VII-1

2007 Words
VII – Non è voluto venire a Milano, Sandro. Io le ho detto che ci sarei venuta, che non potevo restare lì. Io ci stavo bene a casa sua, all’inizio. Ma non se poteva andare avanti. Lui quasi non lavorava più, era sempre arrabbiato, beveva. È stato bellissimo, all’inizio, anche se io non avevo el permesso de soggiorno. Ma lui diceva che me avrebbe sposato y che me manteneva, ma quasi se erano scordati che lui sapeva fare el regista. Poi Sandro me ha sposato davvero. Pero, dopo, con tutti che me guardavano male y che commentavano de noi due io ho detto che non ce la facevo più. Non sono una donna cattiva io. Io lo amavo veramente a Sandro. Così, un giorno me sono detta che non ce la facevo più. Guardo Sandro negli occhi e le dico “Io vado via Sandro” e lui “Ma dove vai, Gisela? Cosa farai?” e io “Me arrangerò Sandro”. Lui non ha voluto crederci. Y allora sono partita lo stesso, con la morte nel cuore y me sono arrangiata. Ma le ho detto che la mia casa era sempre aperta per lui. Si fa capire Gisela. Parla un discreto italiano. È bella Gisela, davvero bella. Anche se la morte di Ferrara ha segnato i suoi occhi. Ferrara aveva perso la testa per lei. La osservo con eccitazione, seduta sulla poltrona. Indossa solo un’ampia vestaglia azzurra, allacciata alla vita da una fusciacca utilizzata come cintura, le lunghe gambe, atletiche, la pelle della notte, il bacino stretto e forte, il seno che prorompe dalla scollatura, la bocca che seduce. Devo controllarmi. – Mi perdoni la franchezza Gisela: come si guadagna da vivere? I miei occhi scorrono lungo le pareti della stanza, un bilocale che Gisela ha fatto di tutto per rendere accogliente. La ragazza sorride. Non appare turbata. – Già. Sempre la stessa domanda. Come pensa che io me guadagni da vivere? – Me lo dica lei. Le fotografie dei parenti a Cuba appese al muro, la kenzia e il ficus nell’angolo, il crocifisso di legno intagliato, le candele aromatiche, lo stereo compatto della Sony, la foto di Ferrara sul mobile. – Ballo… – Solo? – La foto di Ferrara sul mobile, la foto di Ferrara sul mobile... – No, certo che no. – Capisco... e, se può dirmelo, in che rapporti è o era con l’ex moglie di Sandro, la signora Solmi? – Oh la superdonna... L’avrò vista una o due veces, una o due volte. Perché? Un mobile dell’Ikea, qualche libro, una Bibbia in spagnolo, la biografia del Che, niente classici. Ancora foto di lei e Ferrara con un gruppo di amici. – In che occasione vi siete viste? – Il futon ampio, comodo, i grandi cuscini appoggiati al muro… – Loro avevano questi amici en comune. Sa, gente importante dello spettacolo, famosa, qualche politico. Era la señora che organizzava tutto. – Quindi erano in buoni rapporti Ferrara e sua moglie, dato che continuavano a frequentarsi? – Sì, direi de sì. La foto di Ferrara che si laurea: la stretta di mano alla commissione, la foto ricordo con i docenti e gli amici. – Si ricorda di qualcuno in particolare? Qualche volto noto? – Una volta c’era el nuovo compagno della moglie, el produttore. – Roversi? – Esatto. Qualche altra volta il giornalista, sa quello che era sempre en televisione y che ha fatto la polemica con el presidente del Consiglio y che per questo non c’è più. – Lo Presti? Mimmo Lo Presti? – Ecco, sì, proprio lui. – Bene. Non voglio disturbarla oltre. È stata molto gentile. E utile. Davvero – Di nuovo la bocca e gli occhi colore nocciola, la foto con gli amici… – Si faccia forza Gisela. La porta che si chiude dietro di me è una liberazione. Ciao Anna, mi manchi… :) Sono a Milano per lavoro. Mi fermo da te? ke dici? C. Come ho sofferto i primi tempi lontano da Genova! Mi mancavano il soffio del mare e i colori della città, il blu del cielo di tramontana che anestetizza lo sguardo, le nuvole che fuggono, il grigio e l’ardesia dei tetti del centro storico ammirati dalla Spianata di Castelletto. E il rosso dei tramonti solenni, quasi religiosi, che dipingono i palazzi di quella Genova verticale e vertiginosa. Genova è aggettivi. Non se ne può fare a meno. Anche solo per quei colori Genova è un gran bel posto dove tornare. La provincia lombarda, Milano. Mi sono adattato a questa nuova vita, senza che io facessi niente per farcela