Introduzione all'opera-2

1988 Words
Lo stesso Verne, comunque, era divenuto uno dei due censori della "Société d'encouragement pour la locomotion aérienne au moyen d'appareils plus lourds que l'air", che aveva la sua sede proprio in casa di Nadar. Verne si era subito rivelato per Hetzel, come si usa dire, "una gallina dalle uova d'oro". Ma Hetzel non era soltanto un editore abile; era anche un gentiluomo. Perciò di fronte al costante successo di Verne accettò di ritoccare ripetutamente il contratto già stilato e per lui più vantaggioso. Lo fece già per il secondo romanzo uscito prima in due volumi (intitolati rispettivamente "Les Anglais au pole nord" e "Le Désert de glace" e poi in volume unico intitolato "Voyages et aventures du capitaine Hatteras " (in italiano: " Le avventure del capitano Hatteras"). E lo fece di nuovo nel 1865, quando portò il compenso per ogni singolo volume a 3000 franchi. Nel frattempo erano usciti "Le Comte de Chanteleine", "Le Voyage au centre de la Terre" (italiano: "Viaggio al centro della Terra"), "De la Terre à la Lune" (italiano: Dalla Terra alla Luna, Edizioni Paoline, in questa medesima collana), "Les Forceurs du Blocus". Seguirono poi la continuazione della "Géographie illustrée de la France" (che era stata iniziata da Lavallée), "Les Enfants du capitaine Grant" (italiano: "I figli del capitano Grant"), "Autour de la Lune" (italiano: "Attorno alla Luna"), "Vingt mille lieues sous les mers" (italiano: "Ventimila leghe sotto i mari"), "Découverte de la Terre ", " Une ville flottante ", " Aventures de trois Russes et de trois Anglais". Intanto le cose si erano dunque messe molto bene per Verne, che prendeva sempre maggiore familiarità anche col mare: prima si recò appunto per mare a Bordeaux a trovare suo fratello Paul, che vi si era ritirato dopo avere dato le dimissioni da ufficiale di marina ed essersi sposato. Poi fece un lungo viaggio-crociera sul "Great Eastern" (durante questo viaggio, il mare ebbe la "bontà" di mostrarglisi un po' agitato). Nel 1868 addirittura acquistò un suo proprio battello. Il "Saint-Michel Primo". Meno bene andavano invece le cose per Hetzel, che tuttavia continuò a largheggiare col Verne al punto di stilare con lui nel 1871 un contratto col quale lo scrittore si impegnava a consegnare due soli romanzi all'anno e insieme riceveva uno stipendio fisso di 1000 franchi al mese. Quasi a ripagarlo, l'anno dopo, 1872, Verne cominciò a pubblicare, su " Le Temps ", " Le Tour du monde en quatre-vingts jours " (italiano: " Il giro del mondo in ottanta giorni," che qui presentiamo in edizione integrale), che suscitò un vero entusiasmo, di cui benificiò anche l'edizione in volume: ne vennero vendute infatti immediatamente ben 108000 copie. Il successo di Verne continuò intatto anche dopo la sua morte, che avvenne nel 1905 ad Amiens. "Phileas Fogg imitato (e superato) dalle donne". Phileas Fogg, come sanno certamente tutti, anche quelli che non hanno ancora letto questo giustamente celeberrimo romanzo, è il gelido ma preciso e metodico protagonista de "Il giro del mondo in ottanta giorni". E' nato dalla fantasia di Verne, anche se la francese Simone Vierne collega il cognome Fogg al termine inglese "fog", che significa "nebbia", e il nome Phileas a un peraltro poco noto geografo greco del quinto secolo avanti Cristo, autore per l'appunto di un'opera intitolata "Periplo" (con un po' di... presunzione questo titolo potrebbe anche essere interpretato come "giro del mondo"), di cui restano pochissimi frammenti. In realtà, a parte una sua eccessiva e persino macchiettistica "rigidità" anche esteriore, ritenuta adeguata alla sua estrazione inglese, Phileas Fogg si presenta come un personaggio in carne ed ossa che tenta un'impresa davvero singolare: compiere un intero giro intorno al mondo in soli ottanta giorni. Per noi che siamo abituati a velocità molto superiori a quella del suono (che talvolta diviene anzi una specie di unità di misura, il "mach" che varia secondo la densità dell'aria e va perciò da 1220 chilometri orari a 1700 circa) non sembra un'impresa eccessivamente difficile. Potrà forse interessare tuttavia sapere che il più veloce giro del mondo sembra sia ancora quello compiuto senza scalo da tre apparecchi USAF B-52 capitanati dal generale Archie J. Old Junior e che nei giorni 