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2032 Words
Capitolo 1 Tre anni prima Ero raggomitolata sulla chaise longue della biblioteca, immersa in una lettura, quando bussarono alla porta. Avevo la testa di Liliana appoggiata in grembo, lei non si mosse di un millimetro quando l’uscio si aprì e nostra madre fece il suo ingresso, i capelli biondo scuro raccolti in uno chignon. Mamma era pallida, il volto segnato dalla preoccupazione. «È successo qualcosa?» domandai. Lei sorrise, ma si capiva che fingeva. «Tuo padre vuole parlarti nel suo ufficio.» Mi alzai, sollevando delicatamente la testa di Lily e riappoggiandola, con cura, sulla chaise longue. Lei si mosse, raccogliendo le gambe al petto. Era piccola per avere undici anni, ma io non potevo certo dirmi alta con i miei centosessantacinque centimetri. Nessuna delle donne della nostra famiglia lo era. Mentre uscivo, mamma evitò il mio sguardo. «Sono nei guai?» Ignoravo cosa potevo aver fatto di sbagliato. Di solito, Lily e io eravamo quelle obbedienti, era Gianna a infrangere sempre le regole e a finire in punizione. «Sbrigati. Non fare aspettare tuo padre» rispose semplicemente mamma. Avevo un nodo allo stomaco quando arrivai davanti all’ufficio di papà. Mi presi un istante per calmare i nervi, poi bussai. «Avanti.» Entrai, imponendomi di non lasciar trasparire qualcosa dallo sguardo. Papà sedeva dietro la scrivania di mogano, nella sua spaziosa poltrona di pelle nera, alle sue spalle degli scaffali, anch’essi in legno pregiato, pieni di libri che non aveva mai letto, ma che nascondevano un’entrata segreta al seminterrato diretta a un corridoio che conduceva all’esterno della proprietà. Lui sollevò gli occhi da una pila di fogli, i capelli grigi lisciati all’indietro. «Siediti.» Sprofondai in una delle sedie di fronte alla scrivania, le mani riposte in grembo, cercando di non mordermi il labbro inferiore. Papà lo odiava. Aspettai che iniziasse a parlare. Aveva un’espressione strana mentre mi osservava. «La Bratva e la Triade stanno cercando di impossessarsi dei nostri territori. Si fanno più spregiudicati ogni giorno che passa. Siamo più fortunati della Famiglia di Las Vegas, che deve vedersela anche con i messicani, ma non possiamo più ignorare la minaccia dei russi e dei taiwanesi.» Ero confusa. Papà non parlava mai di affari con noi. Le ragazze non avevano bisogno di conoscere i dettagli della criminalità organizzata. Sapevo bene di non doverlo interrompere. «Dobbiamo mettere da parte i nostri dissidi con la Famiglia di New York e unire le forze, se vogliamo rispondere alla Bratva e alla Triade.» Fare pace con loro? Papà, e ogni altro membro dell’Organizzazione di Chicago, li odiava. Si erano fatti fuori l’un l’altro per decenni e, solo di recente, avevano deciso di ignorarsi per sterminare i membri di altri gruppi criminali, come la Bratva e la Triade. «Esiste solo un legame forte. Se non altro, la Famiglia l’ha capito bene.» Mi accigliai. «“Nato nel sangue. Giurato con il sangue.” È questo il loro motto.» Annui, ma ero sempre più confusa. «Ieri ho incontrato Salvatore Vitiello.» Papà che si vedeva con il Capo dei Capi, il boss della mafia di New York? Erano dieci anni che non si incontravano e l’ultima volta non era finita bene. Se ne parlava ancora come del giovedì di sangue. E papà era soltanto il consigliere, il consulente di Fiore Cavallaro, che governava l’Organizzazione e il crimine nel Midwest. «Ci siamo trovati d’accordo sul fatto che se vogliamo dare una possibilità alla pace, dobbiamo diventare una famiglia.» Il suo sguardo m’inchiodò al mio posto e, d’un tratto, non volli sapere cos’altro intendeva dirmi. «Cavallaro e io abbiamo concordato che sposerai suo figlio maggiore, Luca, il futuro Capo dei Capi della Famiglia.» Fui sul punto di cadere a terra. «Perché io?» «Nelle ultime settimane Vitiello e Fiore si sono sentiti spesso al telefono e lui voleva la ragazza più bella per Luca. Ovviamente non possiamo dargli la prole di uno dei nostri picciotti. Fiore non ha figlie, ma ha detto che tu sei la più bella giovane disponibile.» Gianna era altrettanto affascinante, solo più giovane. Probabilmente era stato questo a salvarla. «Ci sono così tante ragazze incantevoli» replicai. Non riuscivo a respirare. Papà mi fissava come se fossi la sua proprietà più preziosa. «Non ci sono molte italiane con dei capelli come i tuoi. Fiore li ha definiti “tessuti nell’oro”» sghignazzò papà. «Sei la nostra porta d’ingresso nella Famiglia di New York.» «Ma… ho quindici