entrare. Se trovassi un altro posto... “Il Corriere”, “Il Giornale”, “Il Foglio”. Andrebbe bene anche qualche televisione, sarei ancora più vicino ad Anna. Basta treni. Ma sempre ognuno a casa sua. Milano ti fa sentire importante anche se non lo sei e ti manca quando non ci stai, la respingi e la brami, ti spezza e ti rianima. Niente aggettivi per Milano. Milano è stati d’animo senza equivoci. È sintesi priva di mistero. Ok. Mi manchi anche tu. Hai sentito della Martini? Terribile. A stasera. Chiamami quando arrivi. A. ke le è successo? Ammazzata. Ieri. Qui a Milano. Forse un ladro. Il taxi attraversa piazza Cinque Giornate. Le auto procedono lente. Facciamo dieci metri e poi siamo di nuovo fermi. Milano! L’aria è fredda, sospesa nel cielo eccezionalmente blu, come capita in questa città quando l’inizio di primavera non riesce a scrollarsi di dosso l’inverno. Anche lo smog è sospeso. Un ciclista provvisto di mascherina antismog ci scarta con un guizzo, poi sparisce tra un autobus e un furgone che sta scaricando alcune casse accanto al palazzo della Coin. Un maxischermo proietta il volto della Martini, fissato in un sorriso che adesso mi appare fuori luogo. La scritta luminosa recita: “Assassinata Serena Martini oggi a Milano. Misterioso il movente”. – Mi lasci qui. Ecco, tenga. Pago l’uomo al volante, spazientito perché ha dovuto bloccarsi di colpo, e attendo che le notizie provenienti dal grande televisore sistemato sulla piazza mi forniscano i particolari sulla morte della Martini. Il volto dello speaker è severo: “Serena Martini è stata assassinata nella sua villa, situata in aperta campagna, vicino Binasco. La scoperta da parte dei domestici questa mattina. Ieri, domenica, la Martini si trovava in casa e, forse, è stata sorpresa durante un momento di relax mentre guardava la televisione. L’assassino ha infierito sulla donna colpendola ripetutamente alla testa con un candelabro, ritrovato accanto al corpo. La Martini aveva la testa spaccata in diversi punti. In un primo tempo si era pensato che il movente dell’omicidio potesse essere un furto, ma dopo un esame più scrupoloso, pare che nulla sia stato trafugato dalla casa della vittima. Grande cordoglio nel mondo della televisione. Appena informati della tragedia, Mimmo Lo Presti, Enzo Roversi e la sua compagna Chiara Solmi, agente della vittima, sono stati tra i primi a confortare i familiari”. Le automobili, a scatti, percorrono la circonvallazione, regolate dal semaforo della piazza che ne interrompe ogni tanto il flusso. – Pronto? Luigi? – Ciao Carlo. – Probabilmente Ferrara e la Martini sono stati uccisi dalla stessa persona. – Come fai a dirlo? – Ti sembra strano? – Ti basta per ricamarci sopra? – Forse sì. – Quanto tempo per togliere il forse? – Penso poco. – Pensi? – No. Poco, poco. – Allora fammi sapere. Ciao. L’assassino è la stessa persona. Ferrara era l’ex marito della Solmi, amica e agente della Martini. Anche se l’arma non è la stessa, quel modo di infierire sulla vittima da parte dell’assassino... e poi la televisione, sempre accesa. Su quale programma? Prima era una fantasia, ma ora che anche la Martini è stata uccisa davanti alla tv, perché no? – Commissario Riccio? Sono Carlo Messina. – Il giornalista? – La disturbo? – In verità sì – Sempre gentile il maori – Chiama per la morte della Martini, vero? – L’omicida potrebbe essere la stessa persona? – Se ne occupano i colleghi di Milano. – Questo lo so, ma ci tenevo a sapere cosa ne pensa. – A che pro? – Diciamo che la stimo. – Si fida in fretta, lei. – Quasi mai, ma a volte non se ne può fare a meno. – Parli con il commissario Basevi, questura di Milano, dovrebbe lavorarci lui. Dica che la mando io. – Lo farò. Ma voglio sapere lo stesso qual è la sua idea. – Per quello che ne so, e so solo quello che hanno detto i telegiornali, l’assassino potrebbe essere uno solo. – È ancora convinto che la televisione sia una mia fissazione? – Parli con Basevi. La saluto. Il maori chiude la conversazione. L’ingresso della questura di via Fatebenefratelli è bloccato dai giornalisti. L’omicidio della Martini ha scombussolato le prime pagine dei quotidiani. Il funzionario che entra nel cortile è gentile, veste molto bene e