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Whisky and Mojito

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«Cazzo!»-gli occhi dell'uomo finiscono sulla mia figura, mentre allontana bruscamente il suo giocattolo.

Solo ora mi accorgo che la donna non è altro che la nipote di William, anche lei sua dipendente, ma mi è nuova la faccia di questo puttaniere.

«Sei solita fissare la gente mentre scopa?»-mi rivolge un'occhiata gelida, che mi fa quasi venire i brividi.

«Sei solito scopare nell'ufficio del gestore?»-alzo un sopracciglio con fare prepotente.

Questo tipo mi piace tanto quanto la rossa che in questo momento mi rivolge strane occhiate.

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1) Che razza di sport si può praticare con la minigonna e il perizoma?!
WHISKY AND MOJITO Edizione: 2020 EMA OQU INSTAGRAM: ema_8570 Facebook Ema Oqu Seattle Boxing Gym , Seattle, WA, United States Arrivo a destinazione in fretta e furia, prima che il mio capo si accorga del ritardo: ho sempre odiato lavorare di domenica, ma spesso mi tocca per questo orario di merda . Non appena entro in palestra una puzza di deodoranti Men Expert mi invade le narici, anche se dopo quattro anni di lavoro ci sono abituata. «Hai fatto di nuovo a botte con un piccione, per caso?»-Hardin mi blocca il passaggio, avvolgendomi un braccio intorno alle spalle. Non so come la nostra relazione sia durata più di un anno, ma è l'unico che fin'ora ha imparato ad accertarmi con tutti i miei vizi, e soprattutto a prescindere dalle mie continue figure di merda. Il nostro primo appuntamento, infatti, è finito con me che picchiavo un uccello con l'ombrello, dopo che mi aveva macchiato la felpa con le sue feci. Mi dà un bacio sulle labbra, alzando gli occhi al cielo: ha imparato anche che non prendo mai l'iniziativa di baciarlo. «Ho dimenticato di mettere la sveglia.»-sbuffo e non mi stupisco quando dalla sua bocca esce un: «Infatti sei nei guai, il nuovo capo ti aspetta in ufficio!» Nuovo capo? Assumo un'espressione corrucciata mentre il mio ragazzo parla invano di non so cosa. Vorrà dire che finalmente mi sono liberata di quel ipocrita, pedofilo e vecchio di William: non vedevo l'ora che andasse in pensione, anche se devo ammettere che era davvero un tipo forte. Infatti non ho mai conosciuto prima d'ora un istruttore di boxe vecchio quanto Merlino, con i muscoli e con la sfacciataggine di un adolescente rompiscatole in calore e con l'ingenuità del tacchino induttivista. Mentre penso al suo carattere capisco anche quanto sia impossibile che sia andato in pensione: l'unica spiegazione che spiega la sua assenza è che sia morto... Meglio ancora. Almeno non rischio di rincontrarlo fuori dal mio appartamento: abitiamo nello stesso palazzo, dato che si è trasferito a Seattle da poco, e da quando ho saputo che era anche il mio capo, maledico il giorno in cui ho deciso di vivere proprio lì. «Beh, condoglianze!»-sospiro sorridente, mentre mi allontano fiera, pronta ad affrontare il nuovo gestore della palestra. «Ma perché? Chi è morto?»-sento Hardin farfugliare alle spalle, ma lo lascio lì perplesso, attraversando la gigantesca palestra. Raggiungo il corridoio tra i corpi sudati dei diversi istruttori, anche se cerco di non far caso alle biondine rifatte dalla punta dei capelli alle unghie. Non ho mai apprezzato il mio aspetto: i miei capelli non sono né scuri come il carbone, ne biondi come i raggi del sole, ma di un castano sulle tonalità della cacca. Tra l'altro non sono propriamente mossi, ma ora ricci ora lisci, dipende dal mio umore. Al posto degli occhi ho due palline grigie che mi fanno apparire più depressa di quanto non lo sia già. Non so molto di mia madre, ma dicono che anche lei abbia gli occhi chiari. Senza nemmeno bussare alla porta, trovandola mezza aperta, irrompo nell'ufficio del gestore, ma faccio un salto indietro quando vedo una donna dai capelli rosso fuoco seduta su un uomo, mentre questi intrufola le lunghe dita nei suoi capelli. La sento gemere, il che davvero mi fa venir voglia di vomitare, ma resisto e assisto a quella scena. Incrocio le braccia e mi appoggio allo stipite della porta, aspettando che uno dei due se ne accorga. «Cazzo!»