SECONDA VEGLIA

2445 Words
SECONDA VEGLIA Come lo studente Anselmo fu preso per ubriaco e folle. La vita sull’Elba. L’aria di bravura del direttore d’orchestra Graun. Il liquore digestivo di Conradi e la donna delle mele bronzata. «Il signore deve averne un ramo», osservò una rispettabile cittadina che, ritornando dalla passeggiata con la famiglia, si era fermata, e incrociando le braccia stava a guardare il buffo comportamento di Anselmo: lo studente aveva abbracciato il tronco del sambuco e andava dicendo ai rami e alle foglie: «Oh, luccicate ancora una volta, care serpicine d’oro, fatemi sentire una volta sola ancora le vostre voci argentine! Guardatemi ancora una volta, soavi occhi azzurri, una volta sola, altrimenti mi tocca morire dal dolore e dal desiderio che mi agitano!» E, intanto, sospirava e gemeva miseramente dal profondo del cuore, e scrollava il sambuco dall’impazienza; ma, invece di rispondere, l’albero agitava soltanto le foglie con un sussurro cupo e incomprensibile, quasi facendosi beffe dell’addolorato studente. «Deve proprio averne un ramo questo signore», ripeté la donna. Anselmo, allora, ebbe l’impressione di essere scosso da un sonno profondo, di essere annaffiato da un getto di acqua gelida affinché si svegliasse all’improvviso. Soltanto ora vide chiaramente dov’era, e ricordò la strana fantasia che lo aveva burlato e indotto persino a parlare da solo ad alta voce. Spaventato, guardò la donna e, afferrato il cappello che gli era caduto per terra, fece per scappare. Intanto, era arrivato anche il marito della donna che, dopo aver deposto sull’erba il piccino che portava in braccio, appoggiandosi al bastone, si era fermato a guardare e ascoltare lo studente con grande stupore. Poi, raccattò la pipa e la borsa del tabacco che Anselmo aveva lasciato cadere e, porgendogli una cosa e l’altra, disse: «Signore, non stia a borbottare così al buio, e non prenda in giro la gente, se non ha altro male che quello di aver alzato un po’ troppo il gomito… Faccia il bravo, se ne vada a casa e si metta a letto!» Anselmo si vergognò non poco e trasse un lungo sospiro. «Via, via», proseguì il brav’uomo, «non se la prenda, sono cose che capitano anche ai migliori, e il giorno dell’Ascensione, avendo l’anima in festa, si può anche bere un po’ più del necessario. Può toccare anche a un uomo di Dio… Lei dev’essere, penso, uno studente di teologia, e se permette mi riempio la pipetta col suo tabacco, perché il mio è terminato». Così disse quel cittadino, mentre lo studente stava già per riporre in tasca la pipa e la borsa. L’altro pulì adagio e accuratamente la pipa, e con altrettanta lentezza la caricò. Intanto, erano intervenute anche alcune ragazze che, guardando Anselmo, si misero a parlare sottovoce con la donna e a ridacchiare tra loro. Il ragazzo aveva l’impressione di trovarsi sulle spine o sui carboni accesi. Appena riebbe la pipa e la borsa, infatti, se ne partì difilato. Tutte le meraviglie che aveva visto erano scomparse dalla sua memoria. Ricordava soltanto che, proprio sotto quel sambuco, aveva detto a gran voce ogni sorta di sciocchezze, e ciò lo spaventava particolarmente, perché aveva sempre provato una profonda avversione per i soliloqui. «Sono discorsi suggeriti da Satana», diceva il suo preside, e anche lui ci credeva. Ma l’idea di essere preso, il giorno dell’Ascensione, per un candidatus theologiae gli riusciva insopportabile. Stava per infilare il viale dei pioppi presso il Giardino di Kosel, allorché una voce alle sue spalle lo chiamò: «Signor Anselmo, signor Anselmo, dove diavolo corre con tanta fretta?» Lo studente si fermò di botto, convinto che una nuova sciagura stesse per abbattersi su di lui. E udì di nuovo quella stessa voce: «Torni indietro, signor Anselmo, l’aspettiamo qui, sulla riva». Soltanto ora lo studente si rese conto che chi lo chiamava era il suo amico, il vicepreside Paulmann. Allora, tornò indietro fino all’Elba, trovò l’amico con le due figliole e con l’attuario Heerbrand sul punto di montare in una barca. Paulmann, allora, invitò Anselmo a passare l’Elba con lui e a rimanere poi