Capitolo 12

722 Words
12 Yulia "Bayu-bayushki-bayu, ne lozhisya na krayu. . ." Mia madre mi sta cantando una ninna nanna russa, con voce dolce, mentre mi sistemo meglio sotto la coperta. "Pridyot seren'kiy volchok, i ukusit za bochok. . ." È stonata, e le parole narrano di un lupo grigio che mi morderà il fianco, se rimarrò sdraiata troppo vicino al bordo del letto, ma la melodia è confortante, come il sorriso di mia madre. Mi inebrio, godendomela il più a lungo possibile, ma parola dopo parola la voce di mia madre si fa più debole e lontana, fin quando rimane solo il silenzio. Silenzio e un buio vuoto e freddo. "Non andare, Mamma" sussurro. "Resta a casa. Non andare da Nonno stasera. Ti prego, resta a casa." Ma non c’è alcuna risposta. Non c’è mai una risposta. Ci sono solo l’oscurità e il rumore del pianto di Misha. Ha la febbre e vuole i nostri genitori. Lo prendo in braccio e lo cullo, con il peso del corpo del bambino che mi conforta in quel mare tenebroso. "Va tutto bene, Mishen'ka. Va tutto bene. Andrà tutto bene. Mi prenderò cura di te. Staremo bene, te lo prometto." Ma non smette di piangere. Piange per tutta la notte. Le sue urla diventano isteriche, quando arriva la direttrice la mattina seguente, e capisco che gli ha fatto qualcosa. Ho visto i lividi sulle sue gambe, quando è uscito dall’ufficio della donna ieri sera. In qualche modo, gli ha fatto del male, l’ha traumatizzato. Non ha smesso di piangere da allora. "No, non prenderlo." Cerco di tenere Misha, ma lei mi spinge via, portando mio fratello con sé. La seguo, ma due ragazzi più grandi mi sbarrano la strada, formando un muro umano davanti a me. "Non farlo" dice uno dei ragazzi. "Non servirà a niente." I suoi occhi sono neri come la pece, come il buio intorno a me, e mi gira la testa. Mi sento persa, davvero persa in quelle tenebre. "Ho una proposta per te, Yulia." Un uomo con un bel vestito elegante mi sorride, con gli occhi color nocciola freddi e calcolatori. "Un affare, se vuoi. Non sei troppo giovane per un accordo, no?" Alzo il mento, incontrando il suo sguardo. "Ho undici anni. Posso fare qualsiasi cosa." "Bayu-bayushki-bayu, ne lozhisya na krayu. . ." "È colpa tua, troia." Mani crudeli mi afferrano, trascinandomi nell’oscurità. "È tutta colpa tua." "Pridyot seren'kiy volchok, i ukusit za bochok. . ." La melodia si interrompe di nuovo, e piango, piango e combatto, mentre sprofondo nel buio. "Parlami del programma." Due braccia forti mi prendono, imprigionandomi contro un muscoloso corpo maschile. So che dovrei essere terrorizzata, ma quando alzo lo sguardo e scruto gli occhi chiari dell’uomo sento il calore dentro di me. Il suo volto è duro, con ogni lineamento scolpito nella pietra, ma i suoi occhi grigio-azzurri sprigionano un calore che non provavo da anni. C’è una promessa di sicurezza in essi, e qualcos’altro. Qualcosa che bramo con tutta l’anima. "Lucas. . ." Sono disperata, quando lo raggiungo. "Scopami, ti prego. Per favore." Spinge dentro di me, dilatandomi con il suo cazzo, trafiggendomi, e il suo calore dissipa il freddo persistente. Sto bruciando, e non è sufficiente. Non mi basta. "Ti amo" sussurro, scavando con le unghie nella sua schiena muscolosa. "Ti amo, Lucas." "Yulia." La sua voce è fredda e distante, quando dice il mio nome. "Yulia, è giunto il momento." "Per favore" lo imploro, raggiungendo Lucas, ma sta già svanendo. "Ti prego, non andare. Resta con me." "Yulia." Una mano mi tocca la spalla. "Svegliati." Ansimando, mi siedo sul letto e guardo nei freddi occhi color nocciola di Obenko. Il cuore mi martella nella gola, e sono ricoperta da un sottile strato di sudore. Girando la testa, osservo la carta da parati e la luce grigia che filtra dalla finestra sporca. Non c’è Lucas qui, nessuno che mi stringa nel buio. Sono nella camera da letto della casa-rifugio, dove devo essermi addormentata prima dell’interrogatorio. "Ho. . . Ho detto qualcosa?" chiedo, cercando di stabilizzare il mio respiro incerto. Il sogno sta già svanendo dalla mia memoria, ma i pezzi che ricordo sono sufficienti a mettermi le viscere in subbuglio. "No." Il volto di Obenko è inespressivo. "Avresti dovuto?" "No, certo che no." Il mio frenetico battito sta cominciando a rallentare. "Dammi un minuto per rinfrescarmi, e sarò da te." "Va bene." Obenko esce dalla mia stanza, e mi stringo la coperta sul corpo, alla disperata ricerca di quel po’ di comfort che riesco a trovare.
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