Capitolo VI-2

2065 Words
Tuttavia, poiché non cadeva, poiché non si dichiarava vinto, ma si limitava a indietreggiare verso il palazzo del signor de La Trémouille al servizio del quale aveva un parente, D’Artagnan, ignorando egli stesso la gravità dell’ultima ferita ricevuta dal suo avversario, lo incalzava da vicino e senza dubbio lo avrebbe finito con un terzo colpo. Sennonché, in quel momento, al rumore che si alzava dalla strada e che si udiva sin dentro la pallacorda, due amici della guardia, che l’avevano sentita scambiare qualche parola con D’Artagnan e l’avevano vista uscire, si precipitarono con la spada in pugno fuori della bisca e piombarono sul vincitore. Ma subito Athos, Porthos e Aramis apparvero a loro volta, e nel momento in cui le due guardie attaccavano il loro giovane camerata, le costrinsero a voltarsi. Proprio allora Bernajoux cadde, e poiché le guardie erano soltanto due contro quattro, si misero a gridare: “A noi, casa La Trémouille!” A queste grida, tutti coloro che erano nel palazzo uscirono, avventandosi contro i quattro compagni che, dal canto loro, si misero a gridare: “A noi, moschettieri!”. Questo grido di solito era inteso perché si sapeva che i moschettieri erano nemici di Sua Eminenza ed erano amati appunto per l’odio che tutti avevano per il Cardinale. Cosicché le guardie delle altre compagnie che non appartenevano al Duca Rosso, come lo aveva chiamato Aramis, in simili casi facevano lega con i moschettieri del Re. Di tre guardie della compagnia del signor Des Essarts che passavano in quel mentre, due vennero dunque in aiuto ai quattro compagni e l’altra corse verso il palazzo del signor di Tréville, gridando: “A noi moschettieri, a noi!”. Come di solito, il palazzo del signor di Tréville era pieno di soldati appartenenti a quest’arma, e tutti si precipitarono in soccorso dei loro camerati; la mischia divenne generale, ma i moschettieri erano i più forti e le guardie del Cardinale e le genti del signor La Trémouille si rifugiarono nel palazzo e fecero appena in tempo a chiuderne le porte per impedire che i moschettieri vi facessero irruzione. In quanto al ferito, era già stato trasportato nel palazzo in pessimo stato. L’agitazione fra i moschettieri e i loro alleati era al colmo, e si stava già discutendo se per punire l’insolenza dei domestici del signor di La Trémouille che avevano osato fare una sortita contro i moschettieri, non fosse opportuno appiccar fuoco al palazzo. La proposta anzi era già stata accolta con entusiasmo, allorché, per fortuna, suonarono le undici; D’Artagnan e i suoi compagni si ricordarono della loro udienza, e poiché sarebbero stati spiacenti che un così bel colpo fosse fatto senza di loro, riuscirono a calmare gli spiriti. Ci si accontentò, dunque, di gettare qualche ciottolo contro le porte, ma le porte resistettero e gli assalitori si stancarono. D’altronde, coloro che avrebbero dovuto essere considerati come i capi dell’impresa, avevano ormai abbandonato il gruppo e si incamminavano verso il palazzo del signor di Tréville, che li aspettava, già al corrente della nuova bravata. “Presto al Louvre” egli disse “al Louvre senza perdere un istante, e tentiamo di vedere il Re prima che venga messo al corrente dei fatti dal Cardinale; gli racconteremo la cosa come una conseguenza della faccenda di ieri, e tutto passerà in una volta sola.” Il signor di Tréville, accompagnato dai quattro giovani, si incamminò dunque verso il Louvre; ma, con grande meraviglia del capitano dei moschettieri, gli venne annunciato che il Re era andato alla caccia al cervo nella foresta di Saint-Germain. Il signor di Tréville si fece ripetere due volte questa notizia, e ogni volta i suoi compagni videro il suo volto rannuvolarsi. “Sua Maestà” domandò egli “aveva in progetto sin da ieri questa caccia?” “No, Eccellenza” rispose il cameriere “questa mattina il gran venatore è venuto ad annunciargli che nella nottata era stato scovato un cervo per lui. Sulle prime il Re ha detto che non si sarebbe mosso, poi non ha saputo resistere all’idea del piacere che gli avrebbe procurato questa caccia ed è partito dopo colazione.” “E il Re ha veduto il Cardinale?” chiese il signor di Tréville. “Secondo ogni probabilità lo ha visto” rispose il cameriere “perché stamane ho visto la carrozza di Sua Eminenza; ho domandato dove andasse e mi è stato risposto: “A Saint-Germain”.” “Siamo stati prevenuti” disse il signor di Tréville. “Signori, vedrò il Re questa sera; ma quanto a voi, vi