II - Totem
È quasi buio. Due ragazze si aggirano nel bosco mano nella mano e muovono i passi lentamente, cercando di scorgere qualche presenza tra le ombre degli alberi.
“Hai sentito?”
“Cos’era?!”
“Sembrava un urlo, ma era lontano...”
Le ragazze si stringono ancora di più.
“Magari siamo al sicuro...”
“E se si fossero divisi?”
“No, generalmente stanno nelle vicinanze per aiutarsi.”
“Però qui diventa sempre più buio, non si vede niente.”
“Vieni, proviamo ad andare da quella parte, sembra che il bosco si diradi. Dobbiamo riuscire a ritrovare la strada per il prato.”
Sentono uno scricchiolio non troppo distante da loro. Si fermano.
“Oddio!”
“Ti prego, Sara, accendi la pila!”
“Non posso, me l’hanno sequestrata.”
“Merda!”
“Vedi qualcosa?”
“No, ma secondo me non c’è nessuno.”
“Cos’è quella luce laggiù?”
“Sembra che stia arrivando un temporale.”
“Magari! Con i lampi almeno vedremmo qualcosa!”
“Sì, ma non è l’ideale beccare i fulmini in mezzo agli alberi… Muoviamoci!”
Il contrasto tra la luna piena e le nuvole cariche di pioggia rende l’aria ancora più spettrale. Un lampo illumina il bosco per un attimo e Sara scorge una sagoma saltare dietro un albero poco distante.
“Oddio, c’è qualcuno!”
“Dove?!”
“Là, dietro a quell’albero.”
“Sei sicura?”
“L’ho visto!”
“Merda, merda… ho paura...”
Il boato del tuono fa saltare i nervi a entrambe. Urlano. Si ritrovano abbracciate. Si guardano intorno e non scorgono nessuno. Un altro fulmine rischiara l’aria per più di un istante e una di loro fa in tempo a guardare verso l’albero di prima, ma non vede nulla.
“Forse si è mosso.”
“Dove?”
“Non lo so… non l’ho visto!”
“Torniamo indietro, Sara, ti prego!”
“No, dobbiamo attraversare questo tratto.”
“Non doveva diradarsi? Diventa sempre peggio!”
“Sssh, Jenni, non gridare! Quella dev’essere la radura del ruscello. Da lì dovrebbe esserci il sentiero che porta alla vecchia rovina, così dovremmo riuscire a orientarci. Vado avanti io, tu seguimi.”
“Sì, ma… stai attenta! Tienimi la mano...”
“E tu guardati intorno...”
“Ma non si vede niente!”
In una frazione di secondo sentono un’ombra cadere dall’alto, una luce puntata negli occhi impedisce loro di vedere cosa stia succedendo, vari rumori le raggiungono, un bagliore le acceca. Prese dal terrore si voltano indietro d’istinto cercando di scappare, inciampano in un grosso ostacolo ad altezza delle ginocchia e cadono in malo modo a terra. Jennifer, la più giovane, comincia a piangere. Sara cerca di capire cosa sia accaduto. La luce negli occhi le impedisce di riconoscere chi ha di fronte, inoltre ha la retina irritata dal flash improvviso. La prima cosa che mette a fuoco, quindi, sono i rumori. Sente distintamente una risata sguaiata, poi un’altra e un’altra ancora. Si accorge che una di queste viene da molto vicino a lei; quando riesce a focalizzare chi le sta vicino, vede Gabriele sdraiato per terra che ride senza riuscire a respirare. D’istinto si butta sopra di lui cercando di colpirlo alla pancia, ma Gabriele è agile e astuto, reagisce velocemente e la immobilizza per terra.
“Siete tre stronzi, veramente!” sbotta Sara.
Gabriele la lascia e si accascia di nuovo: “Oddio che spasso!”
“Dai Allyson, aiutami a tirarmi su.”
Allyson, ancora singhiozzando dalle risate, sposta la macchina fotografica nella mano sinistra e con la destra aiuta Sara a rimettersi in piedi.
“Tutto bene, Sara?”
Lei scrolla il terriccio dai capelli e fa un profondo respiro: “Cazzo, che paura!”
Marco invece abbassa la pila, va da Jennifer per farle capire che è tutto a posto, che sono loro: “Ehi, Jenni, ci sei?”