la sera in casa sua, nel sobborgo di Pirna. Anselmo accettò molto volentieri, sperando di scansare così il brutto destino di quella giornata. Mentre passavano il fiume, videro che sulla riva opposta, presso il Giardino di Anton, davano uno spettacolo pirotecnico. I razzi salivano in alto, frusciando e sibilando, le stelle luminose solcavano l’aria versando intorno raggi e fiamme scoppiettanti. Anselmo sedeva assorto presso il rematore, allorché scorse nell’acqua il riflesso delle scintille e dei fuochi crepitanti: ma a lui parve che l’acqua fosse attraversata dalle serpi d’oro. Tutte le cose strane che aveva visto sotto il sambuco gli si riaffacciarono alla memoria, e di nuovo fu preso da quell’ineffabile nostalgia, da quell’ardente desiderio che si era agitato nel suo cuore in un’estasi dolorosa e convulsa. «Oh, siete di nuovo qui, serpicine d’oro, cantate, cantate! Nel vostro canto mi riappaiono quei soavi occhi azzurri… Siete sotto l’acqua?» Così parlando, lo studente fece un gesto inconsulto, quasi come se volesse gettarsi dalla barca. «Che diavolo vi prende?» gridò il barcaiolo, afferrandolo per le falde. Le ragazze mandarono un urlo spaventate, e si rifugiarono sull’altro lato della barca. L’attuario, allora, mormorò qualcosa all’orecchio del vicepreside: della risposta lo studente poté afferrare soltanto queste parole: «Simili attacchi? Mai notati finora!» Paulmann si alzò e, facendosi serio e grave, andò a sedersi accanto ad Anselmo, gli prese una mano e gli domandò: «Come si sente, signor Anselmo?» Lo studente si sentì quasi svenire, perché dentro gli sorse un folle dissidio che, invano, cercò di scacciare. Ma ora vide chiaramente che quelle luci che aveva prese per serpenti d’oro non erano che i riflessi dei fuochi artificiali presso il Giardino di Anton, ma un senso sconosciuto, non sapeva nemmeno lui se di piacere o di dolore, gli strinse il cuore e, ogni volta che il barcaiolo tuffava il remo nell’acqua, facendola gorgogliare quasi di collera, lui sentiva in quel rumore un bisbiglio segreto. «Anselmo, Anselmo, non vedi che ti precediamo sempre? La sorellina ti guarda ancora… credi, credi, credi in noi!» A lui parve di vedere nel riflesso tre strisce verdi e luminose. Ma, poi, quando fissò lo sguardo malinconico sull’acqua per ritrovare gli occhi soavi, vide benissimo che quello splendore proveniva dalle finestre illuminate delle case vicine. Rimase in silenzio, lottando con sé stesso, mentre il vicepreside gli domandò ancora, con maggiore insistenza: «Come sta, signor Anselmo?» Lo studente rispose timidamente: «Oh sapesse, signor preside, quali cose singolari ho visto poco fa ad occhi aperti e perfettamente sveglio sotto un sambuco lungo il muro dei giardini di Link: non se la prenderebbe con me se quasi assente…» «Senta, signor Anselmo», lo interruppe Paulmann, «io l’ho sempre considerata un giovane serio, ma sognare, sognare ad occhi aperti e ad un tratto volersi buttare nel fiume, via, mi perdoni, ma è roba da pazzi o da sciocchi!» Lo studente rimase molto turbato dalle dure parole dell’amico, allorché Veronica, la figlia maggiore di Paulmann, una bella ragazza fiorente di sedici anni, interloquì: «Ma, caro babbo, il signor Anselmo deve aver visto qualcosa di particolare e forse crede soltanto di essere stato sveglio, mentre sotto il sambuco in realtà dormiva, e credette di vedere le follie che ancora gli si agitano nella mente». «D’altro canto, cara signorina, ottimo preside», prese a dire Heerbrand, «non dovrebbe essere possibile immergersi anche da svegli in uno stato di sogno? Una volta, mentre prendevo il caffè del pomeriggio ed ero meditabondo, nel vero momento della digestione fisica e intellettuale, mi venne in mente, come per ispirazione, dove si trovava un atto che avevo perso, e non più tardi di ieri ho visto danzare davanti agli occhi spalancati una grande scritta latina in caratteri gotici». «Pregiatissimo attuario», ribatté allora il vicepreside, «lei ha avuto sempre una certa tendenza alla poesia, e allora è ben più facile cadere nel fantastico, nel romanzesco!» Ad Anselmo, però, fece bene vedersi