consiglio di non farvi vedere.” Il consiglio era fin troppo ragionevole e soprattutto veniva da un uomo che conosceva troppo bene il Re, perché i quattro giovani tentassero di discuterlo. Il signor di Tréville li invitò a tornare alle loro case e ad aspettare tranquillamente sue notizie. Ritornato al palazzo, il signor di Tréville pensò che era meglio fare il primo passo e avanzare subito le proprie lamentele. Mandò quindi un suo domestico al signor di La Trémouille con una lettera nella quale lo pregava di non dare asilo alle guardie di monsignor Cardinale e di rimproverare le sue genti per l’audacia che avevano dimostrato facendo una sortita contro i moschettieri. Ma il signor di La Trémouille, che era già stato prevenuto dal suo scudiero, di cui, come si sa, Bernajoux era parente, gli fece rispondere che non spettava né al signor di Tréville né ai suoi moschettieri lamentarsi, ma a lui solo inquantoché i moschettieri avevano assalito i suoi servitori e minacciato di bruciare il suo palazzo. Ora, siccome la disputa fra questi due signori sarebbe durata molto a lungo perché ciascuno doveva necessariamente intestardirsi nella propria opinione, il signor di Tréville pensò di porvi fine con un espediente: andare in persona dal signor de La Trémouille. Andò dunque immediatamente al suo palazzo e si fece annunciare. I due signori si salutarono gentilmente giacché, se non c’era grande amicizia tra loro, c’era però una stima reciproca. Erano entrambi uomini di cuore e d’onore; e poiché il signor de La Trémouille, protestante e poco assiduo presso il Re, non apparteneva a nessun partito, in generale non portava nelle sue relazioni sociali nessuna prevenzione. Questa volta, però, la sua accoglienza, benché cortese, fu più fredda del solito. “Signore” disse il signor di Tréville “noi crediamo di aver ragione di lamentarci l’uno dell’altro e sono venuto di persona affinché insieme si metta in chiaro la cosa.” “Volentieri” rispose il signor de La Trémouille “ma vi avverto che sono bene informato e che tutto il torto è dei vostri moschettieri.” “Voi siete un uomo troppo giusto e troppo ragionevole, signore” disse Tréville “per non accettare la mia proposta.” “Dite, vi ascolto.” “Come sta il signor Bernajoux?” “Malissimo, signore. Oltre alla ferita al braccio, che non è pericolosa, ne ha ricevuta un’altra che gli ha attraversato il polmone, di modo che il medico fa delle previsioni tutt’altro che belle.” “Ma il ferito è in sé?” “Perfettamente.” “Parla?” “Con difficoltà, ma parla.” “Ebbene, signore, rechiamoci presso di lui e scongiuriamolo in nome di Dio, di fronte al quale potrebbe comparire fra poco, di dirci la verità. Io lo prendo per giudice nella sua stessa causa, e quel che dirà, lo crederò.” Il signor de La Trémouille rifletté un istante, poi, siccome sarebbe stato difficile fare una proposta più ragionevole, accettò. Tutti e due discesero nella camera del ferito. Questi, vedendo entrare quei due nobili signori che venivano a fargli visita, cercò di sollevarsi sul letto, ma era così debole che, spossato dallo sforzo, ricadde quasi senza conoscenza. Il signor de La Trémouille gli si avvicinò e gli fece respirare dei sali che lo richiamarono in vita. Allora Tréville, non volendo che si potesse accusarlo di avere influito sul malato, pregò il signor de La Trémouille d’interrogarlo egli stesso. Ciò che aveva previsto Tréville avvenne. Sospeso fra la vita e la morte, Bernajoux non tentò neppure di tacere per un istante la verità e raccontò come erano andate precisamente le cose. Era quanto voleva Tréville. Egli augurò a Bernajoux una pronta guarigione, si congedò dal signor de La Trémouille, rientrò al suo palazzo e fece avvertire i quattro amici che li aspettava a pranzo. Il signor di Tréville riceveva un’ottima compagnia, ma tutta anticardinalista. Si comprende quindi che la conversazione durante tutto il pranzo si aggirò sui due scacchi subiti dalle guardie di Sua Eminenza. Ora, poiché D’Artagnan era stato l’eroe di quelle due giornate, fu su di lui che caddero tutte le felicitazioni e Athos, Porthos e Aramis gliele abbandonarono non soltanto da buoni camerati, ma da uomini che troppo spesso avevano avuto il loro turno per non concedergli il suo. Verso le sei, il signor di Tréville annunciò che doveva andare al Louvre. Ma siccome l’ora dell’udienza accordata da Sua Maestà era passata, invece di reclamare l’ingresso per la scala privata, egli prese posto nell’anticamera insieme con i quattro giovani. Il Re non era