“Vaffanculo! Ma vi sembra?”
“Adesso calmati… era un gioco!”
“Calmati un cavolo! Ti pare di saltare giù da un albero? Mi sono fatta male anche a un polso, cadendo.”
Da lontano un fischio prolungato dichiara la fine del gioco.
“È ora di rientrare” dice Allyson. “Tutto a posto, Jei?” Solo lei la chiamava così.
“Che gioco di merda! La prossima volta ci stai te, Ally, a camminare nel bosco al buio e io faccio le foto, così vediamo se ti diverti...”
“Dai, però è venuto bene...”
Gabriele si rialza e batte un cinque a Marco. Jennifer soffia il naso. Sara scrolla di dosso le foglie e la polvere del bosco. Allyson mette la macchina fotografica a tracolla, dà la pila a Jennifer, prende a braccetto entrambe le amiche e si incamminano.
“Da che parte?” chiede.
“Di qua” risponde Marco, sicuro.
“Ma come avete fatto?” domanda Sara.
“Abbiamo sentito che vi stavate avvicinando, quando abbiamo visto che quell’albero aveva un ramo robusto proprio ad altezza uomo. Allora Marco ci è salito sopra e io mi sono nascosta dietro al tronco.”
“Mentre mi arrampicavo, Gabriele ha avuto l’idea geniale di sfruttare i fulmini per farsi vedere e per farvi spostare di quel tanto da passare lì vicino. Poi, con l’aiuto del tuono, si è messo dietro di voi senza che ve ne accorgeste.”
“Quando Marco è saltato giù dall’albero, è bastato che io mi chinassi a carponi, così indietreggiando vi siete inciampate contro di me.”
“E io ho fatto le foto” conclude Allyson. “Dopo le guardiamo, ok?”
“Mmh, chissà che spettacolo!” replica Jennifer con la faccia scocciata.
“Su, Jei, non te la sarai presa, vero? È il gioco notturno, si fa spesso durante le uscite!”
“Allora non vengo più!”
“Figurati! È stata la tua iniziazione ai giochi notturni. Un giorno lo racconterai!”
“Sì, certo… Comunque non credevo che sarebbe stato così spaventoso.”
“Ehi, Jenni, così mi fai peccare di orgoglio!”
“Vaffanculo, Gabri! Con te non parlo più...”
Allyson le dà un bacio sulla guancia e aumenta il passo. “Sarà il caso che ci muoviamo, ragazzi, il temporale sembra vicino… Non vorrei che si bagnasse la macchina fotografica… abbiamo un tesoro prezioso per la prossima riunione!”
“Non vorrai mica mostrare le foto?”
“Certo, Sara, le intitoleremo: ‘I volti del terrore’!”
“Bella roba...”
Allyson dà un bacio sulla guancia anche a Sara e in pochi minuti raggiungono la vecchia rovina, dove si riuniscono con tutti gli altri. “Allora ragazzi, come è andata?” chiedono i capi.
“Voi siete scemi!” sbotta Jennifer. “Mezz’ora a girare nel bosco al buio?! E se incontravamo un lupo o un orso?”
“Non ci sono lupi e orsi in questa zona e poi il parco è recintato con una grande staccionata, Jennifer. Al massimo avrete disturbato qualche gufo...”
“E se ci perdevamo?”
“Vi abbiamo dato i laser di segnalazione apposta.”
“Comunque a me ha fatto cagare.”
“Dai Jenni, era solo un gioco! In ogni caso sei in buona compagnia: anche Chiara e Martina erano incavolate. Sono già andate alle tende.”
“Si direbbe che le novizie l’hanno presa male, eh?” dice Marco. “E la Vale, invece?”
“No, la Vale è l’unica del primo anno che si è divertita, ma era con quel selvaggio di Giambu, quindi c’era da aspettarselo. È arrivato qui esaltato!”
“Io sicuramente no!” dice Jennifer ancora arrabbiata.
Allyson l’abbraccia e le si butta un po’ addosso: “Guarda, Jei, che quando ti faranno il totem sarà peggio… quindi preparati!”
“Ha ragione l’Ally, adesso che ci penso, anche per me il totem è stato molto peggio!” conferma Sara.
