Capitolo 3

1961 Words
Capitolo 3 BROOKE Lo studio Harris & Goode era incastrato in Hereford Street, che era più tranquilla grazie alla zona pedonale di cui godeva Newbury Street. Non era un problema che la strada fosse poco frequentata, perché i clienti del nostro studio di arredamento d’interni non erano passanti. Il mio ramo faceva affidamento sul passaparola, ma soprattutto sulle tanto ambite referenze che i precedenti clienti passavano ai loro amici coi soldi. Mi venne voglia di camminare, perciò scesi a Coplay Station e svoltai per Newbury Street. Quando il tempo era brutto, percorrevo Hynes Street, perché era più breve, ma questa era una bella giornata autunnale, soleggiata e asciutta, tutta da godere. La mia piccola crisi di pianto mi aveva aiutata, in un certo senso. Avevo abbassato la guardia e ricordato la mia tristezza, per un momento. Mi ero fatta prendere dalle emozioni e avevo spaventato il povero Herman. Entrambi eravamo comunque sopravvissuti e, una volta passata la tristezza, mi ero sentita molto meglio, e credo anche lui. Il nostro successivo incontro non sarebbe stato imbarazzante, perché ormai avevamo suggellato la nostra amicizia. Questa, pensai, era un’ottima cosa. Mi fermai da Starbucks per risistemarmi il trucco e soprattutto placare l’astinenza da caffeina, prima di entrare da Harris & Goode, nel portone accanto. Dio, amavo avere Starbucks di fianco all’ufficio, era uno dei vantaggi del mio lavoro. C’era la fila al bagno, perciò, nell’attesa, controllai i messaggi. Quello di Martin fu del tutto inaspettato. Voleva che lavorassi a un cocktail party quella sera stessa, dalle sei alle nove. Il mio secondo lavoro come cameriera per il Jonquil Catering non era il mio preferito, ma pagava bene, quando riuscivo a incastrare qualche extra. Mi piaceva lavorare da Harris & Goode, creando ambienti per i clienti in base alle loro visioni, ma il salario da designer neoassunta non mi permetteva di arrivare a fine mese. Non ancora, perlomeno. Perciò, nei fine settimana e la sera facevo dei lavori extra, se venivo avvisata in tempo. Nove ore, però, non erano abbastanza per organizzarmi e Martin questo lo sapeva. Prima di tutto, dovevo avere un posto dove stare per la notte, perché l’ultimo traghetto era alle otto e trenta di sera e, se non riuscivo a prenderlo, sarei dovuta restare a Boston a dormire. Di solito stavo da Zoe, ma la mia amica era via per il matrimonio di sua sorella e non sarebbe tornata prima di un’altra settimana almeno. Inoltre, non avevo abiti di ricambio per presentarmi al lavoro il giorno dopo, né la mia divisa bianca e nera per il servizio. Non avrei potuto lavorare per Martin quella sera. Gli mandai un messaggio: Mi spiace, non posso, Martin. Sono già a Boston e sai che ho bisogno di preavviso per trovare dove stare, i vestiti etc... B Sapevo che se la sarebbe presa, ma cosa potevo fare? Vivere su un’isola comportava qualche disagio e poi non avevo controllo sugli orari dei traghetti. Non c’era molta richiesta durante la notte. Quando fissai il mio volto nello specchio di Starbucks, pensai che forse era accettabile Avrei considerato già un successone il fatto che Eduardo non si accorgesse che avevo pianto. I capelli lisci e biondi, e gli occhi di un marrone molto chiaro – li avevano più volte definiti color ambra – li avevo ereditati da mia madre. La nonna mi diceva spesso che le assomigliavo molto. Avevo sempre pensato che mia madre fosse bellissima, perciò, quando la nonna mi diceva che avrei potuto essere la sua gemella, mi faceva sentire bene. Studiai attentamente il mio aspetto e arrivai alla conclusione che non facevo poi così schifo, magari sembravo solo un po’... triste. Perché lo ero. Non era un caso che il mio personaggio preferito di Inside Out fosse Tristezza. Era essenziale nel film, come nelle nostre vite, e quando si provava a eliminarla completamente, senza farla sfogare una volta ogni tanto, tutto il resto crollava per l’enorme pressione di negarsi il diritto di essere tristi. Per me aveva più che senso. Anzi forse avrei riguardato il film quella sera stessa, dopo essere stata alla clinica, dalla nonna, decisi, dirigendomi allo studio, dopo aver ordinato il caffè. «Buongiorno!» Eduardo mi aggredì subito col suo solito caloroso