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2004 Words
Fissai il legno scuro della porta e considerai di darmela a gambe. Al di là risuonarono delle risate maschili, erano mio padre e il Capo. In quella stanza c’erano gli uomini più potenti e pericolosi del Paese e io dovevo entrarci. Un agnello da solo con i lupi. Scossi la testa: dovevo smettere di pensare in quel modo. Li avevo già fatti aspettare abbastanza. Afferrai la maniglia e l’abbassai. Scivolai dentro, evitando di guardare qualcuno mentre chiudevo la porta. Raccolsi il coraggio e affrontai il pubblico riunito nella stanza. La conversazione cessò. Dovevo forse dire qualcosa? Rabbrividii, sperando che non si notasse. Mio padre sembrava un gatto che si leccava i baffi. Cercai lo sguardo di Luca e i suoi occhi penetranti mi bloccarono sul posto. Trattenni il fiato. Lui posò il bicchiere con dentro un liquido scuro e percepii un sonoro rumore metallico. Se qualcuno non avesse detto subito una frase, sarei fuggita dalla stanza. Passai velocemente in rassegna i volti degli uomini. In rappresentanza di New York c’erano Luca, Matteo e Salvatore Vitiello, con due guardie del corpo: Cesare e un ragazzo che non conoscevo. Dell’Organizzazione di Chicago erano presenti mio padre, Fiore Cavallaro e suo figlio Dante, il futuro Capo, Umberto e mio cugino Raffaele, che odiavo con tutta me stessa. Di lato c’era il povero Fabiano, che era stato costretto a indossare un completo nero come tutti gli altri. Sarebbe voluto correre da me in cerca di conforto, ma sapeva cosa avrebbe pensato nostro padre a riguardo. Finalmente papà mi venne incontro, posò una mano sulla mia schiena e mi spinse verso gli uomini riuniti, come un agnello verso il macello. L’unico che sembrava annoiato al massimo era Dante Cavallaro, che aveva occhi solo per il suo scotch. Due mesi prima, la nostra famiglia aveva partecipato al funerale di sua moglie. Vedovo a poco più di trent’anni. Avrei provato pietà per lui, se non mi avesse spaventato a morte quasi quanto Luca. Naturalmente papà m’indirizzò subito verso il mio futuro marito, con espressione di sfida, come se si aspettasse che lui cadesse in ginocchio dallo stupore. A giudicare dagli occhi freddi e grigi di Luca posati su mio padre, invece, avrebbe potuto benissimo trovarsi davanti a un sasso e sarebbe stato lo stesso. «Questa è mia figlia, Aria.» A quanto pareva il mio futuro marito non aveva menzionato il nostro imbarazzante incontro. Fu Fiore Cavallaro a parlare: «Non avevo promesso troppo, no?» Avrei tanto desiderato che il pavimento si aprisse e m’ingoiasse all’istante. Non ero mai stata sottoposta a una simile… attenzione. Il modo in cui Raffaele mi guardava mi metteva i brividi. Era stato affiliato solo di recente e aveva compiuto diciotto anni due settimane prima. Da allora era diventato ancora più odioso del solito. «No» rispose Luca. Papà sembrava disgustato. Senza che nessuno lo notasse, Fabiano era sgattaiolato alle mie spalle facendo scivolare la sua manina nella mia. Be', Luca se n’era accorto e ora fissava mio fratello, cosa che aveva fatto spostare il suo sguardo fin troppo vicino alle mie cosce nude. Mi mossi a disagio e lui distolse gli occhi. «Forse i futuri sposi vogliono restare soli per qualche minuto?» suggerì Salvatore Vitiello. Il mio sguardo virò subito verso di lui, senza riuscire del tutto a nascondere lo shock. Luca l’intuì, ma sembrò non importargli. Mio padre sorrise e si voltò per andarsene. Non riuscivo a crederci. «Devo restare?» chiese Umberto. Gli rivolsi un veloce cenno, che svanì quando mio padre scosse il capo. «Concedigli qualche minuto da soli.» Salvatore Vitiello, addirittura, fece l’occhiolino a Luca. Uscirono tutti finché non restai da sola con il mio futuro sposo e mio fratello. «Fabiano» risuonò la voce tagliente di papà. «Vieni qui, ora.» Riluttante, mi lasciò andare la mano e se ne andò, non prima di aver rivolto a Luca l’occhiata più letale di cui un cinquenne poteva essere capace. Il mio futuro marito abbozzò un sorriso. Poi la porta si chiuse e restammo soli. Che cosa significava la strizzatina d’occhio del padre di Luca? Sbirciai il mio futuro marito. Avevo ragione: con i tacchi alti gli sfioravo il mento con la testa. Lui si mise a guardare fuori dalla finestra, senza nemmeno degnarmi di una seconda occhiata. Vestirmi da prostituta non lo aveva reso più interessato a me. E perché mai? Avevo visto le donne con cui usciva a New York. Avrebbero riempito meglio il bustino. «Hai scelto tu l’abito?» Sussultai, spaventandomi nel sentirlo parlare. La sua voce era calma e profonda. Si arrabbiava mai? «No» ammisi. «È stato mio padre.» Lo vidi serrare le mascelle. Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente e questo mi rendeva sempre più nervosa. Infilò la mano dentro la giacca e, per un assurdo istante, pensai sul serio che stesse per puntarmi addosso una pistola. Invece estrasse una scatolina scura. Si voltò verso di me e mi misi a fissargli la camicia color corvino. Camicia nera, cravatta nera, giacca nera. Tutto del colore della sua anima. Era il momento che milioni di donne sognavano, ma io provai una sensazione di gelo quando Luca aprì la scatolina. All’interno vi era un anello in oro bianco con un diamante centrale tra due brillanti poco più piccoli. Non feci una mossa. Quando l’imbarazzo tra noi raggiunse il culmine, lui tese una mano. Con le guance in fiamme gli porsi la mia, trasalendo quando la sua pelle mi sfiorò. Mi fece scivolare l’anello al dito, poi mi lasciò andare. «Grazie» mi sentii obbligata a dire, oltre che a guardarlo in viso, ma la sua espressione rimase impassibile, diversamente dallo sguardo nei suoi occhi. Era arrabbiato. Avevo fatto qualcosa di sbagliato? Mi porse il braccio e io ci infilai il mio sotto, permettendogli di condurmi fuori dal salotto in direzione della sala da pranzo. Non ci rivolgemmo la parola. Forse era rimasto così deluso da me che avrebbe annullato il fidanzamento? In tal caso, non mi avrebbe messo l’anello. Quando entrammo nella stanza, le donne della famiglia avevano raggiunto gli uomini. I Vitiello non avevano portato alcuna compagnia femminile. Forse perché non si fidavano a sufficienza di mio padre e dei Cavallaro per rischiare di far entrare le loro mogli in casa nostra. Non potevo biasimarli. Io stessa non mi sarei fidata né di mio padre né del Capo. Luca mi lasciò andare il braccio e raggiunsi velocemente mia madre e le mie sorelle, che finsero di ammirare l’anello. Gianna mi lanciò un’occhiata strana. Non so in che modo nostra madre l’avesse minacciata per farle tenere la bocca chiusa. Ero certa che avesse un commento caustico sulla punta della lingua. Scossi la testa fissandola e lei alzò gli occhi al cielo. La cena trascorse come se fossi immersa nella nebbia. Gli uomini parlarono di affari, mentre noi donne restammo in silenzio. Il mio sguardo continuava a tornare sull’anello al mio dito: era troppo pesante, troppo stretto, semplicemente troppo. Luca mi aveva marchiato come sua proprietà. *** Dopo cena, gli uomini tornarono in salotto per bere, fumare e parlare di qualsiasi cosa avesse ancora bisogno di essere discussa. Io rientrai in camera mia, ma non riuscivo a prendere sonno. Alla fine m’infilai una vestaglia sopra il pigiama, scivolai fuori dalla mia stanza e scesi, senza far rumore, al pianterreno. In un attacco di follia, imboccai il passaggio che conduceva alla porta segreta, dietro la parete del salotto. Mio nonno aveva ritenuto necessario che l’ufficio e la sala con il camino avessero delle uscite nascoste, perché erano le stanze in cui i maschi della famiglia tenevano di solito i loro incontri. Mi domandai che cosa pensava che sarebbe accaduto alle donne, dopo che gli uomini si fossero dati alla fuga attraverso il passaggio segreto. Ci trovai Gianna, con lo sguardo contro il buco della serratura della porta nascosta. Ovvio che lei fosse già lì. Si girò, gli occhi spalancati, ma si rilassò quando vide che ero io. «Che sta succedendo lì dentro?» domandai bisbigliando, preoccupata che gli uomini in salotto potessero sentirci. Lei si spostò di lato per permettermi di osservare attraverso il secondo buco della serratura. «Se ne sono andati quasi tutti. Papà e Cavallaro devono discutere dei dettagli con Salvatore Vitiello. Ci sono solo Luca e il suo gruppo.» Strizzai gli occhi per guardare dal buco, che mi consentiva una perfetta visuale delle sedie disposte intorno al focolare. Il mio futuro marito si era appoggiato alla mensola di marmo del camino, le gambe incrociate con noncuranza, un bicchiere di scotch in mano. Suo fratello Matteo sedeva in una poltrona accanto a lui, in una posa