“Ragazze, che cos’è il totem?”
“Cavolo, Jei, va bene che è il primo anno che sei con noi negli scout, ma nessuno te ne ha mai parlato? Quando io e Sara abbiamo fatto il totem è stato devastante!”
“Il totem è un’identità” spiega Maddalena, la capogruppo. “Ti viene assegnata quando i capi ti conoscono abbastanza bene, in genere negli anni del Reparto, ma anche dopo. È fatta di un animale che ti assomiglia, più per le sue caratteristiche che per il suo aspetto, e di un aggettivo che coglie una tua peculiarità, tendenzialmente positiva, ma che può essere anche ambigua. Il totem è un vero e proprio rito di iniziazione in cui vieni coinvolta senza preavviso. In genere sei spinta ad affrontare le tue paure e a dimostrare chi sei. È una cerimonia un po’ scherzosa, un po’ seria. Quando si fanno i totem è un momento memorabile nella vita degli scout.”
“Cioè?” chiede Jennifer curiosa e intimorita, guardando verso Allyson.
“Per me, ad esempio, avevano portato delle specie di luci psichedeliche nel bosco e si erano vestiti da zombie… ti giuro, una paura! Poi ero molto più giovane...”
“A che età ti hanno fatto il totem?”
“Ero al secondo anno di Reparto, avevo quattordici anni.”
“E qual è il tuo totem, Ally?”
“Il mio è Fenice Introspettiva.”
“Che bello! Ti si addice!”
“Grazie!”
“Però se fanno una cosa del genere a me, io muoio!”
“In effetti secondo loro gli zombie c’entravano con la Fenice...”
“In che senso?”
“La fenice rappresenta la vita perché rinasce dalle proprie ceneri, mentre gli zombie simboleggiavano la morte ed erano una prova da affrontare. Tra l’altro mi hanno fatto il totem al San Giorgio, durante la Settimana Santa, prima di Pasqua.”
“E il tuo, Sara?” continua Jennifer.
“Il mio è Gabbiana Sensibile.”
“È bellissimo anche questo! E come mai?”
“Mah, dicevano che ho l’istinto di volare via, che sembra sempre che sogni un mondo altrove...”
“Ed è vero?”
“In parte. E per te, Jenni? Quale potrebbe essere il tuo totem?”
“Uhm, vediamo un po’…” interviene Allyson “il tuo potrebbe essere… Leonessa Mansueta.”
“Ah, è proprio il tuo!” dice Sara con una risata liberatoria. “Grande Ally, che intuito! Dobbiamo suggerirlo alla Madi e a Richi quando sarà il momento.”
“Altro che zombie!” dice Gabriele. “Con i leoni!”
“E il totem dei due dementi, qual è?” chiede ancora Jennifer alle sue amiche.
“Il mio è Volpe Dispettosa.”
“Ma dai, Gabri, non l’avrei mai detto…” risponde Jennifer. “Dispettoso lo sei… e con quel naso a punta e gli occhiali, nel tuo caso la somiglianza è anche fisica!” Rivincita. Così impara!
“Ah ah… che simpatia…” le fa il verso Gabriele. “Quello di Marco, comunque, è Puma Gentile.”
“No, veramente?! È stupendo!” esclama Allyson. “Sai che non lo sapevo? Non te l’avevo mai chiesto.”
“Già, è vero, Ally, anche a me piace un sacco!”
In quel momento comincia a piovere. Allyson infila la macchina fotografica sotto la maglietta e la felpa. Tutti corrono, ma non è sufficiente. In un istante si rovescia una pioggia torrenziale e, per quanto facciano in fretta, arrivano alle tende bagnati fradici. Uno dei capi ricorda velocemente che la sveglia il giorno dopo verrà posticipata di due ore e augura a tutti la buona notte. Ragazzi e ragazze si dividono. Allyson arriva per ultima alla sua tenda, dopo avere cercato Jennifer per salutarla, sincerarsi sul suo polso e chiederle ancora scusa per la paura dello scherzo. Le altre ragazze si sono già spogliate e si stanno asciugando all’interno. Qualcuna è già pronta per dormire. Allyson si toglie le scarpe nella verandina, entra appena nella tenda, appoggia la macchina fotografica sul sacco a pelo e si toglie tutti i vestiti, bagnati fradici, buttandoli fuori per terra. “Ci pensiamo domani mattina” dice. Per un istante, prima che Allyson raggiunga il suo zaino da campo, ne estragga il telo e ci si avvolga, Sara la guarda. Sa che sta violando una soglia segreta e pericolosa, da cui forse non si potrà tornare indietro, e si sente a disagio pure lei, ma non riesce a resistere: i capelli neri, bagnati, fanno sembrare Allyson molto più grande dei suoi diciassette anni; senza rendersene conto fissa lo sguardo sul suo petto e poi scende, fino a dove non dovrebbe, in mezzo alle gambe. È bella Allyson, pensa. Si ridesta appena prima che si volti di nuovo verso di lei: “Tutto a posto, Sara?”
