopera clandestina, per non dire di una certa villa isolata dove succedeva Sodoma e Gomorra con minorenni provenienti dall’Est europeo. D’altra parte, di “mignotte” s’era in pratica sempre occupato. Con la differenza che, ai tempi di Torino, nelle retate di donne da strada echeggiavano dialetti nostrani mentre adesso ci voleva l’interprete. A prolungare le meditazioni notturne s’era ultimamente messo un certo dolorino alla schiena che gli veniva proprio mentre si trovava a riposo. Niente di paragonabile beninteso alle terribili coliche di cui aveva sofferto fino a qualche anno prima; tale comunque da suscitare una certa inquietudine. Con i calcoli renali aveva chiuso i conti – almeno così sperava – dopo essersi sottoposto alla litotrissia, con quella macchina misteriosa che polverizzava le pietre. Le successive radiografie avevano dato esiti rassicuranti, ma per un uomo fondamentalmente scettico come lui non bastavano. S’era fatto l’idea di soffrire di insufficienza renale, di rischiare un giorno o l’altro di finire in dialisi. A mettergli in testa certe idee fu un preciso avvenimento. A Cuneo si era svolto un congresso di nefrologia e lui era stato chiamato a dare una mano nelle attività di sorveglianza. Era rimasto fuori; ciò non gli aveva tuttavia impedito di entrare ogni tanto in sala per orecchiare e sbirciare i filmati. Era riuscito a guardare alcune fasi d’un trattamento peritoneale di dialisi. Ne rimase sconvolto. Da allora si ritagliò la figura di malato più o meno immaginario, di uno che doveva stare attento a sforzi fisici e strapazzi. Dopo lunghe meditazioni – non voleva infatti creare patemi – parlò infine dei suoi timori a sua moglie. Lo fece probabilmente nel momento sbagliato, al termine di uno dei loro rari litigi. La risposta sbrigativa di Marisa, forse in preda a “trombe” persistenti, fu: “Tu hai solo delle fisse...”. Morta lì. Sebastiano decise di tenere per sé le sue fisime. Il ricordo del congresso di Cuneo non riuscì però a cancellarlo dalla memoria. Nei giornali del mattino, gli capitava di buttare l’occhio sulle pagine scientifiche alla ricerca di articoli che trattavano di malattie renali. In qualche caso marcava con l’evidenziatore. La moglie aveva l’abitudine di sfogliare gli stessi giornali, soprattutto nei momenti – dopo avere sparecchiato tavola – in cui si concedeva un riposino sul sofà. Dài oggi e dài domani: alla fine Marisa si rese conto delle preoccupazioni che si potevano intuire dalle frequenti sottolineature. Ripensò al modo sbrigativo con il quale aveva liquidato come “fisse” i timori del marito. Se ne pentì e decise di fare ammenda. Andò di sotto. Il giovane militare di leva le disse che il maresciallo s’era dovuto assentare perché chiamato da una emergenza. A chiedere ulteriori spiegazioni Marisa mancò ci pensò. Figurarsi! A suo marito per primo – se c’era di mezzo il servizio – non gli avresti cavato una parola di troppo neanche con le tenaglie. Decise in ogni caso di ritornare sull’argomento, magari con le buone e al momento opportuno. Nel frattempo le tornarono in mente i parenti di Magenta. Uno di loro stava passando le sue con la dialisi. ***** Il ritorno del maresciallo in tarda serata non fu una novità: né per l’orario né per l’aspetto: gambali inzaccherati, giubba strappata, occhiaie profonde. Tutto nella norma; almeno in casa Vitale. Marisa gli andò incontro e l’aiutò a spogliarsi. La tavola era apparecchiata; mancava soltanto la pentola dello spezzatino messa in forno. Il buon odore di casa ripagò Sebastiano delle ore faticose appena trascorse. Una normale moglie casalinga avrebbe per prima cosa domandato come aveva trascorso la giornata, chi aveva incontrato. Nel caso specifico l’argomento era invece tabù. Anche nell’intimità domestica, Sebastiano mai e poi mai si sarebbe sbottonato sulla sua attività di tutore della giustizia. E Marisa lo sapeva bene. Se non che, stavolta fu lui a infrangere la regola: “Quei poveretti! Chissà dove si credevano di andare, scappando nei campi...”. “Ti riferisci a chi...”. “Ai clandestini della cascina. Appena ci hanno visti, se la sono data a gambe”. “Li avete poi presi?”. “Erano in cinque: due sono riusciti a scappare”. “E adesso?”. “Quelli rimasti vanno al Centro di accoglienza. Forse saranno espulsi. Gli altri faranno i fuggiaschi”. Marisa cominciò a versare nel piatto, silenziosamente. “So a cosa stai pensando”, disse Sebastiano. “Ci vuole poco. Mentre noi stiamo qui tranquilli e con le gambe sotto la tavola...”. “Non parlarmene! In certi momenti vorrei chiudere gli occhi, passare le responsabilità ad altri. Con i tanti mascalzoni in giro, noi ce la prendiamo con dei poveri diavoli che chiedono soltanto di lavorare onestamente...”. Marisa si mise dietro a lui e lo abbracciò. Sebastiano prese le coccole e fece gli occhi del bambino intristito. Lei decise che era quello il momento adatto: “Ho telefonato ai miei parenti di Magenta. Ho parlato con Cesira e le ho domandato di suo marito”. Sebastiano alzò lo sguardo al soffitto: “Chi, quello che se non sbaglio è in dialisi? E che cosa ti ha detto...”. “Qualcosa di interessante. Mi ha parlato molto bene di una certa dottoressa specializzata in nefrologia che lavora in un ospedale di Milano...”. “Milano?”, rispose Sebastiano facendo segni di assenso. “Non ci crederai, ma una di queste notti ho sognato di trovarmi in un posto dove parlavano con accento milanese...”. “Mi ha lasciato un numero di telefono”. “Di chi, della dottoressa? A proposito, come si chiama?”. “Aspetta che me lo sono scritto: dottoressa Mariangela Dossi; visita all’ospedale San Gaudenzio. Cesira la conosce molto bene; ha di lei ammirazione e gratitudine per come sta curando suo marito”. Vitale tirò su dal naso, spostò la sedia e allungò le gambe. Ciò che in seguito disse non fu del tutto chiaro a chi lo ascoltava: “Gira e rigira, va a finire che c’è sempre di mezzo Milano...”.
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