oggetto di attenzione nella conturbante eventualità di essere preso per ubriaco o pazzo, e quantunque fosse ormai piuttosto buio, credette di notare per la prima volta che Veronica aveva dei bellissimi occhi azzurri, senza che gli passassero, però, per la mente quelli meravigliosi che aveva visto tra le fronde del sambuco. All’improvviso, quell’avventura era del tutto scomparsa, ed egli si sentiva lieto e leggero, anzi nella sua baldanza arrivò al punto che, nello scendere dalla barca, porse il suo aiuto alla fanciulla che aveva preso le sue difese, e quando se la trovò a braccetto l’accompagnò anche a casa molto abilmente, e con tanta fortuna da scivolare un’unica volta nell’unico punto fangoso della strada, inzaccherando pochissimo l’abito bianco di Veronica. Al vicepreside non sfuggì il felice mutamento dello studente, sicché prese a volergli bene di nuovo, e gli chiese perdono delle aspre parole di prima. «Sicuro», aggiunse, «abbiamo esempi del caso in cui certi fantasmi appaiono all’uomo e possono angustiarlo e tormentarlo, ma questa è una malattia fisica che può guarire con mignatte, applicate, con rispetto parlando, al di dietro, come ha dimostrato un celebre scienziato ora defunto». Ora lo studente Anselmo non sapeva davvero se era stato ubriaco, matto o ammalato, in ogni caso, però, le sanguisughe gli parvero inutili, perché gli eventuali fantasmi erano scomparsi, ed egli si sentiva sempre più allegro, quanto più sapeva profondersi in gentilezze verso la bella Veronica. Dopo la cena frugale, si fece come al solito un po’ di musica; Anselmo dovette sedersi al pianoforte e Veronica fece sentire la sua voce chiara e limpida. «Gentile signorina», disse l’attuario, «lei ha una voce che suona come una campana di cristallo!» «Questo poi no!» scappò detto ad Anselmo, non sapeva nemmeno lui come, e tutti lo guardarono perplessi e stupiti. «Le campane di cristallo tintinnano meravigliosamente nei sambuchi, meravigliosamente», continuò sottovoce Anselmo, mentre Veronica gli posava una mano sulla spalla dicendo: «Che cosa dice, signor Anselmo?» Lo studente, allora, si risvegliò subito, e cominciò a suonare, mentre Paulmann lo guardava accigliato. Heerbrand, in quel momento, pose un foglio sul leggio, e cantò deliziosamente un pezzo di bravura del direttore d’orchestra Graun. Lo studente accompagnò ancora altri, e un duetto fugato composto dallo stesso Paulmann ed eseguito insieme con Veronica diffuse fra tutti la più serena allegria. Intanto, si era fatto tardi e, mentre l’attuario prendeva il cappello e il bastone, Paulmann gli si avvicinò con aria misteriosa e gli disse: «Signor attuario, non vuole… al caro signor Anselmo… be’, come dicevamo poco fa…» «Con molto piacere», replicò Heerbrand e, quando tutti furono seduti in cerchio, cominciò così: «C’è, qui da noi, un uomo anziano, strano e bizzarro che, a quanto si dice, coltiva ogni sorta di scienze occulte. Ma, siccome queste non esistono, lo considero piuttosto un dotto antiquario che, forse, fa anche esperimenti di chimica. Alludo al nostro archivista Lindhorst. Come sapete, vive solitario nella sua vecchia casa fuori mano e, quando non è in servizio, è facile trovarlo nella sua biblioteca o nel laboratorio chimico, dove però non fa entrare nessuno. Oltre a molti libri rari, possiede un certo numero di manoscritti con segni arabici, copti e persino tali che non appartengono a nessuna lingua conosciuta. Ora, desidera far copiare abilmente questi manoscritti, e per questo gli occorre un uomo che sappia disegnare a penna per riportare con la massima rapidità ed esattezza tutti quei segni sulla pergamena, e precisamente con l’inchiostro di china. E fa lavorare in una stanza particolare della sua casa e sotto la sua sorveglianza, paga oltre al vitto, per ogni giornata di lavoro, un tallero, e promette un cospicuo regalo per quando le copie saranno felicemente terminate. Il lavoro si svolge ogni giorno dalle dodici alle sei. Dalle tre alle quattro si riposa e si fa colazione. Siccome ha già provato, ma invano, con un paio di giovani a far copiare i manoscritti, si è rivolto