“Certo, stavo cercando una felpa in più, fa freddo.”
Poi tutte si sdraiano dentro il sacco a pelo. Per ultima Allyson, che spegne la lampada da campo, appesa al centro della tenda.
“Buona notte ragazze!”
“’notte.”
La mattina dopo Allyson si alza prima di tutti. Le due ore in più di sonno le hanno permesso di aprire gli occhi con la luce; esce silenziosamente dal suo sacco a pelo, cerca nello zaino qualcosa di pulito e asciutto da mettersi e si porta vicino al grande pino, da cui penzola la bandiera scout. È lì sotto che hanno allestito l’angolo di preghiera, e a lei piace stare seduta sulle panche di tronco rimediate nel bosco, nelle prime luci del giorno, in silenzio. A circa cinquanta metri di distanza, un paio di ragazzi sta già preparando la colazione. Questa uscita di Clan è volata, pensa Allyson, guardandoli. Adora quella vita e, ancora prima che finisca ogni esperienza bella, cerca un momento di quiete per coccolarsi la nostalgia. Padre Michel spunta fuori dalla sua tenda e si dirige verso di lei. È inconfondibile, con l’abito bianco e la cappa nera, che fortunatamente tiene solo per i momenti di preghiera comunitari. La fa ridere, perché con il suo volto tondo, i capelli sempre ordinati e gli occhiali che tendono a scivolargli sulla punta del naso, sembra veramente un secchione. Proprio il modello di padre domenicano che una si potrebbe immaginare, oltre a quello con il volto scavato e la barba da inquisitore! Ma padre Michel, decisamente, non è così. È giovane e ha l’aria di essere un uomo saggio, ma non di quella saggezza che si impara sui libri; sembra piuttosto possedere una sapienza che mischia il buon senso con la volontà di comprendere l’esistenza degli uomini. Una volta lei gli ha detto che dava l’impressione di essere appena emerso dall’Archivio Segreto Vaticano e lui si è schermito, dicendo di avere studiato l’umanità sui libri di teologia e di filosofia, e perfino sulla Bibbia, ma di sapere ben poco di quella reale… È per questo che ad Allyson piace: perché è uno che, pur sapendo, sta imparando, e l’ha dimostrato un sacco di volte con loro. Ogni tanto le sembra impacciato, come un uomo uscito da una storia di due secoli fa, ma è determinato a decifrare le istantanee di vita dei ragazzi. Ed è simpatico quando si stupisce dei loro modi, o quando gli raccontano vicende scolastiche inconcepibili per lui, o quando si sforza di non fare una discussione di metafisica e di seguire semplicemente i loro discorsi.
“Buongiorno Allyson.” Il suo italiano è perfetto: è rimasta giusto una sfumatura troppo dolce nella erre per poter essere quella di un italiano, ma per il resto non diresti mai della sua provenienza francese.
“Ciao padre Michel.”
“Dormito bene dopo il gioco di ieri sera?”
“Io ero tra quelli che facevano paura, quindi… sì, direi proprio di sì. E tu?”
“Oh, io sì, abbastanza. Ero giusto un po’ preoccupato per il momento di ritiro di oggi.”
“Preoccupato?! Perché?”
“Ho sempre paura di dire delle cose che non sono adatte a voi. Io non so realmente come vivete, cosa pensate, come reagite a certi discorsi e a certe parole.”
“Andrà benissimo.”