-gli occhi dell'uomo finiscono sulla mia figura, mentre allontana bruscamente il suo giocattolo. Solo ora mi accorgo che la donna non è altro che la nipote di William, anche lei sua dipendente, ma mi è nuova la faccia di questo puttaniere. «Sei solita fissare la gente mentre scopa?»-mi rivolge un'occhiata gelida, che mi fa quasi venire i brividi. «Sei solito scopare nell'ufficio del gestore?»-alzo un sopracciglio con fare prepotente. Questo tipo mi piace tanto quanto la rossa che in questo momento mi rivolge strane occhiate. Non le ho mai rivolto la parola: conoscendo William potevo già immaginare come sarebbe stata la nipote. E poi, che razza di sport si può praticare con la minigonna e il perizoma?! Forse l'unica attività che pratica in questa palestra è scavalcare gli istruttori... L'espressione dell'uomo non cambia, mentre mantiene il suo sguardo fisso nel mio. «Puoi andare.»-per un momento penso che quelle parole siano rivolte a me, ma poi il suo sguardo si sposta alla figura al mio fianco. Lei sbuffa, ma dopo si allontana con l'aria da chihuahua lapidato, non senza imprecare a bassa voce. «Tu saresti?»-non so se rispondergli male o essere seria. Molto probabilmente è il mio nuovo capo, dato il tono autoritario della sua voce. «Sul punto di vomitarti addosso...»-sussurro tra me e me, mentre mi avvicino alla sua cattedra: chissà cosa avranno fatto prima che arrivassi io, ma posso immaginarlo da come si aggiusta la cintura con un'aria serena, ma palesemente infastidito della mia risposta. Guardo la sedia due volte prima di sedermi, quasi temendo di vedere strisce di spermatozoi in giro. Corruga le sopracciglia, mentre gli occhi in giro: ha già cambiato la stanza. Dove prima c'era la foto di William, ora c'è un trofeo, ma non ci sono altre cornici in giro. Non ci sono nemmeno i libri di fisioterapia che riempivano gli scaffali e che facevano di William un uomo più maturo: 'è una tattica per sembrare più attraente'-diceva, infatti. E molto probabilmente funzionava, dato che riuscì a sedurre persino l'addetta alle pulizie. «Charlotte Cooper.»-ritorno a guardarlo-"La dietologa della SBG»- mi presento e cerco si apparire formale, ma non riesco a trattenermi dall'alzare gli occhi al cielo. «Abbiamo pure una dietologa? A quanto pare mio padre non sapeva cosa farne dei soldi?»-sembra dirlo più a se stesso, che a me, mentre io sprofondo le dita nella mia coscia: mi sta letteralmente sbattendo in faccia di essere inutile, quando lui è il primo a passare il tempo scopando nel suo ufficio. Questo spiega tutto: la stupidità si tramanda con il DNA, e ne ho la dimostrazione quando vedo la foto di lui e il vecchio gestore sorridenti. È figlio di William, a quanto pare, e non poteva essere altrimenti, data la superficialità delle sue parole. Ho impiegato quindici anni e tanto studio per arrivare dove sono, ed ecco che sento dire a un uomo che il lavoro di una dietologa non serve a niente. «Perchè mi hai chiamato?» «Le domande le faccio io! E quando parli con me...»-si sofferma sulle sue parole, mentre cerca di minacciarmi con un tono duro e rauco: «...bada bene a ciò che dici.» Non rispondo, leggermente scossa dal suo sguardo, di nuovo, mentre lui prende in mano una cartella. «Sei nata a Seattle e cresciuta all'orfanotrofio di New York city...»-inizia a leggere a voce alta, mentre stringo le dita in un pugno sul grembo. Legge quelle frasi come se stesse leggendo la Divina Commedia di Dante, senza fermarsi : «Sei cresciuta orfana, ma non me ne può fregare un cazzo... Il tuo orario di domenica è: dalle 07:30 alle 19:00, comprese tre pause.»- socchiudo gli occhi alle sue parole fredde, cercando di incrociare i suoi occhi di nuovo per fargli capire quanto mi dà fastidio il suo modo di parlare di me e il fatto che sappia già così tanto della mia vita. «Siccome sono già le otto, per oggi puoi evitare la pausa pranzo.»-mi guarda ancora serio, il che mi fa incazzare e vorrei tanto rispondergli attraverso le parole che mi passano per la testa, ma mi limito a un: «Stronzo.» Stringe la mia cartella tra le dita, mentre io provo a reggere il suo illeggibile sguardo: non dice nulla questa volta, quindi mi limito ad alzarmi e avviarmi fuori dalla sua tana di puttane. «È stato duro?»