Capitolo 2

1650 Words
Capitolo 2Dopo aver percorso l’autostrada fino a Savona, l’utilitaria di Vitale si inserì sulla Ventimiglia-Genova. Non si poteva certo dire che fosse un asso del volante; anzi, era modesto al punto di sentirsi impacciato e perfino timoroso ogni volta che veniva sorpassato. Doveva dirigersi in una delle zone più trafficate di Genova e la prospettiva non lo tranquillizzava. Per il parcheggio – come gli era stato detto – non dovevano esserci problemi; ma tra il dire e il fare... E stavolta il mare c’era per davvero. Uscito dal casello di Sampierdarena, prese la direzione del centro. Doveva seguire l’indicazione Porto Antico. La vista dei giganteschi pali del Bigo conficcati di traverso e le vele appese in alto che ruotavano al vento lo confortò. Si mise in colonna nella fiumana di macchine che in certi tratti procedeva a passo d’uomo. Quando meno se lo aspettava, vide il cartello indicatore e girò a destra. Si trovò di fronte a una sbarra e a quel punto non seppe che fare. Dietro a lui cominciarono a strombettare. Un passante venne in soccorso: “Deve schiacciare il pulsante e prendere il biglietto. Sennò non si apre...”. Sebastiano provò vergogna per la sua goffaggine. Seguito il provvidenziale consiglio, la barriera si alzò. Sceso dall’auto, fu investito da una folata di tramontana. Gli vennero i brividi, ma non per il freddo. Era più che altro un sussulto a metà fra l’emozione e il senso della novità: come del resto accade al forestiero improvvisamente immerso nell’atmosfera invernale di Genova. I ragguagli erano abbastanza precisi: una volta nel parcheggio, cercare l’albergo Blackjack. Per Vitale stava avverandosi un desiderio: assistere – stavolta per bene e non a spizzichi e bocconi – a un congresso e sentire chi se ne intendeva su un argomento che gli stava particolarmente a cuore. E ciò fu possibile grazie ai buoni uffici della dottoressa Mariangela Dossi. Vitale partiva comunque dall’idea che di quanto detto nel linguaggio degli specialisti avrebbe capito ben poco. Ma tanto gli bastava. Si sarebbe anche accontentato di assistere alle proiezioni dei filmati. Mancava un quarto alle tre del pomeriggio, ora in cui si sarebbe incontrato come convenuto con la dottoressa. Con lei si era trovato più che bene. Era stato all’ospedale di Milano e, al termine di una visita accurata, le aveva esternato il suo sogno di assistere a un congresso su una materia che lo affascinava e allo stesso momento gli incuteva timore. Aveva visto il dépliant con il programma sul tavolo dell’ambulatorio e non aveva resistito. Di fronte all’insolita richiesta, la dottoressa non fece una piega; come se le avessero chiesto di prescrivere una medicina. Si limitò a rispondere con un’espressione che poteva sembrare apatica: “Se ci tiene tanto... Provo a sentire. Le farò sapere”. Vitale ci mise poi del suo con la segretaria di reparto con la quale si era in precedenza intrattenuto. Saputo chi era, la giovane fu incuriosita: “Ma non mi dica... Lei un carabiniere! Chissà la vita interessante che fa...”. Sebastiano non seppe rispondere. Definire interessante il suo lavoro era per lui singolare; anche se, sul momento, altro aggettivo non avrebbe saputo trovare. “Mi racconti qualcosa del suo lavoro. Io sono un’appassionata di gialli...”. Un po’ per compiacenza e un po’ per tenersela buona, Vitale si trattenne dal ribattere che un conto è la narrativa, un altro l’attività di polizia vera e propria. Ma non era il caso di sottilizzare. Tirò fuori le prime storie che gli vennero in mente. La segretaria ascoltava attenta e con occhi ammirati. A un certo momento si affacciò la dottoressa: “Vuole accomodarsi...”