Partimmo per la Germania. Il nonno Edgard era galvanizzato, non tornava nella sua patria da anni, da quando aveva lasciato il paese per scappare dai soldati delle SS che perseguitavano gli ebrei.
Sia il nonno, che papà erano ebrei, noi eravamo cresciuti con questa cultura e quella cristiana di nostra madre, una cattolica francese che papà conobbe durante un viaggio in Europa.
I nonni Edgar e Amalia durante la traversata verso l'Europa ci raccontarono la loro storia. Di quando il nonno aveva fondato la Bavarian bank con il cugino Stephan, che conoscevamo,, e altri amici, Rubén Zimmer, Marcus Müller e Gustav Meyer. Quando capirono che per loro ebrei era pericoloso restare in Germania avevano avvertito la clientela che la banca avrebbe chiuso, avevano scambiato i loro averi con beni di valore e lasciato la Germania. Lungo la strada il nonno aveva lasciato amici e parenti. Adesso a differenza di tanti anni ritornava.
"Sarebbe giusto fermarci adesso." Sussurrò la nonna Amalia con aria malinconica.
"Vuoi restare in Germania?" Le chiese nonno.
Ella annuì. "Hai detto che Stefan e sua moglie Sofia ci stanno raggiungendo?" Chiese.
Noi interessati seguivamo il discorso.
"Valutiamo di vendere l'immobile dove c'era la banca e anche la casa del nonno." Le disse sorridendo alla nonna. "Se vuoi restare... Potremo tornare anche a casa nostra e vedere com'è messa."
Nonna gli sorrise. "Se vuoi vendere lo stabile della banca potrei prenderlo io." Disse il papà al nonno. "Sicuro che vuoi tornare?" Gli chiese
"Ha ragione tua madre. Abbiamo fatto il nostro, lavorato onestamente e ormai in banca non sono più tanto necessario. Potremo vivere benissimo senza finire gli anni dovuti, ma possiamo anche pagarli e tornare a casa." Valutò il nonno.
Non capii di cosa parlasse e guardai mio fratello che fece spallucce. Ero contento che anche lui non capisse.
"Vendimi la banca e potrai vivere di rendita." Disse papà.
Sinceramente non ne capivo niente. Sorrisi a Tom. "Hai ragione, non corriamo e facciamo i bambini!" Gli dissi.
Divertito Tom mi prese le mani. "Facciamo un gioco...."
Risi. Lui sapeva sempre distrarmi.
Fummo svegliati da mamma poco prima che il nostro aereo atterrasse.
Credo che non ci accorgemmo di esserci addormentati. Forse era stato meglio poiché mamma ci avvertì che il viaggio era stato lunghissimo.
Quando arrivammo all'aeroporto trovammo ad attenderci il nonno zio Stefan e la nonna zia Sofia, con la zia Mette. Corremmo loro incontro abbracciandoli, la nonna zia Sofia aveva sempre delle caramelle per noi.
"Com'è andato il viaggio?" Chiese lo zio Stefan.
"Molto bene, soprattutto dopo che i bambini si sono addormentati." Scherzò il papà. "Vi chiedo anticipatamente scusa per il disturbo."
"Non devi neanche dirlo Tobias! Disse la zia Sofia. "È bello avervi qui, anche perché difficilmente Lousie ci porta i bambini. Siamo sempre noi a dover andare in Lussemburgo." Gli disse.
Sussultai. Giusto, la zia Mette aveva una gemella. Nella nostra famiglia era normale avere dei gemelli, era invece raro che non ci fosse un ramo senza. Io stesso ero nato con la mia sorellina Tatjana che poi era salita su in cielo.
Ci separarono in due auto, noi andammo con la zia Mette, i nonni e Theresa con i nonni zii.
"Vivi qui Mette?" Sentii chiedere da papà.
"Si! Aiuto papà fin quando mamma fa da spola con la Danimarca, poi ho un lavoro." Rispose.
"Dove lavori cara?" Chiese mamma.
"Alla Munich bank." Rispose.
"Anche io ho una società di investimenti a Boston. Quesito e destino!" Disse papà.
"Per cosa?" Chiese la zia Mette
"Tobias vorrebbe aprire una filiale della sua azienda qui, comprare lo stabile della vecchia Bavarian bank da Edgar, tuo padre e gli altri e inserirsi." Rispose mamma.
"Per questo è destino. Se entri come socia Mette, potrò anche lasciare la consulting in mani sicure." Confermò papà.
Il papà amava il suo lavoro. Spesso lo seguivamo per lavoro o quando tornavamo a Monaco e in Francia dai nonni. Sapevamo che si annoiava a casa quando stava senza far nulla. Forse avere un lavoro anche lo avrebbe aiutato.