parla in maniera misurata. Qui uno come Riccio proprio non me lo immagino. – Signori, vi prego, uno per volta. Al momento, non possediamo ulteriori elementi rispetto a quelli che già conoscete. – Ipotesi sul movente? – Domanda di un cronista. – Mi pare molto presto per fare qualsiasi tipo di supposizione – Risponde senza scomporsi, il funzionario. – Avete ricostruito le ultime ore della Martini? – Sì certo. Ma sarà il magistrato responsabile delle indagini a rilasciare dichiarazioni. – Su che programma avete trovato accesa la televisione? – Bocche aperte, gli occhi addosso. Silenzio. – Prego? – È perplesso. – Sapete cosa stesse trasmettendo la televisione quando avete trovato il corpo della Martini? – Tocca ripetermi. – Al momento non… non abbiamo elementi – Sì, è perplesso. – A che ora è stata uccisa la Martini? – Venti e dieci, circa. Il funzionario continua a rispondere ai giornalisti. Non è il momento per chiedere di Basevi. Lascio la questura. Più avanti la chiesa di San Marco, poi Brera, il Cristo Morto del Mantegna, penosamente uomo mai stato Dio, Piero e la Madonna della Pala Montefeltro, la Pietà di Lotto, bella e assurda come può solo essere quella scomposta disposizione a triangolo... Brera è l’adolescenza. La mia idea di bellezza si è ordinata grazie al volto sfatto del Cristo alla Colonna di Bramante, alla perfezione dello Sposalizio della Vergine di Raffaello e alla vertiginosa prospettiva di Tintoretto, Il ritrovamento del corpo di San Marco... Brera. Il genio di Medardo Rosso, Caravaggio... Ospite dello zio, facevo esperienza dell’antica Milano, priva allora di manichini da bere e di rampanti publitalici. Mi verrebbe da dire: ci vedevamo in via Gabba. Una bella casa e una grande libreria. La mia iniziazione alla cultura è stata lì, nel salotto dello zio. A Milano. Io e lui, testa a testa. A parlare fino a notte fonda. Mio cugino, più grande di circa tredici anni, organizzava la gioventù comunista, fronteggiava le cariche della polizia o le squadre dei sanbabilini. E lo zio aspettava il suo rientro fingendo indifferenza. Mi parlava di Kant e del suo amato Dostoevskij, come se non si dovesse fare altro a quell’ora della notte. Ma sapevo che soffriva fino a quando lo sentiva rientrare. Ho un po’ di nostalgia per quella Milano. Lo zio era un vecchio socialista. Mio cugino scrive per “Il Foglio”. Via Fatebenefratelli. Un corteo si dirige verso piazza Cavour. Questi portano al collo bandiere arcobaleno con la scritta “pace”, questi altri brandiscono drappi con il ritratto di Che Guevara, laggiù ancora Gandhi e gente “per un mondo senza più guerre”. Musica, suoni, colori e parole... già, parole. Seguiamola questa processione. È curiosità, curiosità per sentimenti a me estranei. Il corteo s’immette in via Manzoni. Nella galleria, accanto al cinema, ci deve essere ancora quel piccolo bar. Faceva delle cioccolate con panna favolose. Eccolo lì! Sempre al suo posto. Da qui, con lo zio, una domenica d’inverno ce la siamo fatta tutta a piedi fino a San Siro. Derby Milan-Inter. Un freddo che levati! “Ma come fai a tifare Genoa?” mi aveva domandato lo zio, appassionato rossonero, per tutto il tragitto. E come potevo spiegargli, io, ragazzino, che mica l’avevo scelto? Il Genoa non si sceglie. Ai genovesi veri il Genoa si incolla addosso come una fatalità. Bella e crudele. E molto snob. Vuoi mettere il fascino delle imprese disperate? Il Milan o l’Inter, invece, loro certo che si scelgono. Perché in città milanesi autentici non ne esistono quasi più e chi arriva ha bisogno di sentirsi subito protagonista. Ma lo zio era istriano, non poteva capirmi... Alzo la testa per seguire le evoluzioni di un aquilone-colomba della pace che volteggia sopra i manifestanti. Gridano il mio nome. La voce è confusa tra lo schiamazzare della folla e l’incessante rullare di alcuni tamburi. – Carlo! Carlo Messina! – La figura asciutta di Aldo Serioli. – Professor Serioli! Lei qui? – Si tiene in forma? Il fiume di gente ci spinge verso piazza della Scala. – È per via della manifestazione contro quella che loro chiamano occupazione, un atto di agnizione collettiva che richiede la giusta celebrazione.
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