“Dici? L’altro giorno ho letto un articolo, o forse sarebbe meglio dire ho visto un articolo, su una di quelle riviste che escono con i quotidiani, che parlava dei ragazzi della vostra età. C’erano delle foto bellissime di alcuni adolescenti americani, che li ritraevano in momenti del tutto naturali della loro vita. Dalle immagini si intuiva che erano situazioni quasi di degrado, ai margini della legalità, e davano l’impressione di una certa clandestinità. Quegli scatti neutralizzavano la tentazione di un giudizio negativo nei confronti di tali situazioni. Anzi, ti facevano cogliere una vitalità positiva di quei giovani, qualcosa di bello, dietro l’apparenza immediata, che chiedeva di essere valorizzato e tirato fuori. E io mi sono chiesto quali delle cose che diciamo di solito noi preti e religiosi sarebbero adatte e significative per l’esistenza di quei ragazzi.”
“E la risposta?”
“Nessuna.”
Allyson non sa cosa dire. È imbarazzata. Le sembra che sia stato troppo severo e non sta capendo dove voglia arrivare. L’unica cosa che ha colto è la spiegazione delle immagini, e si chiede se sarà mai capace di fare una descrizione così evocativa. Dopo un breve silenzio, però, padre Michel riprende a parlare.
“Dovresti darmi alcune delle tue foto, Allyson. Forse… mi potrebbe venire in mente qualcosa di ‘giusto’ da dire.”
“Non ne ho qui, mi dispiace. In questi giorni ho scattato veramente poco.”
“Neanche ieri sera?”
“Vabbè, ma solo nei momenti di paura… Non erano foto serie! Buffe, ma niente di che...”
“Me la presti lo stesso, la macchina? Mentre mangiate guardo quelle che hai, magari mi viene l’ispirazione.”
“Certo, te la vado a prendere subito. Tanto le altre si stanno alzando.”
“Grazie!”
“Figurati.”
Dopo la colazione, abbondante e gioiosa, celebrano la preghiera del mattino ancora nel clima festoso della Pasqua, passata da appena due giorni. Riccardo, il capo clan, accenna brevemente al fatto che, pur essendo un’uscita molto breve, è stata significativa per l’unità del gruppo, poi ricorda che il prossimo appuntamento importante sarà il matrimonio di Maddalena, l’altra capo. Le ragazze sorridono, i maschi fanno qualche battuta.
Il resto della mattina trascorre in silenzio, dopo le riflessioni di padre Michel, per il momento conclusivo di ritiro e meditazione personale. Il tempo da passare soli comprende anche il pranzo e il primo pomeriggio: ciascuno può rifornirsi al campo base di quello che serve, poi tornare al proprio raccoglimento, oppure prendere il necessario e sparire per tutto il periodo di silenzio.
Molti si sparpagliano in cerca della giusta concentrazione, ma c’è anche qualcuno che non ne ha voglia, che ha solo intenzione di aspettare che passi. Allyson, invece, è motivata e ben disposta; prende la sua razione di cibo e si avventura decisa su per il pendio che delimita il campo.
Sara cammina quasi mezz’ora nel bosco. Pian piano il silenzio penetra nella sua testa, ma i suoi pensieri diventano più chiassosi. Sperando di distrarsi, ritorna alla base per prendere qualcosa da mangiare: mette due pezzi di piada nella scodella, un’abbondante quantità di insalata nella gavetta e si impossessa dell’ultimo tè al limone. Poi si allontana di nuovo, fino al margine del torrente, poco distante dalla vecchia rovina. L’acqua del ruscello è ancora abbondante per le ultime piogge e copre tutti gli altri rumori del bosco. Le parole di padre Michel risuonano come portate dalla corrente: non si ricorda molto, in verità, ma qualcosa le è rimasto in mente e l’ha turbata. Riguardava la paura, pensa Sara, cercando di ricordare meglio. “Liberarsi dalle paure è il primo modo per ricominciare a vivere” ha detto padre Michel. “Quando noi abbiamo paura i contrasti che viviamo sono troppo forti. Ci sembra che da una cosa dipenda la vita e dall’altra la morte, ma in realtà non è così...” I suoi pensieri diventano faticosi, prova ad appuntarsi qualcosa sul quaderno per ordinarli, ma nessuna parola rispecchia la complessità che sente.
