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2025 Words
Capitolo 2 Gli ultimi due mesi erano trascorsi alla velocità della luce, poco importava quanto desiderassi che il tempo rallentasse per permettermi di prepararmi. Mancavano solo due giorni alla mia festa di fidanzamento. Mamma era impegnata a dare ordini alla servitù, assicurandosi che la casa fosse immacolata e nulla andasse storto. Il ricevimento avrebbe ospitato poche persone. Ci sarebbero state solo la nostra famiglia, quella di Luca e quelle dei rispettivi capi di New York e Chicago. Umberto diceva che era per motivi di sicurezza. La tregua era ancora troppo recente per rischiare di riunire centinaia di ospiti. Io avrei preferito che la festa fosse annullata. Per quello che mi importava, non era necessario che incontrassi Luca fino al giorno del matrimonio. Fabiano saltava sul mio letto, il faccino imbronciato. Aveva solo cinque anni e possedeva fin troppa energia. «Voglio giocare!» «Mamma non ama che corri per casa. Deve essere tutto perfetto per gli ospiti.» «Ma non sono nemmeno qui.» Grazie a Dio. Luca e il resto degli invitati newyorkesi sarebbero arrivati l’indomani. Ancora una notte prima d’incontrare il mio futuro marito, un uomo che uccideva a sangue freddo. Chiusi gli occhi. «Piangi ancora?» chiese Fabiano, che saltò giù dal letto e mi raggiunse, infilando la mano nella mia. I suoi capelli biondo scuro erano un disastro. Cercai di lisciarglieli, ma lui si tirò indietro. «Che cosa vuoi dire?» Avevo cercato di nascondergli le mie lacrime. Perlopiù piangevo di notte, al riparo dell’oscurità. «Lily dice che ti disperi in continuazione perché Luca ti ha comprata.» M’irrigidii. Avrei dovuto dire a Liliana di smettere di raccontare certe cose. Mi avrebbe solo messa nei guai. «Non è così.» Bugiarda. Bugiarda. «È come se lo avesse fatto» commentò Gianna dalla soglia, spaventandomi. «Shh. Se ti sentisse papà!» Lei si strinse nelle spalle. «Lo sa che odio il modo in cui ti ha venduta, come una vacca.» «Gianna» l’ammonii con un cenno della testa verso il piccolino. Fabiano mi guardò. «Non voglio che tu te ne vada» mi disse. «Starò qui per un sacco di tempo, Fabi.» Mio fratello sembrò soddisfatto della risposta e la preoccupazione sparì dal suo volto, sostituita da un’espressione che non prometteva niente di buono. «Prendimi» urlò e sfrecciò via, spingendo Gianna di lato mentre la superava. Lei si lanciò al suo inseguimento. «Ti riempirò di calci nel sedere, mostriciattolo!» Mi precipitai in corridoio. Liliana mise la testa fuori dalla sua stanza e poi, anche lei, cominciò a rincorrere mio fratello e mia sorella. La mamma mi avrebbe tagliato la testa se avessero distrutto un altro cimelio di famiglia. Scesi le scale di corsa. Fabiano era ancora primo. Era veloce, ma Liliana lo aveva quasi raggiunto, mentre Gianna e io eravamo troppo lente a causa dei tacchi che nostra madre ci obbligava a indossare per fare pratica. Mio fratello si fiondò nel corridoio che conduceva all’ala ovest della casa e noi lo seguimmo a ruota. Volevo gridargli di fermarsi. L’ufficio di papà era in questa parte dell’abitazione. Se ci avesse scoperti a giocare qui, saremmo stati in guai seri. Fabiano avrebbe dovuto comportarsi da uomo. Ma quale bambino di cinque anni lo faceva? Superammo lo studio di mio padre e mi sentii sollevata, ma poi tre uomini svoltarono l’angolo in fondo al corridoio. Aprii la bocca per gridare a mio fratello di fare attenzione, ma era troppo tardi. Lui riuscì a fermarsi, ma Liliana andò a sbattere a tutta velocità contro l’uomo al centro. La maggior parte delle persone avrebbe perso l’equilibrio, ma la maggior parte delle persone non era alta quasi due metri con i muscoli di un toro. Mi bloccai di colpo, anche il tempo sembrò fermarsi stridendo. Gianna, di fianco a me, sussultò, ma il mio sguardo era inchiodato sul mio futuro marito. Lui guardava in basso, verso la testa bionda della mia sorellina, la teneva ferma con le sue mani forti. Le stesse che aveva usato per schiacciare la gola di un uomo. «Liliana» dissi con voce resa acuta dalla paura. Non chiamavo mai mia sorella con il suo nome per esteso, a meno che non finisse nei guai o ci fosse qualcosa che non andava. Avrei voluto saper nascondere meglio il mio terrore. Ora fissavano tutti me, incluso Luca. I suoi freddi occhi grigi mi scrutarono dalla testa ai piedi, soffermandosi sui miei