anni. Non posso sposarmi.» Fece un gesto di noncuranza. «Se dovessi accettare, si farà. Che cosa ce ne importa delle leggi?» Mi aggrappai ai braccioli della sedia con tale forza da farmi sbiancare le nocche, ma non provavo alcun dolore. Il torpore si stava impossessando del mio corpo. «Comunque, ho detto a Salvatore che per il matrimonio dovrà aspettare finché tu non compirai diciotto anni. Tua madre è stata irremovibile sul fatto che tu fossi maggiorenne e che finissi la scuola. Fiore si è lasciato intenerire dalle sue suppliche.» Così, il Capo aveva detto a papà che il matrimonio doveva aspettare. Lui, invece, mi avrebbe buttato all’istante fra le braccia del mio futuro sposo. Mio marito. Fui travolta da un’ondata di nausea. Sapevo solo due cose su Luca Vitiello: sarebbe diventato il Capo della criminalità organizzata di New York, non appena suo padre si fosse ritirato o fosse morto, ed era stato soprannominato “la Morsa” per aver strangolato un uomo a mani nude. Non conoscevo la sua età. Mia cugina Bibiana aveva dovuto sposare un uomo trent’anni più grande di lei. Luca non poteva essere così vecchio dato che suo padre non si era ancora ritirato. Se non altro, era quello che speravo. Era un uomo crudele? Aveva strangolato una persona. Diventerà il Capo della mafia di New York. «Papà» bisbigliai. «Ti prego, non obbligarmi a sposarlo.» L’espressione di mio padre s’indurì. «Tu diventerai la moglie di Luca Vitiello. Ho suggellato la promessa stringendo la mano a suo padre Salvatore. Sarai una buona compagna e, quando lo incontrerai per la festa di fidanzamento, ti comporterai come una signora ubbidiente.» «Festa di fidanzamento?» ripetei. La mia voce suonava distante, come se un velo mi coprisse le orecchie. «Naturalmente. È un buon modo per costruire legami tra le nostre famiglie e darà a Luca la possibilità di vedere cosa ci guadagnerà da questo accordo. Non vogliamo deluderlo.» «Quando?» domandai, schiarendomi la voce, ma il groppo in gola non se ne andò. «Per che giorno è prevista la promessa di matrimonio?» «Agosto. Non abbiamo ancora stabilito una data.» Mancavano due mesi. Annuii come intontita. Adoravo leggere i romanzi d’amore e, ogni volta che i protagonisti si sposavano, fantasticavo su come sarebbe stato il loro matrimonio. Lo immaginavo pieno di amore ed eccitazione. Sogni vuoti di una ragazza stupida. «Quindi ho il permesso di continuare la scuola?» Ma poi, che importanza aveva se mi diplomavo? Non sarei mai andata all’università. Tutto ciò che mi avrebbero consentito sarebbe stato scaldare il letto di mio marito. Il groppo in gola m’impedì di respirare e gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma m’imposi di non piangere. Nostro padre odiava che perdessimo il controllo. «Sì. Ho detto a Vitiello che frequenti una scuola cattolica femminile e gli ha fatto piacere.» Ovvio. Non poteva rischiare che mi avvicinassi ai ragazzi. «È tutto?» «Per il momento.» Lasciai l’ufficio come in trance. Avevo compiuto quindici anni quattro mesi prima. Quel compleanno mi era sembrato un enorme passo avanti verso il futuro, ero così eccitata. Che sciocca! La mia vita era già finita prima ancora di iniziare. Tutto era già stato deciso al posto mio. *** Non riuscivo a smettere di piangere. Avevo la testa appoggiata sul grembo di Gianna, che mi accarezzava i capelli. Aveva tredici anni, era più giovane di me di diciotto mesi soltanto, ma quel giorno, quei diciotto mesi, facevano la differenza tra la libertà e la vita in una prigione priva di amore. Cercavo con tutta me stessa di non avercela con lei. Non era colpa sua. «Potresti provare a parlare di nuovo con papà. Forse cambierà idea» bisbigliò. «Non lo farà.» «Magari mamma riuscirà a convincerlo.» Nostro padre non avrebbe permesso a una donna di prendere una decisione al posto suo. «Qualsiasi cosa faccia o dica chiunque, non cambierà la situazione» ammisi tristemente. Non vedevo mamma da quando mi aveva mandata nell’ufficio di papà. Probabilmente non riusciva ad affrontarmi, sapendo a cosa mi aveva condannata. «Ma Aria…» Sollevai la testa e mi asciugai le lacrime dal viso. Gli occhi cerulei di Gianna mi fissavano angosciati, la stessa sfumatura azzurra di un cielo estivo dei miei. I miei capelli, però, erano biondo chiaro, mentre i suoi rossi. Talvolta papà la chiamava strega e non era un vezzeggiativo. «Ha dato la sua parola al padre di Luca con una stretta di mano.» «Si sono incontrati?» Era quello che mi chiedevo anch’io. Perché aveva trovato il tempo di vedersi con il Capo