. Prima di lasciare l’ospedale, s’era rivolto alla stessa segretaria chiedendole di mettere una buona parola per la richiesta, che gli sembrava rimasta in sospeso, rivolta alla dottoressa. Sia come sia, in capo a qualche giorno alla casella di posta elettronica dei Carabinieri di Cherasco arrivò il seguente messaggio: “Alla c.a. del maresciallo Vitale. In riferimento alla sua richiesta, la dottoressa Dossi si è interessata facendole avere uno speciale permesso di ingresso al congresso di Nefrologia in programma a Genova, presso l’Hotel Blackjack. Può presentarsi e qualificarsi alla segreteria del medesimo congresso alle ore quindici del giorno 28 febbraio p.v. In tale circostanza la dottoressa sarà lieta di incontrarla. Distinti saluti. Elisabetta Donderi, segreteria divisione Nefrologia e Dialisi Azienda Ospedaliera San Gaudenzio Milano”. “Donderi, Donderi... Sta a vedere che è quella gentile persona dell’ospedale alla quale ho chiesto di mettere una buona parola. Si vede che in quei momenti dovevo essere proprio imbambolato. Non le ho nemmeno domandato il suo nome...”. Vitale stampò il messaggio e, appena entrato in casa, lo sventolò a sua moglie; neanche fosse la più importante delle comunicazioni. Marisa accolse la novità con tenerezza. Saranno pure state esagerate le preoccupazioni del marito, ma adesso lui aveva se non altro la possibilità di ridimensionare (e la partecipazione nientemeno che a un congresso di specialisti gliene avrebbe dato motivo) i timori. “E quanto durerà ’sto congresso? Passi la notte fuori?”, domandò Marisa. “Ma no! È roba di qualche ora, un pomeriggio al massimo. Rientro sicuramente in serata”. ***** Per entrare nell’albergo si doveva passare da una porta girevole. Vitale fece il disinvolto, ma in cuor suo quegli accessi obbligati non gli piacevano. Aveva sempre il timore inconfessato di rimanervi intrappolato. L’ultimo passo prima della soglia lo fece con un piccolo scatto, provando subito dopo un senso di sollievo. Da non crederci: non avrebbe esitato ad affrontare un malvivente a mani nude e ora si sentiva incerto, come se dovesse saltare in un cerchio di fuoco. Il suo atteggiamento delineava del resto un personaggio per certi versi eccezionale: coraggioso e generoso, con spiccato senso dell’onore e dell’appartenenza all’Arma, attaccato alle tradizioni e talvolta alle superstizioni di uomo tutto d’un pezzo del Sud trapiantato al Nord, ma pure con i suoi tic e i suoi pregiudizi. In albergo c’era gente che andava e veniva, si sentivano annunci all’altoparlante; i tabelloni riportavano orari e temi trattati. Si avvicinò al tavolo della segreteria. Mai come in quei momenti si sentì un pesce fuor d’acqua. Prima di lui si erano registrati uomini e donne che anche senza camici avresti indovinato le loro professioni. Venivano da tutta Italia e perfino dall’estero; quasi tutti da ospedali, cliniche, università. Quando fu il suo turno rimase incerto. Oltre al nome e cognome doveva rivelare la sua qualifica professionale. In altri momenti non avrebbe esitato a mostrare la tessera di carabiniere; farlo tuttavia in quei frangenti poteva ingenerare, se non equivoci, perlomeno qualche stonatura. Mancava solo che desse l’impressione dello sbirro spione... Alla ragazza vestita come una hostess, Sebastiano non trovò meglio da dire che veniva per conto della dottoressa Dossi del San Gaudenzio di Milano. Con tutte le sue impacciate cautele si rese conto di stare facendo la figura dell’intruso. Quando ormai si aspettava di essere liquidato con un “non ci risulta”, l’avvenente ragazza sfoderò un sorriso: “Maresciallo Sebastiano Vitale?”. “Sì, sì”, rispose prontamente. “Questo è il suo badge elettronico. Lo attacchi al bavero della giacca. Si può accomodare alla sala D. La dottoressa la raggiungerà fra poco. Buona permanenza”. Dopo essersi voltato, si trovò di fronte un’altra ragazza dal tono spigliato e con il medesimo abito di quella di prima: “Venga, le faccio strada...”