ancora tornato dalla caccia. I nostri amici attendevano da mezz’ora mischiati alla folla dei cortigiani, allorché tutte le porte si aprirono e venne annunciata Sua Maestà. A quest’annunzio D’Artagnan si sentì fremere fino al midollo; quell’istante avrebbe deciso probabilmente tutta la sua vita, per cui i suoi occhi si fissavano con ansia sulla porta dalla quale il Re doveva entrare. Luigi XIII apparve: era in costume da caccia, ancora tutto polveroso, in stivaloni e col frustino in mano. Al primo colpo occhio D’Artagnan giudicò che il Re era in collera. Questa disposizione, per quanto evidente in Sua Maestà, non impedì ai cortigiani di far ala al suo passaggio: nelle anticamere reali val meglio essere scorti da un occhio sia pure irritato, che non esser scorti affatto. I tre moschettieri non esitarono e fecero un passo avanti mentre, al contrario, D’Artagnan rimase nascosto dietro loro. Ma benché il Re conoscesse personalmente Athos, Porthos e Aramis passò davanti a loro senza guardarli, senza rivolger loro la parola, come se non li avesse mai visti. In quanto al signor di Tréville, allorché gli occhi del Re si posarono un istante su di lui, sostenne quello sguardo con tanta fermezza che fu il Re a distogliere il suo, dopo di che, brontolando, Sua Maestà rientrò nel suo appartamento. “Gli affari vanno male” disse Athos sorridendo “e nemmeno questa volta saremo fatti cavalieri dell’ordine.” “Aspettatemi qui dieci minuti” disse il signor di Tréville “e se fra dieci minuti non mi vedrete uscire, ritornate al mio palazzo: sarà inutile che mi aspettiate più a lungo.” I quattro giovani attesero dieci minuti, un quarto d’ora, venti minuti, ma vedendo che Tréville non compariva, uscirono inquietissimi per ciò che sarebbe successo. Il signor di Tréville era entrato arditamente nel gabinetto del Re e aveva trovato Sua Maestà di pessimo umore; seduto in una poltrona si batteva gli stivali col manico del frustino, il che non aveva impedito al capitano di chiedergli con la massima flemma notizie della sua salute. “Cattiva, signore, cattiva” rispose il Re “mi annoio.” Questa era infatti la peggior malattia di Luigi XIII, che spesso prendeva uno dei suoi cortigiani, lo attirava presso una finestra e gli diceva: “Signor Tal dei Tali, annoiamoci insieme”. “Come! Vostra Maestà si annoia!” disse il signor di Tréville. “Non si è dunque divertita oggi a caccia?” “Bel divertimento, signore! Tutto degenera, in fede mia, e non so se sia la selvaggina che non lascia più traccia o i cani che non hanno più naso! Lanciamo un cervo di dieci palchi, lo inseguiamo per tre ore e quando siamo per raggiungerlo e Saint-Simon sta per portare il corno alle labbra e suonare l’hallalì, ecco che improvvisamente i cani si danno a inseguire un cerbiatto di due anni. Vedrete che sarò costretto a rinunciare alla caccia a cavallo come ho rinunziato a quella al volo. Ah! sono un re ben disgraziato, signor di Tréville. Non avevo più che un solo girifalco ed è morto ieri l’altro.” “Comprendo il vostro dolore, Sire; però mi pare che abbiate ancora un buon numero di falchi e di sparvieri.” “E non un uomo che sappia istruirli; i falconieri scompaiono, ormai solo io conosco l’arte della falconeria. Dopo di me tutto sarà finito e non si caccerà più che con le tagliole, le trappole, i lacciuoli. Se almeno avessi il tempo di formare degli allievi! Ma monsignor Cardinale mi è sempre alle costole e non mi lascia un minuto di riposo; mi parla della Spagna, dell’Austria, dell’Inghilterra. Ah! a proposito di monsignor Cardinale, signor di Tréville, io sono assai malcontento di voi.” Il signor di Tréville aspettava il Re a questo varco. Lo conosceva da troppi anni e sapeva benissimo che tutte le sue lamentele non erano che una prefazione, una specie di eccitamento per infondersi coraggio e arrivare poi dove voleva arrivare. “In che cosa ho avuto la disgrazia di spiacere a Vostra Maestà?” chiese Tréville fingendo la massima meraviglia.” “È così che adempite la vostra missione, signore?” continuò il Re senza rispondere direttamente alla domanda del signor di Tréville. “È per questo che vi ho nominato capitano dei miei moschettieri? perché essi assassinino un uomo, mettano a soqquadro un rione, e si propongano di bruciare Parigi senza che voi fiatiate? Ma forse” continuò il Re “io vi accuso con troppa fretta, forse i perturbatori sono già in prigione e voi siete venuto appunto per dirmi che giustizia è fatta.”
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