Capitolo 1

2079 Words
Capitolo 1 CALEB Settembre, Boston. Rotolai via da lei e capii subito che sarebbe stata l’ultima nostra scopata. Inutile fingere, io e Janice avevamo chiuso, anche se lei ancora non lo sapeva. Il sesso capitava quando ne avevo bisogno, il resto del tempo era lavoro, lavoro, lavoro e ancora lavoro. Ero occupatissimo a viaggiare intorno al mondo, perché da diciotto mesi, cioè da quando mio padre si era ammalato troppo per continuare a lavorare, avevo preso in mano le redini della Blackstone Global Enterprise. Janice si mise a farmi le fusa sul collo, strofinandomi le tette sul fianco. Dovetti fare uno sforzo per concentrarmi sullo sfilare il profilattico e non spingerla via in malo modo. All’inizio, eravamo entrambi d’accordo che il nostro legame non sarebbe uscito dalla camera da letto. Lei era una modella di successo e viaggiava tanto quanto me, se non di più, perciò non avevo mai notato il suo essere così eccessivamente appiccicosa. Se me ne fossi accorto subito, non ci sarebbe mai stato nulla tra di noi, perché sapevo bene com’erano le donne emotivamente dipendenti. La fila di femmine in cerca di un uomo ricco che realizzasse tutti i loro sogni era tanto lunga quanto facilmente riconoscibile e, nel corso degli anni, avevo schivato tanti di quei tentativi che ero diventato un esperto della fuga. Ora, però, sentivo che Janice voleva da me molto di più di quello che potevo darle, e temevo molto il confronto che ci sarebbe stato a breve. Non mi avrebbe estorto alcuna sorta di impegno o altro e, anzi, mi seccava parecchio che lei ancora insistesse. Credevo di essere stato chiaro, all’inizio della nostra storia. Sei mesi prima, era venuta al funerale di mio padre con tutta la sua famiglia e, per alleviare il mio dolore, avevo ceduto alle sue offerte di conforto, anche se sapevo che non le avrei potuto concedere più di una notte di sesso ogni tanto. Eppure, dopo qualche settimana di scopate regolari, fui io a suggerire di diventare esclusivi, addentrandomi in un territorio completamente inesplorato. Il fatto di non dovermi sbattere per trovare qualcuna da scopare era comodo; inoltre venivamo dallo stesso mondo, essendo entrambi cresciuti in famiglie privilegiate dell’area di Boston. Avevamo frequentato le stesse scuole private, fatto le vacanze nelle nostre ville sull’isola, insomma, essere con qualcuno che conosceva i retroscena e i dettagli della società del New England rendeva tutto molto più semplice. Perciò, avevo deciso di provare ad avere una fidanzata. E comunque, per vederci, avremmo dovuto entrambi essere a Boston nello stesso momento e questa non era di certo una cosa semplice. Per quanto avessi provato a lavorare sulla mia prima relazione seria, sperando di riuscire a provare qualcosa per Janice, era arrivato il momento di affrontare la realtà dei fatti, e cioè che tra noi non c’era nulla di più profondo di un paio di orgasmi e nulla ci sarebbe mai stato. Sapevo già che la notizia avrebbe devastato mia madre, forse più di Janice. Le nostre famiglie erano molto vicine e all’annuncio della rottura ne sarebbe conseguito dell’imbarazzo nei rapporti, ne ero conscio. Nota personale: non scopare mai più con amiche di famiglia. Inoltre, avevo il sospetto che Janice mi tradisse. Il fatto che non mi importasse la diceva lunga, ma era l’unica donna con cui ero stato negli ultimi sei mesi e, se non riuscivamo neanche a essere sinceri riguardo a chi scopavamo o meno, non c’era speranza per noi. In più, non prendermi l’herpes genitale era un ulteriore plausibile motivo. Avrei voluto poter lanciare in faccia questa bomba a mia madre durante il prevedibile sproloquio che mi avrebbe inflitto, per cercare, invano, di far nascere in me il senso di colpa. Ma Madeleine Blackstone non avrebbe mai accettato la parola scopare o varianti simili in una conversazione con suo figlio. Mai. Che peccato. Sarebbe stato bello poter vedere sul suo volto un’espressione inorridita... «Perché sorridi?» mi domandò Janice, facendo scivolare la mano sul mio ventre, diretta verso il cazzo. «Sto sorridendo?» La fermai proprio nell’istante in cui stava per afferrami l’uccello e mi districai dal suo corpo. Sedetti sul bordo del letto e appoggiai la fronte sui palmi delle mani. «Sì, Caleb, stai sorridendo.» Pareva seccata. «Si