PROLOGO-1
PROLOGO
«Katie, mi stai ascoltando?» Il professor Garcia era in piedi, appoggiato alla scrivania. L’espressione era vagamente scocciata, come ogni volta in cui si lanciava in uno dei suoi discorsi che tanto somigliavano a monologhi e si accorgeva che lei aveva perso il filo. La luce del sole proveniente dalla finestra lo avvolgeva da dietro, lasciandogli il viso in ombra e dandogli una tinta ancora più cupa. Se le guance piene e il doppio mento non gli avessero conferito un’aura di perpetua benevolenza, sarebbe sembrato quasi minaccioso. «Non vorrei essere pedante, ma questo argomento riguarda anche te. Anzi, soprattutto te.»
«Scusami, hai ragione.» Si era talmente distratta da non riuscire neanche a ricordare quale fosse l’argomento in questione. Quello specifico, almeno. L’argomento generale era sempre lo stesso. Entrare nella testa delle persone mentre erano in stato vegetativo e tirarle fuori. In quei termini pareva quasi una cosa semplice. «Devo essermi distratta.»
Il professor Garcia ci pensò su per un istante, poi annuì e sorrise. «Va bene, so che sei stressata per quello che ti è successo di recente. Il figlio di Mancini e tutto il resto. È naturale. Ed è per questa ragione che sono preoccupato. Vedi, ne abbiamo già parlato, ma ora è una faccenda che potrebbe rivelarsi molto attuale.» Fece una pausa a effetto e si voltò verso la scrivania, afferrando una penna che poi cominciò a battere ritmicamente sulle punte delle dita. «Comprendo la volontà di aiutare gli altri. Tutti vogliamo aiutare gli altri e senza dubbio tu hai la capacità di farlo. Ma non puoi aiutare gli altri a tuo discapito. Capisci cosa voglio dire?»
«No, non proprio. Quale discapito? Sto bene.»
«Vuoi dirmi che non sei stata in pericolo di vita nel corso dell’ultimo intervento?»
Katie distolse lo sguardo per un istante. «Certo. Ma ho subito traumi peggiori. In ogni caso adesso sono a posto.»
«Per ora, forse. Ma dovremmo riflettere su cosa potrebbe accadere qualora il tuo assistito dovesse morire mentre sei nella sua testa. Fino a questo momento ci siamo soffermati su altri aspetti della tua… capacità, ma adesso non possiamo rimandare. Non ora che sei alle prese con qualcosa di serio.»
«Aspetta un momento…»
«Mettiamo che la persona in questione abbia subito un grosso trauma fisico e che sia in fin di vita. Sai, quelle circostanze in cui il coma è soltanto la breve anticamera della morte. Purtroppo succede, è inutile girarci intorno. Se ti trovassi nella testa di qualcuno in queste condizioni, cosa ti accadrebbe?»
Katie ricordava la sensazione di vuoto mentre cercava di aiutare Daniel. Senza l’aiuto di Matt, probabilmente si sarebbe persa per sempre. E in quel caso il ragazzo si era salvato. Il problema però era reale, Garcia aveva ragione. E non era la prima volta che cercava di parlargliene. Era la prima in cui la stava avendo vinta, però. Se non ci fosse stato niente da fare per l’assistito, lei come avrebbe reagito?
«Vedo che finalmente stai iniziando a seguirmi», osservò il professor Garcia, distendendo le spalle. «Era ora che qualcuno riuscisse a metterti un po’ di sale in zucca. Dunque, il caso che stai per affrontare è qualcosa di molto pericoloso – i dati sono pochi, certo, ma quei pochi sono allarmanti – e il mio consiglio è di tirarti indietro, almeno fino a quando non avremo affrontato meglio la questione.»
«Cosa? No.» Katie si alzò di scatto dalla poltrona, irrigidendo la schiena. «Ho dato la mia parola al detective Hultman. Contano sul mio aiuto.»
Il professore annuì, mesto, e sospirò. «C’è sempre qualcuno che conta su di te, Katie. È un processo che si chiama vita. Che tu sia un inserviente o un astronauta, in ogni momento c’è qualcuno che si aspetta qualcosa da te.» Appoggiò di nuovo la penna sulla scrivania e si costrinse a mettere le mani in tasca. Katie gli aveva già detto che non riusciva a concentrarsi sulle sue parole se si ostinava a gesticolare. «Il punto è che tu non sei una poliziotta. Sei una civile. Su questo credo che siamo d’accordo, no?»
«Da quando ne facciamo una questione di titoli, professore?»
«Una questione di titoli?» ripeté lui, strabuzzando gli occhi. «No, ne faccio una questione di sopravvivenza. Catturare un serial killer non rientra tra i tuoi doveri, Katie, questo è il punto. Soprattutto se la vittima di questo assassino dovesse morire mentre navighi nella sua mente alla ricerca di chissà cosa. Odio fare il guastafeste ma, anche se dovessi trovare degli indizi, non credo sarebbero ammessi in un’aula di tribunale.»
«No, ma potrebbero condurre al colpevole.»
«E potrebbero condurre il colpevole da te.»