saluto. «Sei molto sexy oggi, mi condesa. Quegli stivali gridano “scopami finché non dico basta”, lo sai, sì?» Appoggiai il caffè sul bancone della reception e mi sbottonai il cappotto. «Buongiorno a te, e no, i miei stivali non gridano nulla del genere.» «Invece sì, eccome, cara. Ma immagino che tu non ti sia accorta neanche di quel figone da paura lì fuori, con gli occhiali da sole, che ti ha fatto la radiografia, giusto?» Eduardo ondeggiò il braccio verso la porta a vetri dell’ingresso, dove un figone stava davvero sbirciando dentro mentre telefonava. Un metro e novanta circa, capelli scuri, un cappotto di lana color cammello sopra un completo grigio dall’aria molto costosa, e un paio di Ray-Ban, erano tutto quello che riuscivo a scorgere da dentro. Ma anche attraverso il vetro, il suo fascino era evidente. Peccato che di uomini come lui fosse pieno il centro degli affari di Boston; li vedevo tutti i giorni correre da un accordo aziendale all’altro, cercando di andare avanti nella vita, proprio come chiunque altro. «Sta parlando al telefono, stronzetto, non sta guardando me.» «Altroché, invece. Sei passata e lui ti ha scansionata pezzo a pezzo, dolcezza. E gli piaceva pure quello che vedeva, era evidente. Già, già!» mi informò con un’espressione seria. «E poi, mi piace quando mi dici le porcate in londinese.» Insultarlo scherzosamente era tutto ciò che potevo fare per non scoppiargli a ridere in faccia. Eduardo Ramos era un bene per la mia anima. Lo conoscevo solo da quando avevo iniziato a lavorare lì, quattro mesi prima, ma andavamo d’accordissimo. Sapeva tutto del mio passato ed era molto comprensivo e toccato dalla mia situazione. Amava il fatto che fossi britannica e mi chiamava quasi sempre mi condesa, “mia contessa” in spagnolo. L’unica cosa era che, con Eduardo, dovevi sorvolare sui commenti oltraggiosi e inappropriati che faceva sempre nel momento meno opportuno, su argomenti off-limits per un posto di lavoro, perché questo aspetto era incluso nel pacchetto. Uno splendido ragazzo gay portoricano, sboccato e squisitamente adorabile. Scossi piano la testa. «Jon e Carlisle sanno che fantastichi sui passanti quando invece dovresti lavorare?» Lui sbuffò, sollevando un sopracciglio. «Loro fanno lo stesso, quando entrano. E poi, è proprio qui, Brooke, tutto qui dritto di fronte a me.» «Cos’è di fronte e te?» Mi voltai e notai che il figo con i Ray-Ban era andato via. «Gli uomini, Cristo santo!» Eduardo sospirò con fare melodrammatico. «Grossi... cazzi... duri... che camminano. Tutto il santo giorno. Ay, Dios mío!» Si schiaffeggiò le guance con entrambe le mani. Scoppiai a ridere. «Forse non sono così duri come credi, se camminano. Cioè, credo che sia alquanto doloroso camminare col cazzo duro tutto il giorno, no?» «Anche questo è vero, condesa. Ti prego, dimmi ancora cazzo duro con quel delizioso accento.» «No, non te lo dirò, perciò smettila di fare l’insolente con me.» Eduardo sapeva che non ero davvero infastidita. Era solo un gioco che facevamo per divertirci, ci punzecchiavamo a vicenda, e a Jon e Carlisle non dispiaceva, anzi. Era il prezzo da pagare per lavorare con tre interior designer gay, e a me stava benissimo. *** «Martin, te l’ho già detto perché non posso. Non vivo a Boston, non ho né un posto dove dormire né i vestiti per domani. Se vuoi che lavori per te, mi devi dare almeno ventiquattr’ore di preavviso.» Mamma mia, quest’uomo è proprio stupido! Ma cosa non riusciva a capire? Semplicemente non gli importava nulla. «Perché non stai dalla tua amica?» suggerì Martin. «Zoe è via, e anche se fosse qui, non avrei gli abiti.» Avrei voluto prenderlo a sberle. Eduardo, che, se poteva, aveva l’abitudine di origliare tutte le conversazioni dell’ufficio, disse ad alta voce: «Puoi stare da me, se cerchi un posto per stanotte.» ‘Fanculo alla sua voce stridula e acuta! «L’ho sentito» disse Martin. «Tutto risolto, quindi?» Rimasi in silenzio e fissai Eduardo con odio: me l’avrebbe pagata. «Brooke?» «Sì, Martin?» «Allora ci vediamo alle sei. Ti mando l’indirizzo via messaggio, quando riattacco.» «Aspetta. Non ho la divisa bianca e nera.» «Cosa indossi?» Se Martin mi fosse stato accanto, in quel momento, si sarebbe spaventato nel vedere il mio sguardo assassino. «Una