può sapere cos’hai? Perché non vuoi farlo di nuovo?» Si spalmò sulla mia schiena con tutto il corpo, come a infilarsi dentro di me, e io faticai a non scrollarmela di dosso. «Lo sai che una volta non mi basta» disse in tono un po’ troppo disperato, buttato lì per farmi cambiare idea. Cazzo, sei proprio un coglione di prima categoria per esserti immischiato con lei. Impara, brutto stronzo, impara! Ero più che certo che Janice fosse una ninfomane e se all’inizio questo si era rivelato gratificante per me – avevo bisogno di qualcuno che mi fottesse il cervello e alleviasse il dolore per la perdita di mio padre – ora non lo era più. Mi allungai verso i boxer e me li infilai alla svelta, con l’urgenza di porre una barriera tra il mio uccello e lei, il prima possibile. Sentivo il bisogno impellente di una doccia, ma la mia coscienza non poteva resistere altri cinque minuti senza comunicarle che avevamo chiuso-per-sempre. Quelle tre paroline, parte dell’inevitabile destino di qualsiasi donna con cui ero stato. Sapevo che l’aver appena fatto sesso con lei faceva di me uno stronzo colossale. Non avrei dovuto farlo e non ne andavo fiero, ma, in verità, aveva iniziato lei nell’ascensore, non io. Mi avrebbe felicemente fatto un pompino salutando la videocamera di sorveglianza, se non le avessi detto di aspettare. Il sesso in pubblico era roba sua, non mia. Quella sera mi era servita per una cena di beneficenza, perché a un evento da cinquemila dollari al piatto sarebbe stato da cafoni andarci da solo. Diecimila dollari per la ricerca contro il cancro erano molto meglio di cinquemila. Certo, non mi sarebbe affatto dispiaciuto firmare un assegno dieci volte superiore e saltare la cena, ma sarebbe stata una cosa da ritardati mentali, dal punto di vista sociale. Supportare la ricerca sul cancro in nome di mio padre era una cosa che avrei fatto per tutta la vita, e il mio assegno avrebbe comunque avuto uno zero extra. «Quindi, basta davvero sesso, per stanotte?» Percepii lo sdegno nella sua voce. «Caleb, partirò per Hong Kong domattina, e non ci vedremo almeno per una settimana.» Prova con... mai più! Feci un sospiro e mi voltai per guardarla in faccia. «Janice, dobbiamo parlare.» Trenta minuti dopo ero privo della mia prima vera fidanzata e in possesso di un visibilissimo occhio nero. Per essere quarantacinque chili, Janice era capacissima di stenderti, ma soprattutto mi aveva preso alla sprovvista e, per di più, era sconvolta per la nostra rottura. Controllai il livido sullo zigomo sinistro allo specchio dell’ingresso, e notai che l’occhio stava diventando sempre più nero. Domani sarebbe stato peggio, sai le risate in ufficio. Brutta stronza! Quando le avevo chiesto indietro la chiave di casa, la puttana psicopatica mi aveva colpito in pieno volto. Con il tacco della sua cazzo di scarpa. Il pianto era arrivato dopo, accompagnato da accuse isteriche e assurde. A quanto pareva, le avevo fatto credere che eravamo sulla strada verso il matrimonio e un futuro insieme. Avevo capito benissimo da dove venivano quelle idee, nel momento stesso in cui me le aveva vomitate addosso. Era stata una conversazione allucinante e surreale. Le avevo risposto che c’era e ci sarebbe stata solo una Mrs Blackstone viva, in famiglia, e quella era mia madre, vedova da poco, la stessa persona che le aveva inculcato quelle stupide idee nel cervello. Prima di sparire, mi aveva mandato a ‘fanculo e coperto di insulti, sculettando verso l’ascensore come se fosse su una passerella. I vicini avrebbero dovuto essere tutti morti, per non sentire il suo spettacolo decisamente poco discreto. Dio... Il mio telefono annunciò l’arrivo di un messaggio. Avevo paura di guardare chi fosse il mittente, perché non ero dell’umore per discutere di Janice con mia madre adesso, o in qualunque altro momento. James. Sapevo cosa avrebbe detto ancor prima di leggere il messaggio, perché viveva due piani sotto di me. Non aveva dovuto viaggiare tanto, la stronza. J: Ehi! Janice è qui. Piange perché avete rotto, è vero? Scossi la testa e digitai: Sì. J: Quindi... non ti importa se è qui. Il povero bastardo stava giocando col fuoco. Tipo, inzuppare di benzina una grossa pila di abiti e dargli fuoco. Io: No. Grazie per avermelo chiesto prima. Comunque sì, abbiamo rotto. J: Okay, amico. Cristo