. “Pure! Che organizzazione...”, disse fra sé. Vitale arrivò buon ultimo: un’altra magra figura, almeno per uno preciso come lui. Al suo ingresso, il relatore di turno gli rivolse un’occhiata non proprio benevola. Sedette all’ultima fila, nell’unico posto rimasto libero accanto a due distinti signori che incutevano soggezione. A occhio, dovevano perlomeno essere primari d’ospedale. Negli stessi momenti si accese uno schermo e le parole del presentatore si accompagnarono ad alcune immagini. Vitale si sentì a disagio. Non capiva un acca e non solo per l’incomprensibilità della lingua (sembrava inglese americanizzato). Nonostante la sua freddezza tutta professionale, la presenza della dottoressa lo avrebbe tranquillizzato. Nel corso della visita, Sebastiano era stato invitato a togliersi giacca, camicia e canottiera. Una richiesta che prevedeva e oltre tutto temeva, dal momento che avrebbe dovuto esibire la sua pancetta: un aspetto del suo fisico – assieme ai capelli che cominciava a perdere – di cui non andava fiero. La dottoressa lo palpeggiò ai fianchi, al fegato e alla schiena; auscultò cuore e polmoni, misurò la pressione. In quei momenti, il maresciallo si sentiva un fantoccio inerte. Attimo comunque da vergognarsi come un ladro fu quando, steso sul lettino, la dottoressa gli alzò il fondo dei pantaloni e abbassò i calzini. L’avessero esposto nudo sulla pubblica piazza non avrebbe provato maggiore imbarazzo. La prova gonfiore agli arti inferiori fu comunque superata. “Si vesta”. Anche in quei momenti: infilarsi la camicia nei calzoni sbottonati fu per lui una specie di gravosa penitenza. Fece tutto alla svelta, senza badare all’eleganza. La donna sedette alla scrivania. Mentre scriveva, senza alzare lo sguardo, aggiunse: “Dovrà fare questi esami: azotemia, creatinina, uricemia, urine, urino coltura. Già che c’è, approfitti per controllare trigliceridi e colesterolo... Ha mai fatto l’esame della prostata? A partire dalla sua età sarebbe consigliabile”. Pure la prostata... Gesù! Come tutte le persone che in fatto di salute non hanno mai avuto qualcosa di veramente serio, Sebastiano cominciò a preoccuparsi. Già si vedeva con il temibilissimo ago della dialisi piantato nella pancia. La dottoressa colse le preoccupazioni. Dopo aver apposto il timbrino di medico, con l’espressione più distaccata di questo mondo aggiunse: “Adesso non si abbatta. La medicina ha fatto e continua a fare passi da gigante...”. Se volevano essere di conforto, le ultime parole ebbero l’effetto di una mazzata. Alzò lo sguardo e per la prima volta guardò la dottoressa come un uomo guarda solitamente una donna. A vederla senza trucco e nella sua bianca veste da lavoro non sembrava gran che. Ma l’impressione era sicuramente superficiale. Sulla cinquantina ben portata, aveva capelli biondi, con una piega che ricordava le dive di Hollywood anni Sessanta. Non sorrideva, il suo sguardo non lasciava trasparire emozioni. Quando si alzò dalla sedia, Sebastiano esaminò la sua figura. Rosea di carnagione, sembrava più rotonda di quel che fosse in realtà. Le sue scarpe con tacchi bassi non le conferivano slanci particolari. Era priva di particolari attrazioni fisiche, ma anche in questo caso l’impressione di prima vista non doveva essere quella giusta. Una specie di algida Giovanna d’Arco, in un ambiente come gli ospedali dove se ne dicono tante? Fu un malizioso interrogativo tipicamente maschilista al quale, almeno per il momento, non avrebbe saputo rispondere. Almeno fino a quando non la vide morta in una pozza di sangue, in un bagno dell’albergo.
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