16-18 gennaio 1957, facendo capo alla March Air Force Base di Riverside in California e viaggiando verso est, percorsero 39147 chilometri in 45 ore e 19 minuti, ricorrendo a quattro rifornimenti in volo da aerocisterne e raggiungendo una velocità media di 845 chilometri orari. Ben diversa fu invece la reazione dei contemporanei. Nella realtà infatti avvenne ciò che Verne stesso racconta nel suo romanzo. Poiché il romanzo uscì a puntate come appendice su "Le Temps", dal 6 novembre al 22 dicembre 1872, i lettori, che ignoravano come sarebbe andato a finire, cominciarono a prendere vivamente parte essi stessi alle vicende di Phileas Fogg, giungendo persino a fare delle scommesse sul successo o meno dell'impresa. Il che naturalmente faceva crescere l'attesa per le nuove puntate del romanzo, peraltro già ultimato da Verne prima di passarlo in tipografia. Verne infatti aveva scritto in poco più di sette mesi, da marzo a ottobre del 1872, questo che è il suo romanzo forse più celebre e popolare, e aveva realizzato in tal modo con la consueta rapidità il progetto che gli si era presentato l'anno precedente. Ci fu ben presto chi non si accontentò di leggere sul "Temps" prima e in volume poi le traversie e le ingegnose trovate di Fogg e di Passepartout, ma decise di partire per verificare strada facendo l'esattezza e la realizzabilità dei piani di marcia di Verne. In un'epoca come la nostra in cui le femministe, e non solo, vanno alla ricerca di memorie storiche su imprese memorabili compiute da donne, sarà certamente interessante sapere che fu proprio una donna, l'inglese Signora Bisland, che ripercorse per prima l'itinerario di Phileas Fogg impiegando anche lei, manco a dirlo, esattamente 79 giorni: Verne venne a conoscenza del tentativo e ne diede notizia nel suo romanzo "Claudius Bombarnac" del 1892. Ma ci fu chi fece meglio di Phileas Fogg e della Signora Bisland: fu un'altra donna, Nellie Bly, la quale nel 1889, partendo da New York, riuscì a farvi ritorno dopo avere fatto il giro del mondo in 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi. La Bly vinceva così una scommessa pattuita con il direttore del giornale americano "The World". Non ancora soddisfatta, dopo che ebbe ricevuto le congratulazioni dello stesso Verne, la Bly qualche anno dopo riuscì ad abbassare il suo record a 66 giorni. Non possiamo attardarci ora a ricordare tutti gli altri tentativi che si susseguirono. E' opportuno tuttavia accennare che taluni di questi vennero anche narrati per scritto: così quello di Stigler nel 1901 (che durò 63 giorni) e quello di un ragazzo danese quindicenne (che durò 44 giorni, ma viaggiando in senso contrario a Phileas Fogg). Il tentativo più recente di cui si ha notizia è quello di un giornalista francese, Jean-Marie Audibert, che ha impiegato, utilizzando anche l'aereo, quattro giorni, 19 ore e 38 secondi: l'Audibert ne fece una puntuale narrazione nel libro intitolato per l'appunto "Le Tour du monde en 4 jours" (italiano: "Il giro del mondo in 4 giorni"). La vicenda di questo Audibert è interessante, perché lascia intravvedere che cosa succede a uno che legge con un po' di fantasia "Il giro del mondo in ottanta giorni" di Verne. Dobbiamo cominciare col ricordare che Jean-Marie Audibert è un simpatico giornalista francese alla testa di un'altrettanto simpatica famiglia costituita da lui, sua moglie Marie e i loro figli Claudette, Jean-Pierre e Michel. Redattore del giornale marsigliese "Provençal", in occasione della Fiera di Marsiglia del 1952, Jean-Marie Audibert venne incaricato dal suo direttore di tirar fuori un'"idea" che servisse al lancio pubblicitario sia della Fiera che del "Provençal". E come talvolta succede nella vita, l'idea gli venne da uno dei suoi figli, il dodicenne Jean-Pierre. Questi, che aveva finito proprio in quei giorni di leggere "Il giro del mondo in ottanta giorni", assediava il suo informatissimo papà di domande, la principale delle quali era: "Senti, papà, se Phileas Fogg avesse usato esclusivamente l'aereo, in quanto tempo avrebbe fatto il giro del mondo?". Jean-Pierre non era il primo ad avere questa idea: il maggiore americano Thomas Lamphier Junior nel 1949 aveva stabilito con questo mezzo il record di 4 giorni, 23 ore e 47 minuti. Ma Jean-Pierre non si accontentò di quest'informazione: "Senti, papà - disse a suo padre: - non credi che sia possibile superare il pilota americano?". Ed ecco perciò padre e figlio passare di Compagnia aerea in Compagnia aerea per chiedere gli orari più aggiornati e redigere una tabella di marcia che consenta di battere il record. Non ci sono solo problemi di orologio, ma anche di finanziamento (l'Audibert non ha il sacco di banconote di Phileas Fogg) e gli inevitabili contrattempi. Fallita l'impresa una prima volta, la seconda riesce. Insomma, la fantasia di Verne continuava a far sognare... Interessante potrà essere ancora ricordare che la vicenda di Phileas Fogg e del suo irruente ma fedelissimo Passepartout oltre che del testardo Fix, nonché della dolcissima Auda, venne portata anche sui palcoscenici e sugli schermi. Si sa anzi che persino prima di farne la stesura come romanzo Verne aveva raccontato la vicenda a Edouard Cadol, perché questi ne curasse una trasposizione scenica. Il Cadol, che più tardi avanzerà anche delle pretese sulla priorità dell'idea, e in particolare sull'invenzione del personaggio di Auda, in realtà non riuscì a fare un buon lavoro e perciò Verne dovette affidare a un altro l'incarico. Lo fece rivolgendosi al più abile Adolphe d'Ennery, notissimo allora per essere autore di un celebre drammone: "Deux orphelines...". Verne stesso, che, come si ricorderà, s'era dedicato anch'egli all'attività teatrale, seguì molto da vicino il lavoro del d'Ennery e forse anche per questo il dramma in cinque atti, messo in scena al teatro della Porte Saint-Martin, realizzò una somma enorme: Stéphane Mallarmé parlò di almeno 150000 franchi. La rappresentazione scenica comportava dei piccoli ma significativi mutamenti rispetto alla vicenda narrata nel romanzo: vi sono, accanto ad Auda, altri due personaggi femminili: sua sorella, che verrà poi impalmata da un secondo avversario di Phileas Fogg, l'americano Archibald Corsican, accompagnata da una serva; si parlerà anche di un duplice naufragio: quello finale dinanzi a Liverpool, per aggiungere tensione quando finalmente Fogg sembra sia ormai in vista del traguardo, e soprattutto quello che costringe Fogg ad attraversare il Borneo, dove vengono ambientate altre due interessanti innovazioni sceniche rispetto al romanzo: una scena terrificante nella cosiddetta grotta dei serpenti e, per compenso, un bel balletto, il "clou" della festa delle incantatrici. Insomma, degli interessanti arricchimenti di personaggi e di vicende e di esotismo. Tre elementi interessanti per una rappresentazione teatrale. Ma non sembra che bisogna cercare in questa direzione il pregio più vero e profondo di questo romanzo. Rinunciando a fare "filosofeggiare" il buon Jules Verne, come fa qualche critico troppo acuto, bisogna riconoscere che vi sono nel "Giro del mondo in ottanta giorni" delle pagine semplici e spigliate, il cui unico interesse è di presentare un momento gaio o offrire qualche informazione curiosa sui luoghi nei quali Phileas Fogg arriva e che lui in realtà tuttavia sembra non vedere neppure e di cui comunque non si interessa. Ma nella conclusione del romanzo il Verne un po' sapidamente dichiara: "Così, dunque, Phileas Fogg aveva vinto la sua scommessa. Aveva compiuto in ottanta giorni un giro completo del mondo! Per portarlo a termine aveva utilizzato tutti i mezzi di trasporto: piroscafi, ferrovie, carrozze, "yachts", navi da carico, slitte, elefanti. L'eccentrico "gentleman" aveva svelato in questo affare le sue meravigliose qualità di sangue freddo e di precisione. Ma in seguito? Che cosa aveva guadagnato con tutto quel movimento? Che cosa si era portato indietro da quel lungo viaggio? "Niente", forse dirà qualcuno. Sì, niente, al di fuori di una donna attraente la quale - per quanto la cosa possa sembrare inverosimile - lo rendeva il più felice degli uomini! E in verità, non si farebbe volentieri anche per meno di questo l'intero giro del mondo?". Sono osservazioni che in fondo ci sollecitano a non rinunciare neppure noi al nostro "Giro del mondo". Ma, e questo ci permettiamo di aggiungerlo noi, è forse più opportuno stare attenti a non "girare" invano per le nostre contrade, perché non è necessario andare lontano per trovare chi ci voglia bene e soprattutto trovare (o ritrovare) noi stessi.
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