rilassata e il solito sorriso feroce sulle labbra. Cesare e la seconda guardia del corpo, che durante la cena scoprii chiamarsi Romero, avevano preso posto nelle altre poltrone. Romero sembrava avere la stessa età di Matteo, quindi circa diciotto anni. Non certo uomini per gli standard sociali, ma lo erano nel nostro mondo. «Sarebbe potuta andare peggio» disse Matteo, sorridendo. Magari non sembrava letale come Luca, ma qualcosa nei suoi occhi mi diceva che era soltanto capace di nasconderlo meglio. «Poteva essere brutta. Ma, porca puttana, la tua fidanzatina è una visione. Quel vestito. Quel corpo. Quei capelli. Quel viso.» Matteo fece un fischio. Sembrava volesse provocare suo fratello di proposito. «È una bambina» replicò Luca, sprezzante. Mi sentii invadere dall’indignazione, ma ero contenta che lui non mi guardasse come un uomo dovrebbe fare con una donna. «A me non sembrava proprio» ribatté Matteo, facendo schioccare la lingua. Poi diede di gomito all’uomo più vecchio, Cesare. «Tu che ne dici? Luca è cieco?» Lui si strinse nelle spalle e rivolse al mio futuro marito un’occhiata prudente. «Non l’ho guardata bene.» «E tu, Romero? Hai degli occhi che funzionano?» Sollevò lo sguardo, poi lo riabbassò velocemente sul suo drink. Matteo buttò la testa indietro ridendo. «Cazzo, Luca, hai detto ai tuoi uomini che gli avresti tagliato l’uccello se avessero guardato quella ragazza? Non l’hai ancora sposata.» «È mia» dichiarò con calma. La sua voce mi provocò un brivido lungo la schiena, per non parlare dei suoi occhi. Guardò Matteo, che scosse la testa. «Per i prossimi tre anni tu sarai a New York e lei resterà qui. Non potrai tenerla sempre d’occhio o intendi minacciare tutti gli uomini dell’Organizzazione? Non puoi tagliare l’uccello a tutti. Può darsi che Scuderi conosca qualche eunuco che può farle la guardia.» «Farò quello che devo fare» disse Luca, girando il liquido nel bicchiere. «Cesare, trova i due idioti che dovrebbero proteggere Aria.» Il modo in cui pronunciò il mio nome mi fece rabbrividire. Non sapevo di avere due guardie del corpo. Era sempre stato Umberto a vegliare su me e le mie sorelle. Cesare uscì immediatamente, tornò dieci minuti dopo con Umberto e Raffaele, entrambi abbacchiati per essere stati convocati come due cagnolini da qualcuno di New York. Papà era subito dietro di loro. «Che significa tutto questo?» domandò mio padre. «Voglio fare due chiacchiere con gli uomini che hai scelto per proteggere ciò che è mio.» Gianna sbuffò di fianco a me, ma io le diedi un pizzicotto. Nessuno doveva sapere che stavamo ascoltando la conversazione. Papà sarebbe andato su tutte le furie se avessimo rivelato la posizione della porta segreta. «Sono entrambi dei bravi picciotti. Raffaele è il cugino di Aria e Umberto lavora per me da quasi vent’anni.» «Vorrei decidere io se posso fidarmi» ribatté Luca. Trattenni il fiato. Era quanto di più vicino a un insulto potesse arrivare, senza offendere apertamente mio padre, che strinse le labbra, ma annuì. Rimase nella stanza. Luca si avvicinò a Umberto. «Ho sentito che sei bravo con il coltello.» «Il migliore» intervenne papà. Un muscolo guizzò sulla guancia di Luca. «Non così bravo come tuo fratello, da quanto mi hanno riferito» rispose Umberto con un cenno verso Matteo, che gli rivolse un sorriso da squalo. «Ma migliore di qualsiasi altro nel nostro territorio» ammise alla fine. «Sei sposato?» Umberto annuì. «Da ventun anni.» «È un sacco di tempo» commentò Matteo. «Aria deve sembrarti terribilmente deliziosa se paragonata alla tua vecchia moglie.» Soffocai un sussulto. La mano di Umberto si spostò di qualche centimetro verso il fodero che portava in vita. Se ne accorsero tutti. Papà osservava come un falco, ma non interferì. Umberto si schiarì la voce. «Conosco Aria da quando è nata. È una bambina.» «Non lo sarà ancora per molto» replicò Luca. «Ai miei occhi sarà sempre una bambina. E io sono fedele a mia moglie» ribatté Umberto, fulminando Matteo con lo sguardo. «Se la insulterai di nuovo, chiederò a tuo padre il permesso di sfidarti in un combattimento con il coltello per difendere il suo onore e ti ucciderò.» La faccenda sarebbe finita male. Matteo piegò la testa. «Potresti provarci» lo sfidò, scoprendo i denti bianchi. «Ma senza successo.»
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