«Okay», rispose lei. Fu il suo turno di sospirare. Non le piaceva quel discorso, ma avrebbe dovuto ascoltare prima di perdere la pazienza. Dopotutto il professore voleva il suo bene e aveva fatto sempre di tutto per spingerla a ragionare. «Okay», ripeté, «se mi hai fatto venire qui vuol dire che hai qualche teoria. Vorrei ascoltarla.»
«Molto bene.» Il professore annuì. «Siamo già arrivati alla conclusione che mentre sei nella mente altrui lavori nell’ippocampo, zona da cui poi si diramano gli impulsi elettrici che permettono alla persona di riprendere una graduale attività cerebrale vera e propria. Tanto per riassumere, per passare dallo stato vegetativo alla veglia, giusto?»
«Giusto, questo lo sappiamo e quindi…»
«… e quindi bisogna valutare cosa potrebbe accadere se quegli impulsi elettrici nell’ippocampo si andassero spegnendo mentre siete collegati. Voglio dire, diamo a questi impulsi una valenza elettrica negativa. Andrebbero a intaccare il tuo ippocampo, mandando segnali che stimolerebbero lo spegnimento graduale – ma inesorabile – della tua mente. Questo è ciò che temo. E il caso che ti ostini a voler affrontare ti porterebbe esattamente a una situazione di questo tipo. Ora il tuo amico Matt è un’incognita, visto che non abbiamo ancora capito la natura del vostro legame. Ma non possiamo agire sulla base di qualcosa che potrebbe o non potrebbe aiutarti e non sappiamo neanche come.»
«È un rischio, professore.»
«Un rischio che dovremmo minimizzare con una profilassi. Motivo per cui ti chiedo più tempo prima di lanciarti anima e corpo, e soprattutto cervello, in un caso di omicidio.»
Katie deglutì, ricacciando indietro il senso di frustrazione. «La vittima non è ancora morta, altrimenti non ci sarebbe bisogno del mio intervento.»
«Non quella vittima, sicuro, ma le altre? Sono morte almeno cinque persone per mano di questo tizio, una sesta è prigioniera e non sappiamo che fine abbia fatto. La settima è quella che tu dovresti assistere. Quante speranze vuoi che abbia?»
Katie scosse il capo. Il professore aveva ragione, ma non avrebbe potuto abbandonare così quella ragazza. Avevano la stessa età, per amor del cielo. Il detective Hultman stesso aveva gli occhi lucidi mentre le spiegava cosa le era successo. E Katie era anche abbastanza sicura che il poliziotto le avesse indorato la pillola per non sconvolgerla prima del tempo. «Non puoi chiedermi di lasciar stare. Altrimenti questa mia capacità non avrebbe alcun senso di esistere.»
Il professor Garcia si strinse nelle spalle. «Sono un uomo di scienza, Katie, non credo molto a predestinazioni o roba del genere, anche se mia madre mi ha cresciuto da buon cattolico, pace all’anima sua. A volte le cose capitano e basta, generate dal calderone di casualità che è l’esistenza. E in ogni caso non ti sto dicendo di lasciar stare. Ti sto chiedendo di aspettare.»
«Be’, quella povera ragazza non può aspettare. È stata torturata. È viva soltanto perché il suo aguzzino era convinto che fosse già morta. Te ne rendi conto?»
«Sì, me ne rendo conto, proprio per questo ti sto dicendo di stare attenta. Magari perderemo una ragazza, ma se tu fallissi quante altre persone non saresti in grado di aiutare? Pensa sul lungo periodo.» Garcia emise un sospiro di rassegnazione. «Perché non vuoi starmi a sentire?» Scosse la testa e la luce del sole alle sue spalle si oscurò, come se fosse passata la nuvola più densa mai esistita sulla faccia della Terra. «Sto cercando di aiutarti, te ne rendi conto?»
Katie si costrinse a rilassarsi, anche se c’era qualcosa in quel discorso che non la convinceva affatto. «Sì, certo.»
Il professor Garcia le offrì un sorriso amabile. «Perciò mi dai la tua parola?»
«Professore, non posso rifiutarmi. Ho capito il discorso, ma c’è qualcosa di più grande in ballo.»
Garcia sgranò gli occhi e si staccò dalla scrivania, facendola scricchiolare. «Ah, sì? E cosa c’è di più grande della tua sopravvivenza?»
«Be’, la mia sanità mentale, per esempio. L’unica cosa che mi fa stare meglio, che mi permette di dormire, è aiutare gli altri. Io so cosa vuol dire restare notti intere con gli occhi spalancati a fissare il soffitto, circondata da pensieri di cui non posso liberarmi. Per quanto non piaccia neanche a me, c’è soltanto un modo per farli tacere. Se il prezzo da pagare è rischiare la vita, ben venga. È il male minore.»
Il professor Garcia annuì. «Certo, lo capisco. E quindi non ti importa neanche che i tuoi cari possano pagare il prezzo del tuo benessere?»