infine a me, pregandomi di mandargli un bravo disegnatore. Allora ho pensato a lei, caro signor Anselmo, poiché so che ha una scrittura pulita e disegna a penna con molto garbo. Perciò, se vuole guadagnare un tallero al giorno, in questi tempi calamitosi, fino all’assegnazione di un posto e ottenere per giunta il regalo, faccia il piacere di trovarsi domani alle dodici in punto presso l’archivista, del quale le è certo noto l’indirizzo. Si guardi bene, però, dalle macchie d’inchiostro! Se ne fa una sulla copia, deve senza remissione cominciare da capo; se poi la macchia cade sull’originale, il signor archivista è capace di buttarla dalla finestra, poiché è un uomo molto irascibile». Lo studente fu ben contento della proposta fattagli dall’attuario Heerbrand: non solo aveva la scrittura pulita e sapeva disegnare a penna, ma aveva una vera passione per la copiatura attenta e calligrafica. Ringraziò, pertanto, vivamente i suoi benefattori e promise che, l’indomani a mezzogiorno, non sarebbe mancato. Durante la notte, non vide altro che talleri lustri, e ne udiva persino il suono lusinghiero. A quel poveretto, fino ad allora, i capricci della sorte avevano tolto tante speranze, costringendolo a misurare il centesimo e a rinunciare alle gioie della gioventù! La mattina, raccolse per tempo le sue matite, le penne di corvo e l’inchiostro di china; di migliori, pensò, non ne poteva inventare neanche l’archivista. Soprattutto, riesaminò e mise in ordine i suoi capolavori calligrafici e i disegni, per dimostrare all’archivista la sua capacità di eseguire quanto gli veniva richiesto. Tutto procedette felicemente, una buona stella particolare pareva lo governasse, la cravatta andò a posto col primo nodo, nessuna cucitura scoppiò, nessuna maglia delle calze di seta nera si strappò; il cappello, dopo che l’ebbe spazzolato per bene, non gli cadde nella polvere nemmeno una volta. Insomma, alle undici e mezzo in punto, Anselmo era in marsina grigio-azzurra e panciotto di raso nero; portava un rotolo di belle scritture e dei disegni a penna sotto il braccio; se ne stava già nella fiaschetteria di Conradi a bere uno o due bicchierini del miglior digestivo, perché lì, pensò battendosi la tasca ancora vuota, sarebbero entrati presto i talleri. Nonostante il lungo percorso fino alla via solitaria nella quale sorgeva l’antica casa dell’archivista Lindhorst, lo studente si trovò davanti alla porta prima delle dodici. Si fermò a guardare il bel picchiotto di bronzo, ma, mentre all’ultimo colpo dell’orologio che dal campanile della chiesa vicina scosse rumorosamente l’aria, stava per afferrare il picchiotto, il viso metallico si storse in un orrido giuoco di ardenti lampi azzurri e si trasformò in un ghigno. To’, la venditrice di mele della Porta Nera! I denti aguzzi batterono nella bocca mencia, da cui uscì una voce gracchiante: «Matto, matto… matto… aspetta aspetta! Perché sei corso via?» Lo studente balzò indietro atterrito, fece per aggrapparsi allo stipite, ma le sue dita afferrarono il cordone del campanello e lo tirarono. Si udirono più squilli, uno più forte e risonante dell’altro, e l’eco nella casa deserta andò ripetendo beffarda: «Presto ci cadi nel cristallo!» Anselmo inorridì, e un tremito convulso lo scosse come gelida febbre. Il cordone del campanello scese e diventò un grande serpente bianco trasparente che lo strinse sempre più forte tra le sue spire fino a sgretolare le membra friabili e crocchianti, e a fargli sprizzare il sangue dalle vene, che penetrò nel corpo diafano del serpente, tingendolo di rosso. «Ammazzami, ammazzami!» stava per gridare Anselmo in quell’angoscia, ma il suo grido non fu che un sordo rantolo. Il serpente, allora, alzò la testa, e posò la lunga lingua appuntita, di bronzo incandescente, sul petto di Anselmo, cui un dolore lacerante troncò la vena vitale, e il suo pensiero si spense. Quando ritornò in sé, giaceva nel suo misero lettino, e davanti a lui il vicepreside Paulmann stava dicendo: «Ma, per carità, caro signor Anselmo, che cosa diavolo va combinando?»
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD