CAPITOLO 2
ROMA, 23 APRILE 2018
“Tutti noi siamo consapevoli che l’Italia sta vivendo un momento di grande difficoltà, che la ripresa dalla crisi è stata più difficile del previsto. Proprio per questo dobbiamo trovare il coraggio di…”
Qualcuno bussò alla porta. Cosimo Loiacono interruppe la lettura del discorso che avrebbe pronunciato tra breve davanti a quasi millecinquecento iscritti al suo partito. Posò i fogli su un tavolino insieme a un paio di occhiali dalla montatura fine che utilizzava solo per leggere. Si alzò dalla poltrona e si incamminò verso la porta d’ingresso.
“Onorevole, è arrivato il momento” lo informò il giovane quando la porta fu aperta.
“Grazie Giovanni, entra un attimo.”
Giovanni, l’assistente personale di Loiacono, entrò nella lussuosa camera d’albergo. Fu accolto in un salotto arredato con mobili moderni. Al centro della stanza si trovavano un divano a due posti e un paio di poltrone. Un televisore da quaranta pollici era sintonizzato su un telegiornale. Sulla destra, una porta chiusa conduceva alla camera da letto occupata da Loiacono.
“Stavo ripassando un’ultima volta il discorso.”
“Come le sembra?”
“È quello che quel branco di pecore vuole sentirsi dire.”
L’assistente sfoderò un sorriso maligno. Gli piaceva quel ragazzo, anche se all’inizio l’aveva assunto solo per fare un favore a un suo vecchio amico. Dopo la laurea in Comunicazione non era riuscito a trovare lavoro, così Loiacono l’aveva assunto nel suo staff. Aveva capelli biondo oro e una faccia angelica ma non bisognava farsi ingannare. Giovanni condivideva con il suo datore di lavoro la stessa visione cinica e opportunistica del mondo. La politica non era che un mezzo per arrivare al potere. Che andassero al diavolo gli ideali come il bene comune e l’amore per la patria. Quello che importava davvero era ottenere denaro e prestigio.
Loiacono recuperò la giacca del suo completo grigio e la indossò sopra la camicia bianca. Davanti a uno specchio si abbottonò. Tutto era in ordine. I capelli ingrigiti alle tempie erano stati sistemati dal suo parrucchiere. Anche la barba era stata ben curata. Guardandosi allo specchio, giudicò il risultato molto soddisfacente. Era un uomo vanitoso, non lo nascondeva.
“Le sta magnificamente.”
“Non fare il lecchino, Giovanni, non ne ho bisogno.”
“Esprimevo solo un parere.”
“Che paraculo che sei!” ridacchiò l’onorevole.
Giovanni sorrise senza rispondere. Gli piaceva fare ridere il suo capo.
“Bene, sono pronto.”
“Eccellente.”
Si avvicinò al tavolino dove aveva lasciato gli occhiali da lettura. Li recuperò infilandoli nella tasca superiore della giacca. In quel momento la sua attenzione fu catturata da un’immagine mostrata in televisione. Era la fotografia di un uomo che gli sembrava di conoscere. Lesse il titolo della notizia.
Recitava “Imprenditore barbaramente ucciso a Verona.”
Si guardò intorno alla ricerca del telecomando per alzare il volume. L’aveva lasciato sul divano.
“C’è qualche problema?” chiese Giovanni.
“Silenzio!” lo zittì brusco Loiacono.
Aumentò il volume per sentire di cosa stavano parlando.
“Il corpo di Andrea Visentin è stato trovato in una casa abbandonata in aperta campagna. I carabinieri di Verona hanno ricevuto una chiamata anonima che informava del rinvenimento di un cadavere. Quando sono giunti sul posto, si sono trovati davanti a uno spettacolo raccapricciante. Visentin ha subito l’amputazione delle braccia e delle gambe, che sono state rinvenute all’interno della stessa stanza nella quale è stato ritrovato il corpo. Oltre a tutto questo, nella bocca dell’uomo sono stati ritrovati i suoi stessi genitali amputati. Secondo le prime indiscrezioni le mutilazioni sarebbero avvenute mentre l’uomo era ancora cosciente. Per il momento è sconosciuto il movente del brutale assassinio. Gli inquirenti stanno scavando nel passato dell’imprenditore per cercare di fare chiarezza sulla vicenda. Andrea Visentin lascia una moglie e tre figli.”