Katie sussultò, sentendosi punta nel vivo. Matt. Con il caso di Daniel Mancini aveva fatto di tutto per tenerlo fuori, ma alla fine era stata costretta a richiedere il suo aiuto. E l’irlandese aveva quasi perso la vita. Ma non aveva mai neanche accennato all’idea di abbandonarla.
«Vedo che ci stai pensando», continuò il professore. «Bene. Spero che finalmente riusciremo a rallentare un po’. Dobbiamo capire, avere delle certezze, prima di correre rischi del genere. Un serial killer non è una ragazza che ha avuto un incidente con l’auto, per quanto tragico.»
Il discorso aveva senso, eppure Katie non riusciva a farlo suo, come un bellissimo abito della misura sbagliata. «Non capisco neanche perché sono qui.»
«Cosa vuoi dire? Avevamo un appuntamento.»
«Lo so», rispose Katie. «Ma dovevo andare alla centrale con il detective Hultman.» Si premette le dita contro le tempie. «Ma non ricordo di esserci stata. Come è possibile?»
Il professor Garcia le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla. «Cara, hai di nuovo episodi di perdita di memoria a breve termine?»
«No… non credo, almeno. Matt dov’è? Ero con lui.»
«È salito con te, in effetti. Poi ha detto di voler andare a prendere qualcosa da mangiare.» Garcia si strinse nelle spalle. «Sai che è un fanatico della privacy. Sarà qui a momenti.» Gli occhi bovini del professore si fissarono su di lei. «Stai cercando di cambiare argomento, non è vero? Pensi che prima o poi cadrò nel tranello?»
«Non sto cambiando argomento.» Katie fece per alzarsi, ma ebbe un giramento di testa. C’era sul serio qualcosa che non andava.
Lo sguardo di Garcia era ancora fisso su di lei. «Non c’è proprio niente che possa fare per convincerti a tornare sui tuoi passi, vero?»
Katie scosse il capo. «Mi dispiace. So che hai ragione, so che vuoi il mio bene, ma non posso tornare indietro. Se mi rifiutassi di aiutare la polizia in questo caso tutto ciò che ho fatto finora, quella specie di addestramento, non sarebbe servito a nulla.»
«Addestramento? Figlia mia, ne parli come se fosse una missione.»
Katie serrò la mascella. «La vivo così. È ciò che mi permette di tirare avanti. È qualcosa di cui abbiamo già parlato.» Si sforzò di sorridere. «O stai facendo finta di non ricordartene?»
Il professore sorrise a sua volta. «No, me ne ricordo molto bene.» Quindi emise un altro sospiro. «Be’, speravo di riuscire a convincerti a parole. A quanto pare sono stato troppo ottimista.»
«Cosa vuoi dire?»
Dei rumori dall’altra stanza attirarono la sua attenzione. La porta dello studio che si apriva, forse con una pedata. Matt doveva aver portato rifornimenti alimentari per un esercito.
«Il tuo amico è tornato», disse il professor Garcia con un sorriso allegro. «Magari lui avrà successo dove io ho fallito.»
«Matt è con me in questa storia», disse Katie, mentre i passi dell’irlandese si avvicinavano alla porta.
«Oh, lo so bene.» La voce di Garcia si era fatta cupa, così come l’atmosfera nella stanza. Pareva che la nuvola di passaggio avesse dato il via a un tramonto velocissimo, come se il sole avesse approfittato della copertura per affrettarsi a scendere oltre l’orizzonte.
Matt entrò nella stanza con un sorriso caloroso e una scatola di cartone fumante. A giudicare dal profumo, aveva preso cibo cinese. «Allora, sono arrivato in un brutto momento o avete finito?» Abbassò lo sguardo su di lei e le strizzò l’occhio.
«No, sei arrivato appena in tempo», rispose Garcia. «Le stavo spiegando le conseguenze dell’ostinazione. Ma la tua amica non mi ha prestato molto ascolto.»
Matt tornò a girarsi verso di lei con un’espressione preoccupata.
«Questa la sistemo sulla scrivania», disse il professore, prendendo la scatola con le vivande. «Davvero un ottimo profumo.»
«Cosa vogliamo fare?» domandò Matt. «Sai che rispetterò ogni tua decisione. Ma se dovessi rinunciare a questo caso nessuno te ne farà una colpa. Compreso il detective Hultman. È stato molto chiaro al riguardo, ricordi?»
No, Katie non lo ricordava affatto e lanciò un’occhiata disperata a Garcia, il quale si limitò a stringersi nelle spalle di nuovo. La sua teoria sulla perdita di memoria a breve termine cominciava a guadagnare punti. E anche il fatto che in qualche modo entrare nella mente delle persone in coma consumasse le sue funzioni intellettive.
«Okay, sai cosa?» fece Matt, tornando a sorridere. «Non mi piace questa atmosfera pesante, non fa bene a nessuno. Mettiamo qualcosa sotto i denti e ne parliamo meglio in un’altra occasione. Che ne dite?»
«Un’altra occasione?» ripeté Katie. «C’è un intervento da fare, quella povera ragazza è in stato vegetativo e il suo assassino è a piede libero, non è possibile che vogliate rimandare, quando…»