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Legati dall'onore

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Blurb

Nata in una delle principali famiglie mafiose di Chicago, Aria Scuderi fatica a trovare la sua strada in un mondo in cui non c’è nessuna possibilità di scelta.

Aria aveva solo quindici anni quando i suoi genitori l’hanno promessa a Luca “la Morsa” Vitiello, il figlio maggiore del Capo della mafia di New York, per assicurare la pace tra le due famiglie. Ora che lei è diciottenne, il giorno che ha temuto per anni, quello del matrimonio con Luca, si sta avvicinando minaccioso. Aria è terrorizzata all’idea di sposare un uomo che conosce a malapena, soprattutto uno che ha ottenuto il soprannome la Morsa per aver strangolato una persona a mani nude. Luca potrà anche essere uno degli uomini più ricercati di New York, grazie al suo bell’aspetto, alla ricchezza e al carisma da predatore che irradia potere, ma le ragazze dell’alta società che si gettano ai suoi piedi non sanno ciò che Aria sa: la sua nomea di cattivo ragazzo non è solo un gioco, perché sangue e morte si annidano dietro gli affascinanti occhi grigi e l’arrogante sorriso di Luca. Nel mondo di Aria, un bell’aspetto esteriore spesso nasconde un mostro all’interno; un mostro che può tanto facilmente ucciderti quanto baciarti.

L’unico modo per sfuggire al matrimonio sarebbe scappare e lasciarsi tutto alle spalle, ma Aria non riesce a sopportare il pensiero di non rivedere mai più la sua famiglia. Nonostante la paura, decide di procedere con il matrimonio. Aria è cresciuta tra predatori come Luca e sa che persino i più freddi bastardi hanno un cuore, e lei ha tutte le intenzioni di farsi strada in quello di Luca.

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Prologo
Prologo Le dita mi tremarono come foglie al vento mentre le sollevai verso di lui, il cuore che batté all’impazzata. La mano di Luca, ferma e forte, afferrò la mia e m’infilò l’anello al dito. Oro bianco con trenta piccoli diamanti. Ciò che per altre coppie simboleggiava amore e devozione, per me non era altro che un’attestazione del suo possesso nei miei confronti. Un promemoria giornaliero della gabbia dorata in cui sarei rimasta intrappolata per il resto della vita. “Finché morte non ci separi” non era una promessa vuota come per molte altre coppie che avevano stretto il sacro legame del matrimonio. Per me non c’era via d’uscita da questa unione. Sarei stata di Luca fino all’amara conclusione. Le ultime parole del giuramento di affiliazione alla mafia avrebbero potuto benissimo fare da chiusa alla mia promessa matrimoniale: «Entro vivo e ne uscirò morto.» Avrei dovuto darmela a gambe quando ne avevo ancora la possibilità. In quel momento, mentre novecento volti delle Famiglie di New York e di Chicago ci fissavano, la fuga non era più un’opzione. Tantomeno il divorzio. Nel nostro mondo, la morte era l’unica soluzione accettabile per la fine di un matrimonio. Persino se fossi riuscita a sottrarmi agli occhi vigili di Luca e a quelli dei suoi scagnozzi, la rottura del nostro accordo avrebbe significato guerra. Niente di quello che mio padre poteva dire avrebbe impedito alla famiglia di Luca di vendicarsi per averle fatto perdere la faccia. I miei sentimenti non avevano alcuna importanza, da sempre. Ero cresciuta in un ambiente in cui non si poteva decidere nulla, soprattutto se eri una donna. In questo matrimonio non c’era posto per l’amore, la fiducia o la possibilità di scelta. Era incentrato sul dovere e sull’onore, su ciò che era necessario fare. Un legame per assicurare la pace. Non ero una stupida. Sapevo cos’altro c’era in ballo: denaro e potere. Entrambi avevano cominciato a diminuire da quando la Bratva, la Triade e altre piccole organizzazioni criminali avevano cercato di espandere la loro influenza nei nostri territori. Le Famiglie italiane di tutti gli Stati Uniti erano state obbligate a mettere da parte le proprie controversie e lavorare insieme per battere i nemici comuni. Avrei dovuto sentirmi onorata di sposare il figlio maggiore della Famiglia di New York. Era quello che mio padre e i parenti maschi avevano cercato di dirmi sin dal mio fidanzamento con Luca. Ne ero consapevole e, nonostante avessi avuto il tempo per prepararmi a questo momento, la paura mi teneva imprigionata nella sua morsa inesorabile. «Può baciare la sposa» sancì il sacerdote. Sollevai la testa. Tutti gli sguardi, sotto il tendone, mi scrutavano, in attesa di un segno di debolezza. Papà sarebbe stato furioso se avessi lasciato intravedere il mio terrore e la famiglia di Luca l’avrebbe usato contro di noi. Io, però, ero cresciuta in un mondo in cui una maschera perfetta era l’unica protezione che le donne potevano permettersi e non ebbi alcun problema ad atteggiare il mio volto in un’espressione serena. Nessuno avrebbe saputo quanto desideravo fuggire. Nessuno tranne Luca. Non potevo nascondermi da lui, poco importava con quanto impegno ci provassi. Continuai a tremare. Quando il mio sguardo incrociò i freddi occhi grigi del mio futuro marito, capii che sapeva. Quanto spesso aveva instillato la paura negli altri? Riconoscerla doveva essere la sua seconda natura. Luca si chinò per colmare i venticinque centimetri di distanza con cui mi sovrastava. Sul suo volto non c’era traccia di esitazione, timore o dubbio. Le labbra mi tremarono contro la sua bocca, mentre i suoi occhi sprofondavano nei miei. Il loro messaggio era chiaro: Sei mia.

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