capelli. Mio Dio, quanto era alto! Gli uomini accanto a lui erano più di un metro e ottanta, ma Luca li sovrastava. Le sue dita erano ancora posate sulle spalle di mia sorella. «Liliana, vieni qui» le ordinai con fermezza, tendendo una mano. Volevo che si allontanasse da lui. Indietreggiando a passi incerti, mia sorella si rifugiò nelle mie braccia, affondando il viso nella mia spalla. Il mio futuro marito inarcò un sopracciglio scuro. «È Luca Vitiello!» esclamò Gianna a beneficio di tutti, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il proprio disgusto. Fabiano emise un verso, come un gatto selvatico inferocito e si buttò su Luca, cominciando a colpirgli le gambe e lo stomaco con i suoi pugnetti. «Lascia in pace Aria! Non l’avrai!» In quell’istante, il mio cuore cessò di battere. L’uomo accanto a Luca fece un passo avanti. Sotto la giacca s’intravedeva la sagoma di una pistola. Doveva essere la sua guardia del corpo, anche se non riuscivo esattamente a capire perché gliene servisse una. «No, Cesare» disse e l’uomo si bloccò. Luca prese le mani di mio fratello nelle sue, fermando l’assalto. Dubitavo persino che avesse sentito i colpi. Spinsi Lily verso Gianna, che le mise un braccio protettivo sulle spalle, quindi mi avvicinai al mio futuro marito. Ero spaventata a morte, ma dovevo allontanare Fabiano da lui. Forse New York e Chicago stavano cercando di mettere da parte i loro conflitti, ma bastava un niente per rompere un’alleanza. Non sarebbe stata la prima volta. Luca e i suoi uomini erano ancora il nemico. «Che calda accoglienza ci avete riservato. La nota ospitalità dell’Organizzazione» commentò l’altro uomo accanto a Luca, che aveva i suoi stessi capelli neri, ma gli occhi più scuri. Era qualche centimetro più basso di lui e anche meno muscoloso, ma era evidente che fossero fratelli. «Matteo» replicò Luca in un tono così roco da farmi rabbrividire. Mio fratello si stava ancora dimenando come un animaletto selvatico, ma “il Toro” lo teneva a distanza. «Fabiano» lo chiamai con voce ferma, afferrandolo per un braccio. «Adesso basta. Non è così che trattiamo i nostri ospiti.» Mio fratello s’immobilizzò, poi mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla. «Lui non è un ospite. Vuole portarti via, Aria.» Matteo ridacchiò. «È troppo divertente. Sono contento che papà mi abbia convinto a venire.» «Ordinato» lo corresse Luca, senza distogliere lo sguardo da me. Non riuscii a restituirglielo. Avevo le guance in fiamme per come mi stava fissando. Non ero abituata. Mio padre e le sue guardie del corpo si assicuravano che io e Gianna non ci trovassimo spesso in compagnia di uomini, e quelli a cui veniva consentito di avvicinarci erano o famigliari o persone di una certa età. Luca non era nessuno dei due. Aveva solo cinque anni più di me, ma sembrava un uomo fatto e, in confronto a lui, mi sentivo una ragazzina. Il mio futuro marito lasciò andare Fabiano e lo attirai a me, la sua schiena contro le mie gambe. Gli coprii il piccolo petto ansimante con le mani. Non aveva ancora smesso di guardare storto Luca. Avrei voluto avere il suo coraggio, ma lui era un maschio, l’erede del titolo di nostro padre. Non sarebbe stato obbligato a obbedire a nessuno, tranne al Capo. Poteva permettersi di avere baldanza. «Mi dispiace» mi scusai, anche se quelle parole mi nauseavano. «Mio fratello non voleva mancare di rispetto.» «Sì, invece!» urlò Fabiano. Gli coprii la bocca con il palmo della mano, mentre lui tentava di liberarsi dalla mia stretta, ma non lo mollai. «Non scusarti» rimbeccò Gianna bruscamente, ignorando la mia occhiata ammonitrice. «Non è colpa nostra se lui e le sue guardie del corpo occupano così tanto spazio in corridoio. Se non altro, Fabiano ha detto la verità. Tutti gli altri pensano di dovergli leccare il culo perché diventerà il Capo…» «Gianna!» La mia voce risuonò come una frustata. Mia sorella chiuse subito la bocca, fissandomi a occhi spalancati. «Accompagna Lily e Fabiano in camera loro. Adesso.» «Ma…» riprese, lanciando un’occhiata alle mie spalle. Ero lieta di non poter vedere l’espressione di Luca. «Adesso!» Gianna afferrò Fabiano per la mano e lo trascinò via, insieme a Lily. Non pensavo che il primo incontro con il mio futuro marito sarebbe potuto andare peggio di così. Facendomi forza, mi preparai ad affrontare lui e i suoi scagnozzi. Mi aspettavo una reazione furiosa, invece