“La paura ci blocca in una situazione di buio… dobbiamo accorgerci che ci sono delle possibilità...” Si guarda intorno, circospetta, come cercando un appiglio. Quali? Cosa posso fare? È sola, completamente. Io non voglio avere paura, ma come si fa? Ho paura di avere paura, scrive.
“Quando siamo sopraffatti dalla paura cerchiamo appoggi dove non li troviamo, e dimentichiamo quelli che abbiamo...” Toglie le scarpe e immerge i piedi in acqua. È fredda e li toglie subito. Prova a mangiare un pezzo di piada, ma dopo averne morsicati due bocconi, le passa la voglia e rabbiosa getta tra gli arbusti il pezzo avanzato. “Poi magari ci accorgiamo che gli amici sono lì a un passo, pronti a tenderti una mano...”
Coi piedi nudi contro una radice, poggia la schiena al terreno e si mette le mani sulla fronte. Dopo un po’ se le poggia sul seno e sente il sollevarsi ritmico del suo respiro, poi le fa scorrere lievemente verso la curvatura bassa del suo petto e la sua attenzione si concentra su questo gesto. Non è la prima volta che lo compie, quasi impercettibilmente, ma è la prima volta che, compiendolo, si ascolta. Considera la sua femminilità, fortunatamente non ha il problema che hanno molte altre ragazze: il suo seno è formato e, in maniera nuova rispetto al solito, accetta di piacersi. E vuole provare a non avere paura. I suoi pensieri non sono meno faticosi, ma diventano piano piano più leggeri… forse… Allyson?
Quando si solleva di soprassalto, non sa quanto tempo ha dormito. Il rumore di qualcosa che si è imposto sullo scorrere del torrente l’ha progressivamente riportata in sé. Vede Allyson, in cima al pendio sopra di lei, scendere agilmente nella sua direzione. Riprende contatto con la realtà e focalizza il cibo ancora nei suoi tegami. Istintivamente lo prende e lo butta tutto sotto un cespuglio abbastanza folto. Indossa i calzini con i piedi ancora umidi e sporchi e si mette le scarpe. Quando Allyson è poco distante la saluta: “Ciao Ally!”
“Ciao Sara. Tutto bene il ritiro?”
Sara recupera la sua Bibbia e il suo quaderno e si mette di fianco ad Allyson, camminando lungo il sentiero verso la zona di ritrovo.
“Un po’ faticoso, e tu?”
“Così così, a un certo punto non mi passava più.”
“Mi spiace.”
“Anche a me, a dire il vero. Io mi impegno, ma non ci cavo fuori nulla… Tu, invece, perché faticoso?”
“Niente di che... tutta quella parte sulla paura...”
“Penso che si sia ispirato alle foto di ieri sera… Hai delle paure, Sara?”
Prima che possa rispondere vengono raggiunte da una parte del gruppo, attraverso un sentiero laterale. Gli altri sono già tutti radunati. Padre Michel ricorda che il momento che hanno appena trascorso va considerato come tutto per loro; per questo lui e i capi non hanno previsto alcuno spazio di condivisione delle riflessioni, affinché ciascuno possa custodire ciò che ha meditato. Sara pensa che il suo zaino è pieno, Allyson, invece, che si porta a casa una sportina vuota.
Riccardo e Maddalena danno gli avvisi di fine campo e invitano i ragazzi a fare in fretta a smontare le tende e a verificare che i teli impermeabili si siano asciugati adeguatamente, prima di ripiegarli e metterli via. I capi si occuperanno dei materiali tecnici. Padre Michel saluta, perché parte subito per rientrare in convento. Poi tutti rompono il cerchio.
“Ti sono state utili le foto!” Allyson gli passa accanto, quel tanto che basta per dirgli questa frase, fargli l’occhiolino e sorridergli come per salutarlo, prima di scomparire dal suo campo visivo. Padre Michel si volta verso di lei, ma riesce a scorgerne solo i capelli neri raccolti a coda e il passo svelto in prato aperto. E per la prima volta nella sua vita da frate, accetta il sorgere di un’idea clandestina nella testa e si domanda, con piena consapevolezza, come sarebbe stato vivere con una donna.