“Povero bastardo!” sentenziò Loiacono.
“Lo conosceva?”
“Abbiamo fatto il militare insieme in Somalia.”
La sua mente tornò indietro a quegli anni, ripercorrendo l’intera missione. Ne aveva fatta di strada da allora. Se suo padre fosse stato ancora vivo, sarebbe stato fiero di lui. Terminato il servizio militare, aveva deciso di buttarsi in politica, impegnandosi per il partito a cui era iscritto fin dall’età di sedici anni. Il periodo del liceo era stato il suo banco di prova, era diventato il rappresentante degli studenti. L’esperienza sotto le armi gli aveva fatto capire che lui era nato per comandare, non per ricevere ordini. Aveva ripreso la sua attività impegnandosi anima e corpo. Grazie anche al padre, esponente di spicco del partito, era riuscito a fare strada. Partendo da un incarico di consigliere comunale nella sua città natale in Puglia, era arrivato al vertice dell’organizzazione, ottenendo anche una poltrona in Parlamento. Possedeva una delle qualità essenziali per un politico, quella di riuscire a fare credere alla gente tutto quello che voleva. La sua capacità oratoria era eccellente.
Ora si apprestava a parlare alla platea di persone che l’aveva eletto segretario del partito. Con il discorso avrebbe presentato la sua candidatura alla presidenza del Consiglio, ultima tappa della sua scalata al potere. Le elezioni politiche erano previste per la primavera dell’anno successivo. Spense il televisore e appoggiò il telecomando sul tavolino.
“Andiamo, Giovanni.”
I due uscirono dalla stanza. Ad attenderli c’erano due guardie del corpo che indossavano il classico completo scuro. Lo scortarono attraverso i corridoi dell’albergo in direzione della sala congressi.
“Giovanni, hai organizzato il dopo conferenza, vero?” Si riferiva all’ingaggio di una escort per rilassarsi dopo l’orazione. Loiacono era ossessionato dalle donne e, quando non aveva tempo per corteggiarle, si arrangiava pagandole. Con le p********e, spesso si lasciava andare a giochi sessuali piuttosto violenti. Come c’era da aspettarsi, questo suo aspetto era sconosciuto all’opinione pubblica. Il politico pagava profumatamente sia le prestazioni che il silenzio delle sue intrattenitrici. E se i soldi non bastavano, era anche capace di mettere in pratica spietate minacce.
“Naturalmente, la farò salire in camera non appena ne farà richiesta.”
“Molto bene. Spero che non sia come l’ultima che mi hai mandato. Si è messa a piangere dopo qualche ceffone e me l’ha fatto ammosciare.”
“Questa volta ho fatto una selezione più accurata, non dubiti.”
“Me lo auguro. Dopo aver parlato con quella massa di caproni, avrò bisogno di rilassarmi un po’.”
Raggiunsero la grande sala congressi, il suo ingresso fu salutato da un fragoroso applauso. Loiacono sfoderò il suo migliore sorriso d’ordinanza e raggiunse il leggio posto al centro del palco. Si godette per qualche istante il momento di giubilo prima di alzare una mano per chiedere silenzio.
“Signori e signore, vi do il benvenuto. Come prima cosa, lasciate che vi ringrazi tutti per essere qui oggi. Per me è fondamentale avere il sostegno di così tanta brava gente che tiene al futuro di questo grande Paese.”
Quel branco di imbecilli pendeva già dalle sue labbra. Aveva conquistato loro e avrebbe fatto lo stesso anche con il resto degli italiani. Guardando la platea entusiasta, Loiacono si sentì già presidente del Consiglio.