sul viso di Luca scorsi un sorrisetto. Le guance mi bruciavano d’imbarazzo e ora che mi trovavo da sola con tre uomini avevo lo stomaco stretto in una morsa. Mamma sarebbe andata su tutte le furie se avesse scoperto che per il primo incontro con il mio futuro marito non ero vestita di tutto punto. Indossavo uno dei miei abiti lunghi preferiti con le maniche che arrivavano fino ai gomiti ed ero silenziosamente grata della protezione che tutto quel tessuto mi offriva. Incrociai le braccia, insicura su cosa fare. «Mi scuso per i miei fratelli. Sono solo…» Faticavo a trovare una parola che non fosse “maleducati”. «Protettivi nei tuoi confronti» concluse semplicemente Luca, in tono piatto, privo di emozioni. «Questo è mio fratello, Matteo.» Sulle sue labbra aleggiava un ampio sorriso. Fui lieta che non cercasse di stringermi la mano. Non pensavo sarei riuscita a mantenere la calma se uno di loro si fosse avvicinato. «E questo è il mio braccio destro, Cesare.» Anche lui mi rivolse un brevissimo cenno del capo prima di rimettersi a scrutare il corridoio. Che cosa si aspettava? Non nascondevamo degli assassini in botole segrete. Fissai il mio sguardo sul mento di Luca, sperando sembrasse che lo stessi guardando negli occhi. Indietreggiai di un passo. «Dovrei tornare dai miei fratelli.» Lui mi rivolse un’occhiata d’intesa, ma non mi importava che avesse intuito il mio disagio o quanto mi spaventasse. Senza aspettare il suo permesso per allontanarmi, in fondo non era ancora mio marito né il mio fidanzato, mi voltai e me ne andai velocemente, orgogliosa di non aver ceduto all’impulso di correre. *** Mamma strattonò il vestito che papà aveva scelto per l’occasione. Per l’esibizione della mercanzia, come l’aveva definita Gianna. Poco importava quanto mamma tirasse, l’abito non si allungò di un millimetro. Mi guardai allo specchio con aria incerta. Non avevo mai messo niente di così scollato. Il vestito nero mi aderiva al sedere e alla vita, l’orlo, invece, finiva appena al di sopra della parte alta delle cosce. Il top era un bustino dorato scintillante con le bretelline in tulle nero. «Non posso indossarlo, mamma.» Incrociai il suo sguardo riflesso. Aveva i capelli raccolti, di alcune sfumature più scure dei miei. Sfoggiava un elegante abito lungo. Avrei tanto voluto avere il permesso di metterne uno altrettanto modesto. «Sembri una donna» bisbigliò. Feci una smorfia. «Sembro una prostituta.» «Quelle non possono permettersi un vestito simile.» L’amante di papà possedeva abiti che costavano più di quello che alcune persone spendevano per un’auto. Mamma mi appoggiò le mani sui fianchi. «Hai un vitino da vespa e questa mise ti fa sembrare le gambe lunghissime. Sono certa che Luca lo apprezzerà.» Guardai in basso verso il mio petto. Avevo dei seni piccoli, nemmeno l’effetto push-up del bustino poteva cambiare la realtà. Ero una quindicenne agghindata per sembrare una donna. «Ecco» mia mamma mi porse delle décolleté nere con tacco dodici. Indossandole, forse sarei arrivata all’altezza del mento di Luca. Ci scivolai dentro. Lisciandomi i capelli, mamma atteggiò il viso col suo solito sorriso finto. «Tieni la testa alta. Fiore Cavallaro ti ha definito la donna più bella di Chicago. Fai vedere a Luca e alla sua corte che sei più incantevole anche di qualsiasi ragazza di New York. Dopotutto, Luca le conosce quasi tutte.» Il modo in cui lo disse mi assicurò che anche lei aveva letto gli articoli sulle conquiste del mio futuro marito o forse papà le aveva raccontato qualcosa. «Mamma…» mormorai esitante, ma lei fece un passo indietro. «Vai adesso. Io ti seguirò, ma questo è il tuo giorno. Dovrai entrare da sola nella stanza. Gli uomini stanno aspettando. Tuo padre ti presenterà a Luca e poi andremo tutti insieme in sala da pranzo per la cena.» Per un istante pensai di prenderle la mano e supplicarla di accompagnarmi, invece mi voltai e uscii dalla mia stanza. Ero contenta che nelle ultime settimane mi avesse obbligata a portare i tacchi. Quando raggiunsi la porta che dava sul salotto con il camino, al primo piano dell’ala ovest, avevo il cuore in gola. Avrei voluto Gianna al mio fianco, ma era probabile che in quel momento mamma le stesse raccomandando di comportarsi bene. Dovevo affrontare la situazione da sola. Nessuno avrebbe dovuto rubare la scena alla futura sposa.
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