santo, James stava per fottersi Janice. Io: Ehi, James. J: Sì? Io: Attento. Vedi di non morire stanotte. Jan è una cazzo di ninfomane, se già non lo sai. J: Sì, l’ho capito quando si è presentata qui e mi ha detto di volermi succhiare il cazzo. Non morirò, tranquillo. A dopo. Io: Sesso sicuro! James, incappucciatelo bene. J: Ok. Io: Ti suggerisco di scopartela e via. È una zecca! J: ‘Fanculo, Cal. Andai a prendermi una birra dal frigo. Che cazzo di serata. Il fatto che mi preoccupassi di più di quello che stava accadendo al mio amico, piuttosto che della mia ex fidanzata, faceva di me una persona orribile? James Blakney stava per imbarcarsi in una notte di sesso fuori di testa con una Janice ancora più fuori controllo del solito. Non potevo che essere infinitamente grato per averla fatta franca con lei, nell’immediato, ma sapevo che questa storiaccia non sarebbe potuta finire bene, né per me né per James. Dovetti ricordare a me stesso che era un uomo adulto e per giunta avvisato. Avrebbe scoperto presto di che pasta era fatta. Dovevo cambiare la serratura, perciò mandai un messaggio a Victoria, la mia assistente personale, affinché se ne occupasse al più presto. Rispose che ci avrebbe pensato il giorno dopo. Sentivo la doccia chiamare il mio nome a gran voce. Sì, una doccia bollente con moltissimo sapone antibatterico e antimicotico, quella roba gialla e dura come la carta vetrata, che ti grattava via il primo strato di pelle. Salii le scale, accesi la luce dal bagno e inorridii alla vista di ciò che mi si presentò davanti agli occhi. «Cristo santo!» Dopo la sfuriata nel piano di sotto, credevo che Janice fosse salita a vestirsi per poi levarsi dalle palle e invece aveva completamente distrutto il mio bagno. La scritta Brutto Stronzo Bastardo, scarabocchiata sullo specchio col rossetto rosso fuoco, spiccava sfacciata. Aveva sparso shampoo, dentifricio e dio sa solo cos’altro sui muri, il pavimento, le mensole... ovunque. Gli asciugamani erano schiacciati dentro il cesso e il contenuto dei cassetti era stato buttato a terra e lanciato in giro. Caos e distruzione totale. Controllai gli armadietti, ma la roba lì era miracolosamente intatta, sfuggita alle ire funeste di Janice. Mentre aprivo le ante, mi aspettavo quasi di trovare la testa di un cavallo mozzata o magari, vista la scena da brivido, un coniglio morto, in perfetto stile Attrazione Fatale. Spensi la luce e mi chiusi la porta alle spalle. Tracannando la birra lungo il tragitto, mi diressi verso la camera degli ospiti per farmi la mia tanto agognata doccia. Mi dispiaceva per Ann, che avrebbe dovuto pulire tutto quello schifo l’indomani, ma non ce la potevo proprio fare. L’avrei ringraziata per il disturbo con un giorno libero extra, pagato, durante la settimana. Il telefono mi vibrò nella tasca. Wow, che bello, una foto! Da Janice. Di lei che succhiava quello che presumevo fosse il cazzo di James. Aveva anche aggiunto un messaggio: Ti pentirai di aver scopato con me, Caleb Blackstone. Mi ero già pentito, a dire il vero. E Janice era davvero una psicopatica. Feci tre cose prima di spegnere il telefono: eliminai la foto. Bloccai Janice. E mandai un messaggio a James, per informarlo che la pazza stava postando foto col suo cazzo in bocca. Suo padre, un giudice del primo circuito giudiziario della Corte d’Appello, non avrebbe fatto i salti di gioia se la foto fosse saltata fuori. In realtà, feci quattro cose. Andai al piano di sotto a prendere un’altra birra e la scolai prima di tornare nella stanza degli ospiti e abbandonarmi alla mia bramata doccia. Quando l’acqua calda si riversò sul mio corpo, promisi a me stesso di stare alla larga dalle donne per un pezzo. Evidentemente non facevano per me, e inoltre avevo incontrato solo tipe fuori di testa che volevano usarmi per avere libero accesso ai mei soldi o per farsi sposare. Ma dove cazzo erano le donne normali? Cristo santo! Erano solo un mito? Ricordai le parole che mio padre mi aveva detto prima di morire: “Quando troverai quello che ti renderà felice, Caleb, tienitelo stretto più che puoi. Il tuo cuore ti darà la risposta.” Volevo davvero credere alle parole di papà, ma la realtà dei fatti era che il mio cuore non mi diceva una parola da un’eternità.
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