camicia verde smeraldo chiaro, una gonna nera e stivali dello stesso colore sopra il ginocchio, del tutto inappropriati per il servizio. Te l’ho detto, non posso stasera.» «Vai a comprarti una camicia bianca, nella pausa pranzo, e indossa gli stivali. Sarà un ricevimento di amministratori, e saranno per la maggior parte uomini. Sono sicuro che li apprezzeranno su quelle bellissime gambe.» Oh! Brutto, piccolo pezzo di merda! «Fingo di non aver sentito il tuo commento sessista riguardo al mio lavoro, perciò, parliamo di compenso, che è meglio, Martin.» Servire in stivali col tacco non sarebbe stato facile, in più avrei dovuto comprare la camicia. Se a Martin non stava bene, cazzi suoi. Eduardo sghignazzò, alzando il pollice verso di me. «Ti pago doppio, Brooke, basta che vieni.» Per quanto volessi rifiutare, mi servivano i soldi extra. «Va bene, Martin. La prossima volta che vuoi che lavori, però, mi devi avvisare prima, così posso organizzarmi.» Sempre che potesse esserci un’altra volta. Forse sarebbe stato meglio mettersi a cercare altro. Chiuso con Martin, puntai un dito contro Eduardo e gli lanciai la versione meno violenta del mio sguardo assassino. «Sei nei guai, in caso non lo avessi capito. Adesso vai dai capi e di’ loro che ce ne andiamo a comprare una camicia e torneremo col pranzo. A proposito, tu paghi il mio, oggi.» Gli sorrisi con dolcezza, prima di alzarmi dalla scrivania e infilarmi il cappotto. «Va bene, mi condesa» canticchiò Eduardo volteggiando verso il piano superiore per prendere gli ordini di Jon e Carlisle. Mentre lo aspettavo, decisi di avvisare mia nonna che non sarei andata a trovarla. Sarebbe stata contenta di sapere che avrei passato la notte da Eduardo, ma siccome cercavo di andare da lei tutte le sere per una breve visita, se non mi avesse vista si sarebbe di certo preoccupata. La mia chiamata fu girata alla reception, come al solito. Nonna raramente stava in camera sua, soprattutto quando c’erano delle attività interessanti. «Blackstone Therapy Centre, sono Lilith, come posso aiutarla?» «Ciao Lilith, sono Brooke.» «Ah, ciao. Tua nonna è a una lezione di pittura in questo momento, alle prese con un paesaggio marino.» «Oh, grandioso, non vedo l’ora di ammirarlo. Puoi dirle, per piacere, che stasera lavoro per Martin? Lei capirà, e dille che verrò domani, come al solito.» «Certo, Brooke, e grazie per averci avvisati, si sarebbe di certo preoccupata.» Mettere mia nonna temporaneamente in una casa di riposo, per permetterle di riprendersi dall’intervento di protesi al ginocchio, era stata la nostra unica opzione. Non poteva rimanere sola nel cottage tutto il giorno, intrappolata su una sedia a rotelle, mentre io lavoravo a Boston. Non si era mai lamentata, ma sapevo che avrebbe preferito starsene a casa sua, come chiunque, del resto. Dopo che la tenuta di Blackwater era stata chiusa, e lei costretta ad andare in pensione, i soldi dovevano essere gestiti con attenzione per arrivare alla fine del mese. Non era affatto vecchia a sessantun anni, ed ero certa che le mancasse molto il suo lavoro, così come il cameratismo con i suoi colleghi. Non a caso, la caduta che l’aveva portata all’intervento era avvenuta proprio dopo aver perso il lavoro, mentre era sola nel suo cottage e annoiata a morte. Fortuna che quel giorno la sua amica Sylvie era andata a farle visita nel pomeriggio, per il tè. L’aveva trovata stesa a terra in fondo alle scale della cantina, spaventata a morte e con dei gran dolori. Mi domandavo spesso con che coscienza i Blackstone avessero potuto licenziare una governante leale, dopo più di trent’anni di lavoro fedele, con a malapena un “grazie e arrivederci”. Nessun tipo di compenso, liquidazione o copertura medica, nulla. La parola che mi veniva in mente per il loro comportamento, a cui non c’erano giustificazioni, era deplorevole, o forse ancor meglio stronzi egoisti. Blackstone Island era principalmente un luogo in cui poca gente, veramente ricca e con ville fronte oceano che valevano milioni di dollari, veniva a godersi le vacanze estive. Ma, era anche un posto in cui molta altra gente, più povera, lavorava duramente per servire quegli stessi ricchi, e aveva poco o niente in mano.
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