"Ma la banca non appartiene anche agli amici misogini dei nostri padri?" Chiese lei.
"Possiamo proporlo a loro anche." Disse papà.
"Preferisco tenermene fuori se loro accettano Toby." Gli disse la zia Mette fermando l'auto in un parcheggio. "Però posso finanziarti e darti la mia parte. Gestirai tu per me le mie quote."
"Ma tu lavori in banca Mette." Insistette papà.
"Come segretaria. So di avere le capacità di fare molto di più, ma fidati Toby, qui è peggio che in America. Sono ancora molto indietro è difficile che si affidino a una donna e se Müller, Zimmer e Meyer accettano, per me non ci sarà nessun progresso. Segretaria ero e questo continuerei ad essere." Concluse aprendo là portiera dell'auto.
Prima che scendesse però papà la fermò. "Non sarebbe meglio essere proprietaria padrona, anziché proprietaria serva?" Le chiese.
La zia lo fissò silenziosamente, poi sospirò e annuì. "Sé questa cosa va in porto ed avrà successo tutti i miei guadagni dovranno andare a mio figlio." Affermò.
"Affare fatto." Le disse il papà.
Ci teneva davvero tanto a quella cosa.
Arrivammo a casa degli zii e una volta li, il nonno ci mostrò un punto poco distante da quella casa. Verso un rudere circondato da un cancello e un muro lunghissimo. "Quella era la casa di nostro nonno!" Disse orgoglioso. "È una fortuna che siamo partiti adesso per l'Europa, grazie alle vacanze pasquali, possono raggiungerci anche gli altri e possiamo decidere cosa farne di quella casa."
"Perché devono venire tutti nonno? La casa non era del tuo nonno?" Chiese Tom curioso.
"Era del nostro nonno." Intervenne lo zio Stefan. "Mio papà e il papà del tuo nonno presero per sé le case dove abitiamo noi adesso." Ci spiegò il nonno zio indicandoci casa sua e quella del nonno più avanti. "Per poter vendere la casa bisogna mettersi tutti d'accordo."
"E siete così tanti?" Chiese ancora Tom. In realtà anche io ero tanto curioso.
"Beh sì. Il nostro nonno ebbe quattro figli, che poi hanno avuto figli. Siamo noi adesso a dover decidere per loro."
"Perché gli altri non erano in America con noi? Sono andati a New York con lo zio Wiggo?" Chiesi curioso.
"Oppure a Los Angeles con la zia Cora." Disse Tom ricordando la sorella del nonno.
I nonni scoppiarono tutti a ridere invitandoci ad entrare in casa nonna zia ci disse che era meglio a parlare con un bel piatto caldo nella pancia. "Mentre i nonni vi raccontano di tutti i Keller, mangiamo, così dopo potrete andare a casa vostra sazi e soddisfatti bambini."
"Hai fatto le salsicce con le paratine zia nonna?" Le chiese Teresa per nulla curiosa come me e Tom.
Non sentii la risposta al contrario con Tom ci mettemmo alle calcagna dei nonni per paura che iniziassero a raccontare in nostra assenza.
Andammo a lavare le mani, ci mettemmo a tavola e iniziammo a mangiare senza mai distogliere l'attenzione dai due.
"Partiamo dal presupposto che tutto questo..." disse lo zio allargando il braccio. Non seppi spiegarne il motivo in realtà. "...è opera di un solo uomo! Ovvero Edgar Herman Keller e sua moglie Hannah Smith." Iniziò lo zio che ci trasportò nel passato, in un secolo che noi non avremmo mai immaginato esistesse. La fine del 1880, precisamente nel mille ottocento ottantaquattro, quando Tobias Herman Keller e il suo amico Isaak Zimmer, iniziarono a vedere i frutti del loro duro lavoro. Avevano infatti un banco dei pegni e un acquisto e vendo oro vicino al centro di Monaco. Fu così che il nostro trisavolo chiese ad Hannah Smith di sposarlo, dopo aver acquistato il terreno su cui sarebbe sorta la loro casa.
I due prosperavano e come si diceva, i figli portavano ricchezza. Ebbero due gemelli, Thomas e Stefan, successivamente nacque Abel. Più figli avevano, più il loro banco dei pegni cresceva, tanto che adesso facevano anche credito alle persone.
Da banco dei pegni, con l'aggiunta in società di Adolf Muller e Jacob Meyer, cambiarono denominazione sociale diventando un'agenzia di credito che dava finanziamenti a chi ne avesse bisogno.
La casa diventava sempre più grande. Tobias Herman decise di comprare tre case vicino la sua, appena compivano sedici anni, una per ogni figlio.