della Famiglia di New York e non quello di dirmi della sua intenzione di vendermi come una sgualdrina? Mi scossi di dosso la frustrazione e la disperazione che mi stavano dilaniando. «Così mi ha detto.» «Ci dev’essere qualcosa che possiamo fare» sbottò Gianna. «No, non c’è.» «Ma non hai nemmeno incontrato quel tizio. Non sai neanche che faccia abbia! Potrebbe essere brutto, grasso e vecchio.» Oh Dio. Mi augurai che fossero le sole caratteristiche di Luca di cui dovermi preoccupare. «Cerchiamolo su Google. Ci saranno delle sue foto in Rete.» Gianna balzò in piedi e prese il mio laptop dalla scrivania, poi venne a sedersi accanto a me, i nostri fianchi premuti l’uno contro l’altro. Trovammo diversi articoli e immagini del mio futuro marito. Aveva le iridi grigie più fredde che avessi mai visto. Potevo immaginare fin troppo bene come quegli occhi fissassero le sue vittime prima che una pallottola si piantasse nelle loro teste. «È il più alto di tutti» osservò Gianna stupita. Lo era sul serio. In ogni foto sovrastava di diversi centimetri chiunque gli stesse accanto ed era muscoloso. Forse per questo la gente, alle sue spalle, lo aveva soprannominato “il Toro.” Si trattava del nomignolo usato negli articoli in cui veniva definito l’erede di Salvatore Vitiello, uomo d’affari e proprietario di locali notturni. Uomo d’affari. Forse dall’esterno. Sapevano tutti chi fosse davvero, ma ovviamente nessuno era tanto stupido da scriverlo. «È con una ragazza diversa in ogni foto.» Rimasi a fissare il viso privo di emozione del mio futuro marito. Il giornale lo descriveva come lo scapolo più ambito di New York, erede di centinaia di milioni di dollari. Rampollo di un impero di morte e sangue, ecco che cosa avrebbero dovuto scrivere. Gianna sbuffò. «Mio Dio, le ragazze gli si buttano addosso. Suppongo che sia bello.» «Possono prenderselo» replicai amaramente. Nel nostro mondo, un bell’aspetto esteriore nascondeva spesso un mostro. Le giovani dell’alta società vedevano la sua bella faccia e la sua ricchezza. Pensavano che l’aria da cattivo ragazzo fosse un gioco. Adulavano il suo carisma da predatore perché irradiava potere. Ma quello che non sapevano era che sotto quel sorriso arrogante si celavano sangue e morte. Mi alzai bruscamente. «Devo parlare con Umberto.» Umberto aveva quasi cinquant’anni ed era un fedele picciotto di mio padre. Faceva anche da guardia del corpo a me e a Gianna. Sapeva tutto di tutti. Mamma lo definiva un pettegolo. Ma se c’era qualcuno che poteva dirmi qualcosa in più su Luca, era lui. *** «È diventato un uomo d’onore a undici anni» disse Umberto mentre, come ogni giorno, affilava un coltello su una mola. L’aroma di pomodoro e origano riempiva la cucina, ma non mi era di conforto come accadeva di solito. «A undici anni?» replicai, cercando di controllare il tono di voce. La maggior parte delle persone non diventavano membri della mafia fino al sedicesimo compleanno. «Per via di suo padre?» Umberto sorrise, rivelando un incisivo dorato. Interruppe quello che stava facendo. «Pensi che per lui sia stato più facile perché è il figlio del Capo? Ha ucciso il suo primo uomo a undici anni, ecco perché lo hanno affiliato in anticipo.» Gianna ansimò. «È un mostro.» Umberto si strinse nelle spalle. «È ciò che deve essere. Per governare New York non puoi essere una fighetta.» Ci rivolse un sorriso di scuse. «Una mammoletta.» «Com’è successo?» Non ero sicura di volerlo sapere davvero. Se Luca aveva ucciso il suo primo uomo a undici anni, quanti altri ne aveva ammazzati nei nove successivi? Umberto scosse la testa rasata, grattandosi la lunga cicatrice che gli scendeva dalla tempia al collo. Era magro e non sembrava un granché, ma mamma mi aveva detto che in pochi erano più veloci di lui con il coltello. Non lo avevo mai visto combattere. «Non lo so. Non sono così intimo con quelli di New York.» Osservai la nostra cuoca mentre preparava la cena, mi sforzavo di concentrarmi su qualcosa che non fosse il nodo allo stomaco e la paura che mi schiacciava. Umberto mi scrutò con attenzione. «È un buon partito. Molto presto sarà l’uomo più potente della costa Est. Ti proteggerà.» «E chi mi salverà da lui?» sibilai. Non disse nulla perché la risposta era chiara: nessuno avrebbe potuto tutelarmi da Luca, dopo il matrimonio. Né Umberto né mio padre, se non lo riteneva necessario. Nel nostro mondo, le donne appartenevano al marito. Erano una sua proprietà di cui poteva disporre come voleva.
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