-la testa del mio ragazzo sbuca dalla porta del mio ufficio, mentre io sono troppo occupata a spremere i neuroni e farli funzionare in mezzo all'estate. Fuori fa un caldo tremendo e tutto ciò che vorrei fare è addormentarmi sulla scrivania piena di fogli. Il nuovo dirigente mi ha lasciato una brutta impressione e il doverlo sopportare d'ora in poi mi demoralizza assai. Preferivo quasi l'immortale di due settimane fa. «Con la rossa sì.»-rispondo alzando le spalle, mentre lui corruga le sopracciglia. Scuoto la testa, facendogli capire di lasciar perdere, ma insiste ancora senza rendersi conto del fastidio che mi dà in questo momento: «Quell'uomo è un mito! Sai cosa si dice in giro?»-inizia eccitato, come se si fosse innamorato del nuovo capo della palestra. «Non so cosa si dice in giro.»-ripeto le sue parole, mentre provo a evitarlo per concentrarmi sulle schede dei clienti che ho in mano. I palestrati si mostrano tanto attenti all'alimentazione, ma in una palestra di cinquecento addestrati, solo quindici vogliono l'aiuto della sottoscritta per una corretta alimentazione. Sono tutto muscoli e niente cervello, a partire dall'uomo di fronte a me: «Ha un pitone si tre metri...»-inizia, ma lo interrompo disgustata: «Non c'è bisogno di dettagli!»-lo riprendo, lanciandogli anche un'occhiataccia, ma in risposta si limita ad alzare le mani all'altezza delle spalle: «Ha anche due pitbull, per la precisione...»-aggiunge perplesso quindi capisco che per 'pitone' non intendeva quello in mezzo alle gambe, ma quello che normalmente vive nelle foreste equatoriali. «Ha addestrato John Cena!»-alzo gli occhi al cielo, capendo che non ha intenzione di smetterla, quindi mi alzo in piedi e lo raggiungo dall'altra parte della scrivania: «Vattene!»-urlo spazientita, spingendolo fuori dal mio ufficio modesto, e non si oppone, uscendo non prima di aver insistito a elogiare quel coglione : «Si dice che ha scopato con sette donne contemporaneamente!»-gli chiudo la porta in faccia prima che possa continuare a stimolare il mio vomito. Sospiro e godo in silenzio la mia solitudine, avviandomi di nuovo al mio posto: a prescindere da quanto potrebbe sembrare noioso in un ambiente come questo, amo il mio lavoro e preferisco stare seduta su una sedia dalla mattina alla sera, o al massimo fissare il fondoschiena degli allenatori, piuttosto che sudare tra di loro. Fare la dietologa è stata una decisione presa all'ultimo momento, dato che inizialmente volevo fare la parrucchiera, ma poi ho imparato ad adattarmi e accontentarmi dello stipendio. Ci ho messo sei anni per trovarmi un lavoro in questa palestra: il vecchio mi ha assunta solo per il coraggio di avergli mostrato il dito medio e averlo mandato a quel paese alla fine del colloquio: 'Hai carattere, sei una di noi.' In tutta risposta alzai le spalle e me ne andai, presentandomi il giorno dopo solo con il mio diploma, che ora è attaccato al muro. Da allora il mio ufficio è sempre rimasto vuoto: non ci sono né libri nè foto della famiglia che non ho. L'unica cornice affianco al mio computer mi è stata regalata dalla mia migliore amica, che ha deciso di adattarmi una foto, così che tra dieci anni mi sarei potuta ricordare la faccia che avevo quando era priva di rughe. Faccio una smorfia guardando i miei lunghi capelli castani incorniciarmi il viso, mentre i miei occhi spenti guardano scocciati l'obiettivo. La mia amica, invece, mostra un gran bel sorriso, mentre il vento le smuove i capelli biondi e gli occhi chiari le si illuminano per quanto è felice. Osservo l'orologio nell'esatto momento in cui segna l'arrivo di mezzogiorno, quindi mi alzo e supero la mia sedia, mentre mi aggiusto la felpa, allungandola per fare in modo che mi copra il fondoschiena, anche se è già fasciato da un paio di pantaloni neri: sudo come un maiale, quando fuori vengono superati i 40°C, ma mi sento più comoda a prescindere. Afferro la maniglia e spalanco rapidamente la porta, ma sobbalzo quando sento un gemito dietro di essa: aggrotto la fronte e faccio per scusarmi, ma vengo interrotta quando noto di aver colpito il coglione con il pitone... a casa.

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